L'anno della svolta
Cosa successe nel 1968: quando libertà e giustizia sociale si presero per mano
Non sarebbe mai stato possibile senza i movimenti giovanili e libertari che avevano spazzato l’intero decennio non solo in tutto l’occidente ma in tutto il mondo. La rivolta dilagò in ogni Paese. Fu il primo fenomeno globale, ma anche un fenomeno quotidiano nel quale si intrecciavano impegno pubblico e vita privata
Editoriali - di David Romoli
Le date sono sempre opzionali, discutibili. Ma se c’è un giorno che quasi per convenzione segna l’inizio di quella gigantesca onda che sommerse il mondo nel 1968, tanto da aver reso quella data una definizione storica, politica e culturale, “Il ‘68”, quello è il primo ottobre 1964. A Berkeley la polizia aveva fermato uno studente del Core, Congress of Racial Equality.
Stava allestendo un banchetto per distribuire materiale contro la segregazione razziale, si era rifiutato di fornire alla polizia i suoi documenti, lo avevano arrestato e caricato nella macchina della polizia.
Gli studenti seduti per terra impedirono per 32 ore all’auto di partire. Mario Savio, studente italo-americano, montò sul tetto della macchina bloccata e arringò gli studenti. Nacque quel giorno il Free Speech Movement e il conflitto nell’università californiana portò due mesi dopo all’arresto dello stesso Savio e di altri 800 giovani dopo l’occupazione dell’aula centrale del campus.
Se ci si sposta a casa, in Italia, il ‘68 iniziò il 27 aprile 1966, quando un’aggressione dei neofascisti di Primula Goliardica costò la vita allo studente socialista Paolo Rossi. La sera stessa fu occupata la facoltà di Lettere, e non era mai successo prima.
L’occupazione si estese ad altre 8 facoltà, proseguì per una settimana, si concluse con le dimissioni del rettore Ugo Papi. Quella data convenzionale, in Germania, è il 2 giugno 1967, quando nel corso di una manifestazione a Berlino ovest contro la visita dello Scià di Persia fu ucciso lo studente Benno Ohnesorg, raggiunto da un colpo di pistola sparato a freddo.
Ma le date contano quello che contano. Nei campus americani l’organizzazione Sds, Students of a Democratic Society, era nata già nel giugno 1962, la sua dichiarazione d’intenti, il Manifesto di Port Huron, era diventata la piattaforma di una mobilitazione già in atto quando la rivolta esplose a Berkeley.
Il movimento per i Diritti civili negli stati segregazionisti del Sud durava già da anni e lo stesso Mario Savio, nell’estate del ‘64, la Freedom Summer, era stato uno dei Freedom Riders bianchi accorsi nel sud per i boicottaggi e le manifestazioni contro le Jim Crow Laws, le leggi che imponevano la segregazione razziale. Presto la guerra nel Vietnam avrebbe versato barili di benzina sull’incendio già in atto.
In Italia le riviste e i piccoli gruppi del marxismo eretico avevano pavimentato la strada verso l’esplosione già a partire dalla fine degli anni ‘50. Nella Germania dell’ovest la Sds, Lega degli studenti socialisti, aveva rotto ogni rapporto con la Spd, il partito socialdemocratico già nel 1961 e, sotto la presidenza di Rudi Dutschke, era diventata già dal 1965 il motore di una nuova sinistra marxista giovanile marxista e libertaria: l’incubatrice del ‘68.
Ma anche questa visione più ampia è parziale e infedele. Un fenomeno come il ‘68 non sarebbe stato possibile, e neppure immaginabile, senza i movimenti giovanili e libertari che avevano spazzato l’intero decennio non solo in tutto l’occidente ma in tutto il mondo. La rivolta dilagò in ogni Paese a ovest ma anche a est, nel nord e nel sud del mondo.
Presentava alcuni caratteri specifici nelle diverse realtà, come la fortissima spinta antirazzista negli Usa presente solo per solidarietà in un’Europa momentaneamente non più toccata da quel virus a poco più di vent’anni dalla liberazione di Auschwitz, mentre altri erano comuni ovunque. Soprattutto la protesta contro la “sporca guerra” nel Vietnam, che fu determinante non solo negli States e una spinta libertaria contro l’autoritarismo che si sarebbe parzialmente persa negli anni seguenti ma che nei ‘60 e nel ‘68 era invece la tonalità emotiva più marcata ovunque.
“Contro l’autoritarismo accademico” campeggiava sul manifesto più famoso dell’occupazione di palazzo Campana, sede delle facoltà umanistiche dell’università di Torino, occupata, sgombrata dalla polizia, rioccupata a ripetizione negli ultimi mesi del 1967.
La rivolta in Italia partì da lì, dilagò ovunque, raggiunse Roma nel febbraio 1968. L’occupazione dell’università proseguì per un mese, poi il rettore D’Avack chiese l’intervento della polizia. Il primo marzo un corteo di studenti provò a rioccupare la facoltà di Architettura, fu respinto e gli scontri che seguirono furono una battaglia: non era mai successo che a ingaggiare scontri così violenti e prolungati fossero degli studenti.
Valle Giulia diventò il simbolo del ‘68 italiano, che tuttavia non si fermò quel giorno. Proseguì con una serie continua di occupazioni, manifestazioni e incidenti tra studenti e forze dell’ordine per tutto l’anno, coinvolse alcune situazioni operaie e in autunno divampò anche negli istituti medi superiori. L’anno successivo la rivolta sarebbe stata anche operaia, innescando il lungo ‘68 italiano, un ciclo di lotte non solo studentesche e operaie ma sociali destinato a segnare tutti gli anni ‘70.
