Violazioni senza precedenti
La maggioranza calpesta la democrazia: se il voto non piace si ripete
Dalla commissione d’inchiesta sul Covid all’autonomia differenziata, la maggioranza si è resa protagonista di violazioni senza precedenti: il Parlamento non conta più niente
Editoriali - di Salvatore Curreri
Tre indizi fanno una prova. Primo indizio: commissione Affari sociali della Camera, seduta dello scorso 17 gennaio. All’ordine del giorno vi è la proposta d’istituire una Commissione d’inchiesta sulla gestione del Covid-19 (a livello solo nazionale…).
A conclusione dell’esame, come di consueto si vota la proposta di conferire alla relatrice il mandato di riferire favorevolmente all’Assemblea sul provvedimento.
Imprevedibilmente, a causa di assenza nella maggioranza, il risultato è di parità: undici contro undici, quindi proposta bocciata. Il Presidente, sorpreso, ritiene che la votazione vada ripetuta a causa della “concitazione” in cui si è svolta, causata dalla presenza di molti deputati in piedi, e che gli ha reso difficoltoso conteggiare i voti favorevoli e contrari.
Vibranti proteste dell’opposizione che, tra l’altro, esattamente rileva come il Presidente deve accertare la sussistenza delle condizioni perché la votazione sia corretta prima del suo svolgimento anziché dopo, altrimenti vi è il fondato sospetto di essere stato condizionato dal suo esito. Epilogo: i deputati dell’opposizione abbandonano la Commissione che rivota e, stavolta, approva il mandato alla relatrice.
Secondo indizio (si replica): commissione Affari costituzionali della Camera, seduta del 24 aprile. Nel pomeriggio si prosegue l’esame, iniziato in mattinata, del disegno di legge Calderoli per l’attuazione dell’autonomia differenziata.
Ad apertura di seduta viene posto in votazione un emendamento per togliere dal testo il termine “autonomia” la cui approvazione potrebbe essere corretta dall’Aula.
Anche stavolta il risultato sorprende il Presidente: dieci favorevoli e sette contrari, sempre a causa delle assenze nelle file della maggioranza. E anche stavolta il Presidente, anziché proclamare il risultato del voto, decide di ripeterlo perché la “situazione di grave confusione determinatasi in aula” non gli avrebbe permesso di conteggiare contrari e astenuti.
Nuove accese proteste dell’opposizione che però non distolgono il Presidente dalla decisione di ripetere il voto: non immediatamente, come prevede l’art. 57.1 del regolamento, ma addirittura dopo due giorni. Non c’è bisogno che ve ne scriva l’esito.
Terzo indizio. Sempre a proposito del disegno di legge Calderoli. La Commissione Affari costituzionali della Camera frettolosamente ne discute e vota gli emendamenti di fatto in appena sei sedute nel corso delle due settimane dall’11 al 27 aprile; il 29 l’Aula comincia la discussione generale e ci si aspetterebbe, vista l’accelerazione, che prosegua nei giorni successivi: errore.
Di colpo, venuta ormai meno l’esigenza di comprimere il dibattito, la premura passa e l’esame del disegno di legge viene calendarizzato in Assemblea nella settimana dal 21 al 23 maggio.
Non solo: essendo stato il provvedimento inserito al quarto punto all’ordine del giorno, è presumibile che se ne riparlerà a giugno, dopo le elezioni europee.
Tre indizi, dunque, che provano di come la marginalità delle Camere sia tale da far saltare le più elementari regole del gioco parlamentare, a cominciare da quelle che regolano l’esito delle votazioni.
All’apparenza possono sembrare mere questioni procedurali, e quindi sostanzialmente di poca o nessuna importanza. Però chiediamoci: se l’opposizione non può nutrire neppure la remota speranza di profittare degli incidenti di percorso della maggioranza, perché questa può sempre sovvertire l’esito delle votazioni parlamentari, che ci sta a fare?
È certamente vero che l’opposizione deve puntare sull’azione di critica e di controllo nei confronti della maggioranza, per metterla in difficoltà innanzi tutto nei confronti dell’opinione pubblica.
Ma questo non significa che debba rinunciare a sconfiggerla, mettendone in risalto le défaillance che la trasformano da maggioranza politica in maggioranza numerica. Situazione peraltro cui la maggioranza può sempre rimediare tramite l’Aula o l’altro ramo del Parlamento.
Il vero è che di cattivo precedente in cattivo precedente si è toccato ormai il fondo. Da qui tre considerazioni. Innanzi tutto il ruolo dei Presidenti di Commissione.
A loro non può essere certo chiesta l’assoluta imparzialità che si pretende dai Presidenti di Assemblea, tant’è che, al contrario di loro, essi votano. Ma il rispetto delle regole sì, anche quando la loro applicazione va contro la maggioranza cui appartengono.
Forse costoro si potranno ritenere soddisfatti per aver portato a casa il risultato e magari potranno includere queste furbate nel loro cursus honorum politico.
Ma il prezzo pagato dalle istituzioni è troppo alto da poter essere sopportato. Anche perché è facile prevedere che a parti politiche invertite simili decisioni si ritorceranno contro per cui si invocheranno questi cattivi precedenti perché un domani un disegno di legge sia votato e rivotato finché non approvato o sia parcheggiato il più presto possibile in Assemblea per comprimere l’esame in Commissione.
In secondo luogo il ruolo dei funzionari, a cominciare dal Segretario generale, che sono chiamati a garantire il rispetto dei regolamenti perché al servizio non della maggioranza di turno ma dell’istituzione parlamentare da cui dipendono.
Di un loro intervento, in tutte queste vicende, non v’è traccia sicché rimane il dubbio se il loro silenzio sia dovuto a marginalità o a succube complicità.
Infine il Presidente della Camera che stavolta, con lettera inviata al Presidente della Commissione affari costituzionali il 25 aprile, ha preso posizione, da un lato ricordando che non spetta a lui ma al Presidente della Commissione indire le votazioni e proclamarne l’esito, dall’altro però invitando per il futuro che tale fase deve avvenire nel rispetto del massimo rigore procedurale e fattuale, tra cui l’immediata indizione della controprova. Se non una sconfessione di quanto operato, poco ci manca.
In conclusione, per quanto ignorate dai più, le forzature procedurali che si stanno susseguendo con preoccupante periodicità, peraltro durante l’esame di un disegno di legge d’estrema importanza quale quello c.d. Calderoli per l’attuazione della c.d. autonomia differenziata confermano quella che ormai è ben più di una tendenza a violare la dignità del Parlamento, oramai sempre più compresso nella sua azione, subissato da decreti legge da convertire tramite maxiemendamenti su cui è posta la fiducia.
Un Parlamento che invece andrebbe difeso dalla volontà sopraffattrice della maggioranza di turno rafforzando le garanzie dell’opposizione, anche ricorrendo agli organismi di garanzia esterna. Ne riparleremo.