Assolutismo della maggioranza

La Stampa dimentica Norberto Bobbio e si piega all’assolutismo della maggioranza

Mattarella denuncia le conseguenze di una democrazia a bassa intensità, ma il quotidiano torinese, immemore del suo editorialista principe asseconda la volontà di potenza delle destre

Editoriali - di Michele Prospero

10 Luglio 2024 alle 12:19 - Ultimo agg. 11 Luglio 2024 alle 12:20

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La Stampa dimentica Norberto Bobbio e si piega all’assolutismo della maggioranza

L’affondo con cui Salvini ha replicato al discorso forse più importante pronunciato dal capo dello Stato conferma che ogni nobile ragione deve tacere allorché la forza dei numeri è il solo dispositivo di cui una maggioranza intende avvalersi per imporre il fatto compiuto. L’assolutismo del governo è cosa già sperimentata quale postura complessiva dei nero-verdi, il premierato elettivo non farebbe altro che conferire una sistemazione blindata ad una semplificazione del pluralismo istituzionale che calpesta l’abbiccì della separazione dei poteri. A Trieste Mattarella ha volato alto nel denunciare i costi dello scivolamento in una “democrazia a bassa intensità”. Oltre alle sgrammaticature costituzionali che si susseguono ormai abitualmente, le preoccupazioni del Presidente interrogano anche lo scadimento del pensiero politico odierno. Più ancora delle balbuzienti contro-riforme del sistema di governo, è infatti il declino nell’officina della teoria, il fenomeno oggi probabilmente più inquietante.

Non a caso, tra i pensatori citati dal Colle per stigmatizzare il cortocircuito di un progetto di potere sovrano insofferente verso gli argini e le garanzie si trova Norberto Bobbio. Il filosofo torinese, censore infaticabile delle pulsioni illiberali che si annidano nella formula “democrazia della maggioranza”, era anche l’editorialista principe de La Stampa. E, segno di un’epoca in cui i valori primari si sono capovolti, proprio su quel giornale sono di recente apparse le giustificazioni storico-teoriche circa la sostenibilità di una “democrazia illiberale” made in Italy, che non parrebbe in alcun modo “un pericolo ovvio, evidente, inequivocabile”. Secondo il quotidiano di Torino, è perciò indispensabile comprendere i buoni argomenti di una destra radicale, la quale, con la sua spiccata “cifra nazional-populista”, ricusa il cappio delle esigenti tecniche garantiste di matrice liberale. Nello schema di un sovranismo condito con dosi di “estremismo maggioritario democratico ma illiberale”, “patria e volontà popolare” si rivelano gli arnesi branditi per sfidare “l’ipertrofia dei contrappesi liberali” – parlamenti, burocrazie, organi neutrali.

Ai “liberali non democratici”, i quali cedono competenze a vantaggio di istituzioni non maggioritarie e tecnocrazie animate da “un disperato bisogno del mostro per puntellare la propria traballane legittimità”, si opporrebbe una destra antisistema che “chiede più democrazia e meno liberalismo” per combattere “la cinica, brutale operazione di potere, tutta interna alle logiche del Palazzo” tendente ad escluderla dai giochi. Tuttavia nelle dottrine politiche contemporanee, dopo Constant, Tocqueville, Stuart Mill e Kelsen, nessuno osa più concepire la democrazia come entità ad una sola dimensione, quella per cui chi prevale nelle elezioni riassume in sé la sovranità popolare e, in ossequio all’investitura conquistata, si sente autorizzato ad annichilire le procedure e i principi del costituzionalismo. Mattarella smonta i miti del sovranismo che, a rito elettorale concluso, reclama i bulloni per un esecutivo dai pieni poteri, ricordando che il popolo, in nome del quale si vorrebbero contrarre le forme, i criteri e le garanzie liberali, altro non è che una costruzione artefatta.

Attraverso la combinazione tra un astensionismo crescente e le alterazioni della rappresentatività ottenute grazie a qualche “marchingegno” fantasioso nel conteggio delle schede, la nozione di maggioranza diventa piuttosto evanescente. Per scongiurare modelli nei quali “le libertà risulterebbero vulnerate”, il Quirinale fissa quindi alcuni paletti irrinunciabili: “l’eguaglianza del diritto di voto” non può essere manipolata mediante distorsivi meccanismi premiali escogitati apposta per fabbricare un vincitore certo, e la preservazione del “ruolo insopprimibile delle assemblee elettive” pretende una loro completa autonomia funzionale con una legittimazione delle Camere distinta da quella del capo trionfatore. Le analisi di Mattarella si rivolgono alla società civile tuttora capace di riflessione, poiché entro le élite mediatiche le sue parole scorrono come l’acqua. Sul Corriere della Sera si riconduce la crisi delle liberaldemocrazie – Francia e Stati Uniti – all’ “errore del 1986” quando a Parigi, inseguite dai fantasmi delle colpe del “colonialismo da riparare”, le sinistre non intuirono “il legame tra stranieri e criminalità” ovvero “l’accostamento tra il mestiere dello spacciatore e la sua provenienza etnica”.

Stando a questa lettura, a produrre Le Pen sarebbero stati gli immigrati, “meglio ancora se avevano la pelle di un colore diverso”, insomma “gli adolescenti che trattavano le ragazze bianche come delle prede sessuali”. La gauche non bloccò “gli spacciatori di quartiere” né “i ragazzi beur che incendiavano le auto”, per questo non ha saputo edificare in tempo una République identitaria ed etnicamente compatta. Non per niente, nella cruciale contesa francese, pure Repubblica aveva intravisto un referendum tra Mélenchon,il leader venato di antisemitismo”, e Le Pen, che invece “è riuscita a cancellare le tracce di antisemitismo”. Tra “un improbabile fronte repubblicano” e una “destra che vuole essere accettata nella sua maturità”, era palese dove battesse il cuore a largo Fochetti. Il Capitano padano ha licenza di emanare i suoi cattivi suoni anche perché la cosiddetta crema della grande stampa borghese si è già spinta molto in avanti nella ideazione di una democrazia sovrana nella quale i leader sono gli unici interpreti di una comunità omogenea e coesa.

10 Luglio 2024

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