Il ‘68 ha i suoi picchi di mobilitazione, diversi in ogni Paese. In Germania l’equivalente di Valle Giulia furono le grandi manifestazioni che seguirono l’attentato contro Dutschke dell’11 aprile. Il leader della Sds fu colpito da tre colpi di pistola, per le conseguenze dei quali sarebbe morto 11 anni più tardi, da un imbianchino di estrema destra non legato ad alcuna organizzazione.
Gli studenti ritennero però responsabile morale dell’attentato l’editore Axel Springer, la cui possente catena di giornali conduceva da mesi una durissima campagna di demonizzazione degli studenti. Nel corso di manifestazioni che per alcuni giorni misero a ferro e fuoco le principali città della Germania occidentale gli studenti attaccarono quindi soprattutto le redazioni di quella catena.
Il “maggio francese” è ancora oggi quanto di più vicino a una rivoluzione sia avvenuto in un Paese occidentale dal secondo dopoguerra. Iniziò con la sospensione di alcuni studenti, tra il cui il leader del Movimento 22 marzo Daniel Cohn-Bendit dalla facoltà di Sociologia di Nanterre, nei sobborghi di Parigi.
La protesta alla Sorbonne del 3 maggio innescò i primi scontri con la polizia. Nel giro di due settimane l’intera Francia fu paralizzata, le principali fabbriche occupate, il Quartiere Latino, circondato in più occasioni da barricate, diventò la capitale multicolore ed effervescente di un Movimento che gli studenti volevano insurrezionale ma che il Partito comunista francese e il sindacato Cgt intendevano invece ridurre a un conflitto puramente rivendicativo.
Dopo un mese punteggiato da battaglie violentissime e dal dilagare degli scioperi che finirono per coinvolgere tutte le categorie il presidente, il generale De Gaulle, riprese in mano la situazione d’autorità, con un referendum su se stesso dal quale uscì trionfatore. Ma nei mesi successivi ebbe l’intelligenza di varare un programma di riforme sociali che mutarono profondamente la Francia.
Negli Usa il 1968 fu probabilmente l’anno più traumatico prima dell’11 settembre: l’offensiva del Tet in febbraio rese evidente che la guerra nel Vietnam correva verso una sconfitta non solo politica e morale ma anche militare e il presidente Johnson rinunciò a correre per la rielezione.
In aprile fu ucciso il leader del Movimento per i diritti civili Martin Luther King, i ghetti presero fuoco ovunque. Meno di due mesi dopo a cadere sotto i colpi di un profugo palestinese fu Robert Kennedy.
Nei campus la protesta contro la guerra nel Vietnam e contro la discriminazione dei neri proseguiva da oltre un anno quando gli studenti della Columbia University scoprirono documenti che dimostravano il coinvolgimento dell’università nelle ricerche belliche.
Le manifestazioni iniziate il 23 aprile furono stroncate dalla polizia di New York dopo una settimana di occupazione dell’Università ma il Movimento si estese ovunque sino alle manifestazioni organizzate a Chicago in agosto, in contemporanea con la Convention del Partito democratico.
Finirono in una serie di selvagge aggressioni poliziesche contro i manifestanti arrivati da tutto il Paese e con un processo per cospirazione contro i leader del Movimento destinato a entrare nella storia nera d’America.
Il ‘68 fu un fenomeno globale, secondo alcuni analisti il primo. In Cecoslovacchia la primavera di Praga accese un barlume di speranza nella possibilità dei Paesi del socialismo reale di riformarsi dall’interno. I carri armati sovietici spensero la fiammella entrano a Praga in agosto.
In Messico le manifestazioni oceaniche degli studenti in contemporanea con l’inizio delle Olimpiadi furono annegate nel sangue. Il 2 ottobre la polizia chiuse la piazza in cui erano radunati gli studenti, Piazza delle Tre Culture, aprì il fuoco dai tetti, uccise 300 persone.
Oriana Fallaci, che era in quella piazza e si salvò perché fu coperta dai cadaveri degli studenti suoi amici raccontò il massacro quasi in diretta. Ma quei momenti alti e roventi furono solo la parte emergente dell’iceberg. Il ‘68 fu un fenomeno quotidiano nel quale si intrecciavano impegno pubblico e vita privata.
Gli anni ‘60 erano stati il decennio della libertà, parola ripetuta ovunque, aspirazione che accomunava i Paesi ex coloniali o ancora occupati nel sud del mondo, gli operai della nuova generazione operai che vedevano il lavoro salariato non più come il sogno di una vita migliore ma come una forma appena mascherata di nuova schiavitù, i giovani che volevano scrollarsi di dosso ogni condizionamento autoritario nei Paesi occidentali, le donne stanche dell’asfissia subalterna a cui erano condannate.
Nel decennio seguente la stessa energia e la stessa rabbia si sarebbero concentrate sulla richiesta di maggiore giustizia sociale spesso sacrificando in parte, però mai del tutto, l’istanza profondamente libertaria dei ‘60. Nel ‘68, per alcuni mesi, dunque appena un attimo fuggente ed eterno, le due istanze si tennero in perfetto equilibrio e forse la magia del ‘68 dipese da quell’equilibrio mai più ritrovato.