L'agosto caldo del '68
Storia della convention Dem di Chicago del 1968: le violenze contro i pacifisti e il Vietnam
È sul Vietnam che si consuma la più aspra contesa politica della storia americana. Tra le violenze della polizia contro i pacifisti, prevale Humphrey (il vice di Johnson)
Editoriali - di David Romoli
No, per quanto tesa sia stata la situazione all’interno del Partito democratico americano nelle settimane precedenti il passaggio della torcia da Joe Biden a Kamala Harris la spaccatura e la tensione interna non è arrivata ai livelli della Convention del 1968, paragone più volte azzardato dai commentatori. Non si è nemmeno arrivata a quella sorta di guerra civile interna che spaccò il Partito come mai prima e neppure dopo, mentre nelle piazze la polizia reprimeva le manifestazioni di protesta con una furia degna di uno Stato di polizia. I delegati pacifisti e quelli favorevoli a proseguire i bombardamenti sul Vietnam del Nord si scontrarono continuamente e violentemente, a margine dei lavori, nei corridoi del Conrad Hilton Hotel sede della Convention, puntualmente ripresi dalle telecamere.
Il Partito democratico era arrivato alla Convention che si tenne a Chicago dal 26 al 29 agosto in una situazione più che drammatica. Nel novembre del 1967 un candidato pacifista, il senatore Eugene McCarthy, si era candidato sfidando il presidente in carica Lyndon Baines Johnson. Nel marzo 1968 si era candidato, su posizioni molto simili a quelle di McCarthy, anche Robert Kennedy, fratello del presidente assassinato cinque anni prima a Dallas. Secondo i sondaggi nelle primarie del Wisconsin, fissate per il 2 aprile, il presidente sarebbe arrivato terzo dopo i due candidati pacifisti. Johnson anticipò gli elettori. In uno storico discorso, il 31 marzo, rinunciò a correre per la rielezione e annunciò la sospensione dei bombardamenti sul Vietnam del Nord e l’avvio di trattative di pace. Al posto di Johnson entrò in lizza il suo vice, Hubert Humphrey, che tuttavia evitò di presentarsi alle primarie limitandosi a “ereditare” i delegati che erano stati favorevoli alla ricandidatura di LBJ. Humhprey aveva un passato di militanza antirazzista ed era probabilmente favorevole alla de-escalation in Vietnam. Ma era di carattere debole. Il presidente lo maltrattava apertamente e se ne lamentava senza ritegno: “Lo rispetterei di più se avesse più palle”. L’ombra di Johnson avrebbe svolto un ruolo decisivo, e per Humphrey nefasto, nei mesi successivi.
Le trattative, che iniziarono davvero in maggio a Parigi, si arenarono subito. Il Nord Vietnam chiedeva come precondizione la fine dei bombardamenti, annunciata ma non praticata da Johnson. Gli Usa erano disposti a smettere di bombardare solo in cambio di un impegno di Hanoi a non adoperare più il cosiddetto “sentiero di Ho Chi Minh”, il percorso che permetteva al Nord di armare e sostenere i ribelli Vietcong nel Vietnam del Sud. Hanoi non accettava la condizione posta dagli Usa. Le bombe continuavano a colpire il territorio sopra il 19° parallelo, confine tra i due Vietnam. Nella notte tra il 5 e il 6 giugno, mentre festeggiava la vittoria nelle primarie della California, Kennedy fu ucciso da un profugo palestinese che voleva “punirlo” per il suo appoggio a Israele. Parte dei suoi sostenitori si schierò con il senatore George McGovern, anche lui pacifista, che diventò così il terzo candidato in lizza. Sin dall’inizio era chiaro che lo scontro congressuale sarebbe stato soprattutto sul Vietnam e sulla fine dei bombardamenti. Ma la decisione dei sindaco di Chicago Richard Daley di mettere la città in stato d’assedio, presidiata da 11mila uomini della polizia affiancati da 6mila appartenenti alla Guardia Nazionale, gettò ulteriore benzina sul fuoco.
