Le aspettative di Orbàn

Cosa succede in Europa dopo l’attentato a Trump: brinda la destra, piange la Meloni

Mancano due giorni al momento della verità: il voto del Parlamento di Strasburgo sulla nuova presidenza della Commissione europea affidata a Ursula von der Leyen

Politica - di David Romoli

16 Luglio 2024 alle 15:30

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Foto LaPresse 21-04-2022 Roma Politica Accademia d’Ungheria – Il Primo Ministro d’Ungheria Viktor Orban incontra Matteo Salvini Nella foto Viktor Orban e Matteo Salvini al termine dell’incontro Photo LaPresse 21-04-2022 Rome (Italy) Hungarian Academy – The Prime Minister of Hungary Viktor Orban meets Matteo Salvini In the pic Viktor Orban and Matteo Salvini at the end of the meeting
Foto LaPresse 21-04-2022 Roma Politica Accademia d’Ungheria – Il Primo Ministro d’Ungheria Viktor Orban incontra Matteo Salvini Nella foto Viktor Orban e Matteo Salvini al termine dell’incontro Photo LaPresse 21-04-2022 Rome (Italy) Hungarian Academy – The Prime Minister of Hungary Viktor Orban meets Matteo Salvini In the pic Viktor Orban and Matteo Salvini at the end of the meeting

Mancano due giorni al momento della verità: il voto del Parlamento di Strasburgo sulla nuova presidenza della Commissione europea affidata a Ursula von der Leyen. Sarebbe stato comunque un passaggio difficile e delicato. Ma se lo è diventato molto più di quanto non ci si immaginasse è perché sul Vecchio continente pesa sempre di più un elemento dirompente: il fattore Trump. Era così già prima della settimana nera di Biden e degli spari della Pennsylvania. Lo è a maggior ragione oggi che la vittoria del tycoon appare, se non certa almeno più probabile. Del resto lo stesso fattore spiega l’impennata della tensione in Italia, nei rapporti tra la premier e la Lega. Quasi con la sola eccezione di Giorgia Meloni, la destra sovranista europea è profondamente trumpiana, molto più di quanto non sia realmente “putiniana”. Come chiunque mastichi anche un poco di politica, i capi di quella destra sanno perfettamente che l’impatto di una eventuale vittoria dell’ex presidente degli Usa sarebbe inevitabile e terremotante. Lo sanno allo stesso modo i governi europei: gli uni e gli altri si stanno posizionando in vista di quel possibile cataclisma e dei suoi effetti. La giornata di ieri è indicativa. Orbàn, reduce dai colloqui di Mosca e Pechino, ha inviato una lettera a tutti i leader europei molto esplicita: “Se l’Europa vuole la pace e un ruolo decisivo nella risoluzione della guerra deve elaborare e attuare un cambiamento di direzione”. Pertanto, dettaglia il braccio destro del presidente ungherese, ci saranno ancora “viaggi e negoziati da fare”. È una sfida aperta all’Europa che aveva duramente censurato le missioni “non autorizzate” di Orbàn, sostenute dall’intera destra, sempre con l’esclusione di FdI, e dallo stesso Trump.

L’establishment reagisce meditando un vero “atto di guerra”: boicottare il Consiglio Affari Esteri informale convocato dalla presidenza ungherese di turno il 29 e 29 agosto prossimi fissando proprio per quei giorni un Consiglio invece formale e comunque negando la presenza nella capitale ungherese di tutti i ministri degli Esteri degli altri Paesi. Servirebbe, dicono a Bruxelles, a far capire all’ungherese che “la misura è colma”. In realtà metterebbe in scena proprio la realtà a cui la destra di Orbàn, Le Pen e Salvini mira: l’esistenza di due Europe divise sulla guerra.
Che le popolazioni europee non stravedano già ora per un conflitto che costa moltissimo e di cui non si vede la fine è noto. Una vittoria di Trump significherebbe spostare molto più sulle spalle dell’Europa il peso e i costi già alti di quel conflitto con effetti facilmente prevedibili in termini di consenso. I Patrioti si preparano a fare la loro parte in quel momento, cavalcando il disagio certissimo di un’Europa lasciata quasi sola dalla nuova America del tycoon. Sempre ieri una raffica di dichiarazioni hanno ricordato a tutti ma in particolare ai Paesi sotto procedura di infrazione l’obbligo di rispettare le regole fiscali. “Non è un compito facile per nessuno ma i piani di aggiustamento sono necessari e la traiettoria è realistica”. Il ministro delle Finanze tedesco Lindner ha preso di mira direttamente la Francia: “Mi aspetto che tutti rispettino le regole. Anche il prossimo governo francese”. Sono i toni del rigore e una destra sovranista che, in caso di conquista di Washington, prevede di avere il vento in poppa si accinge a cavalcare il disagio che il rigore, sommato alla guerra e ai suoi costi, comporterà per popolazioni europee già stanche. Il voto su von der Leyen capita nel pieno di questa ridislocazione e per questo ha acquisito una valenza imprevista alla vigilia e per certi versi paradossale: proprio la presidente che più ha giocato di sponda con la destra, in particolare con quella italiana, diventa il simbolo stesso della “vecchia” Unione europea da rovesciare.

l vento americano, ovviamente, soffia anche sull’Italia, ma con due anomalie in più che negli altri Paesi dell’Unione. La presidente del Consiglio, sia sull’Ucraina che nei rapporti con la presidente, è su posizioni opposte a quelle del resto della destra europea. Il dilemma che non riesce a risolvere, acuito ma non determinato dall’umiliazione riservatale dai partiti della “maggioranza Ursula” deriva tutto da questa anomalia. Oggi la candidata incontrerà una delegazione del gruppo dei Conservatori. Meloni, che ne è la presidente, probabilmente non ci sarà ma le due leader potrebbero sentirsi al telefono. La scelta dell’Italia, in vista del voto di giovedì, non è ancora stata presa: il bivio, per come si è configurato, lascia alla leader italiana pochi margini di manovra. Votare per la candidata del Ppe vuol dire isolarsi ancora di più dalla destra eurotrumpiana. Non farlo equivale a minare tutto il sistema di alleanze strategiche costruito in quasi due anni di lavoro da palazzo Chigi. La Lega, dal canto suo, è l’unico tra i partiti della destra radicale che deve prendersela non con un governo nemico, come tutti gli altri ma con un esecutivo di cui è parte integrante e si sa che nessuna posizione è più scomoda di quella dei partiti “di lotta e di governo”. Oltretutto qualche problema ce l’ha anche all’interno dei patrioti, perché i fratelli francesi di Rassemblement (a differenza degli spagnoli di Vox) insistono nel chiedere che l’impresentabile generale Vannacci non sia vicepresidente del gruppo, passo indietro che né Vannacci stesso né Salvini sembrano avere alcuna intenzione di muovere. Insomma, la nuova Europa condizionata (forse) dal ritorno di Trump alla Casa Bianca è un terreno molto scivoloso per la leader di FdI ma non è una passeggiata neppure per quello della Lega.

16 Luglio 2024

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