Daley governava Chicago, col pugno di ferro, da 13 anni. Aveva insistito perché la Convention si tenesse nella principale città dell’Illinois invece che in Texas, come avrebbe voluto Johnson, proprio per rendere la Convention una celebrazione del suo governo. Nelle manifestazioni nazionali pacifiste convocate per i giorni del Congresso vedeva solo un tentativo di rovinargli la festa e decise di stroncarle a ogni costo. Sul tema centrale della Convention, quello che spaccava in due fazioni l’un contro l’altra armata i Democratici, la fine dei bombardamenti, Humphrey cercò di assumere una posizione di compromesso, facendo capire di essere favorevole a fermare i B-52 senza dirlo esplicitamente. Fece vedere in anticipo il testo della sua piattaforma ad alcuni dei principali elementi dell’amministrazione Johnson, tra cui il segretario di Stato Dean Rusk, che gli diede il via libera. Johnson, che aveva scelto di non partecipare alla Convention seguendo però i lavori dal suo ranch nel Texas, fu avvertito e la prese malissimo. Si attaccò al telefono, investì il suo vice, gli ordinò di modificare il programma: “Così rinnegate tutta la nostra politica. Tu e il Partito democratico non potete farmi questo”.
Humphrey, sui cui attributi LBJ non aveva tutti i torti, si arrese. Modificò il programma sotto dettatura di Johnson e lo mise ai voti. Passò, dopo un dibattito infuocato, con il 60% dei delegati a favore contro il 40%, che accolse la votazione cantando a squarciagola per protesta We Shall Overcome. Lo stesso Humphrey avrebbe attribuito a quella resa la responsabilità della sconfitta contro il repubblicano Nixon. Solo su un punto il debole Humphrey tenne duro: la scelta di candidato vicepresidente. I razzisti del Sud erano da sempre uno dei principali bacini elettorali dei Democratici. Stavolta rischiavano di perderlo, sia per le leggi a favore dei diritti civili varate dallo stesso LBJ, sia perché i Repubblicani avevano scelto un candidato gradito alla destra come Richard Nixon ma anche perché era in corsa, come candidato indipendente, un razzista dichiarato come il governatore dell’Alabama George Wallace (che sarebbe in seguito passato alla posizione opposta chiedendo perdono, come “Born Again Christian” per il suo passato razzista).
Johnson insisteva per un candidato vice in grado di rassicurare gli elettori segregazionisti. Humphrey, un po’ perché aveva un passato opposto, un po’ perché si rendeva conto dell’impossibilità di recuperare quell’elettorato, optò invece per un moderato, il senatore Edmund Muskie. Ma fu l’unica resistenza che il vice di Johnson oppose a quello che era ancora il presidente, che aveva messo sotto controllo anche il telefono di Humphrey per essere sempre al corrente delle sue mosse. Johnson, inoltre, pur senza presentarsi alla Convention spedì a Chicago un suo fedelissimo, il governatore del Texas John Connally. L’arrivo del texano e i suoi incontri con gli altri governatori democratici del Sud furono interpretati da alcuni come possibile ritorno in campo del presidente, se richiamato a furor di Convention.
Sicuramente ci credette il sindaco Daley che intavolò improbabili trattative con i Kennedy in vista di un possibile ticket Johnson-Ted Kennedy, il solo fratello sopravvissuto di JFK. In realtà è poco probabile che Johnson considerasse davvero l’ipotesi di un ritorno in campo ma la voce serviva a tenere sotto pressione e a condizionare Humphrey. Come se lo scontro sul Vietnam non fosse già abbastanza acerrimo, i delegati assistevano sui teleschermi alle continue violenze della polizia contro i manifestanti che sfociarono in una vera battaglia nell’ultimo giorno della Convention. Un delegato chiese di interrompere “il terrore da Stato di polizia” contro i ragazzi. Il senatore Ribicoff, sostenitore di McGovern, intervenne a sua volta denunciando “tattiche da Gestapo nelle strade di Chicago”. Il sindaco esplose urlando “Fottiti, figlio di puttana ebreo”. Un gruppo di poliziotti irruppe sul palco trascinando via Ribicoff.
In questo clima, poco dopo la mezzanotte del 29 agosto, Humphrey ottenne la candidatura, fra le urla di mezza platea, con 1576 voti contro 1041. Il candidato aveva organizzato le cose in modo che subito dopo l’annuncio della sua candidatura ormai ufficiale prendesse la parola il sindaco di Cleveland, un nero. Purtroppo nessuno dei quasi 90 milioni di telespettatori che seguivano la cronaca della Convention potè sentire una parola del discorso del sindaco. Le tv erano tutte occupate dalle immagini della violentissima battaglia tra i manifestanti e la polizia di Daley di fronte alla sede della più drammatica Convention della storia americana.
1. Continua