Il dramma dietro le sbarre
Il carcere va contro il messaggio di Cristo, ecco perché
Le gravi violazioni del diritto e dell’umanità che si consumano dentro le carceri, nascoste agli occhi di chi è fuori e non ha interesse né possibilità di conoscere, continuano a essere, per ogni retta coscienza, un pesante atto di accusa che sale verso Dio.
Giustizia - di Don Vincenzo Russo
È triste constatare che in tanti luoghi, che sono abitati da sofferenza e nei quali trovano forma le contraddizioni più evidenti del nostro vivere sociale, tutto sembra andare in direzione contraria allo spirito che l’annuncio cristiano contiene come suo fondamento. Ciò è senz’altro vero per il carcere. Dio libera l’uomo; l’uomo, in carcere, lo priva della libertà. Dio, incarnandosi, ha elevato la vita umana a grande dignità; l’uomo, in carcere, calpesta tale dignità.
Dio si è chinato sulla persona per farsi carico della sua vita; l’uomo, in carcere, l’abbandona, quasi l’annulla, e non si cura di lei. Norme ma soprattutto decisioni umane hanno reso questo luogo ostile all’annuncio cristiano. Ma proprio per queste ragioni non ce ne è uno pari a questo in cui Dio sia realmente presente.
Dove trovare Dio, infatti, se non nella vita preclusa alla speranza di coloro che sono in catene, che soffrono una condizione di abbandono, di privazioni di ogni sorta? Egli trova dimora in quelle celle dove spesso si consuma, oltre all’inevitabile sofferenza della pena, un aggiuntivo supplizio dovuto a condizioni di vita che oltrepassano il rispetto dei principi di umanità e si configurano come trattamenti inumani.
Come definire se non in questo modo la grave carenza igienico sanitaria nella quale si trovano a vivere persone detenute, in mezzo a insetti e parassiti, in ambienti malsani e degradati, tali da calpestare ogni dignità? Di fronte a simili drammi, taciuti e non riconosciuti, salutiamo le poche azioni e alcuni singoli atti, capaci però di levare in alto il grido di giustizia.
È recente una sentenza del Tribunale di Sorveglianza di Firenze che ha accordato a un detenuto uno sconto di pena significativo riconoscendo come, durante i suoi anni di detenzione nel carcere di Sollicciano, egli abbia subito trattamenti inumani, a causa delle gravi condizioni igieniche e della ristrettezza degli spazi.
Questo riconoscimento è importante, ma non basta una singola sentenza! Come non bastano le tanto pubblicizzate ed estemporanee attività che alcune realtà associative svolgono, forse con finalità di apparenza e non come occasioni utili a costruire un vero percorso di dignità e umanità per il bene delle persone detenute.
Non basta un pranzo di Natale, un momento di festa, a portare la vita nei luoghi di privazione non solo della libertà ma, spesso, anche della vita. Le parole pronunciate dal Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, in occasione della messa celebrata in carcere a Sollicciano per il Natale, hanno richiamato ancora una volta la durezza di quel luogo, assetato di pace e di giustizia.
Ciò è stato ribadito anche nella messa celebrata in cattedrale, dove il Cardinale ha affermato che il volto della pace annunziata dagli Angeli ai Pastori è ferito dalle condizioni inumane delle nostre carceri, in cui si punisce ma non si sostengono percorsi di recupero che portino alla rigenerazione umana e sociale dei detenuti ed evitino l’inesorabile reiterazione dei reati.
Le gravi violazioni del diritto e dell’umanità che si consumano dentro le carceri, nascoste agli occhi di chi è fuori e non ha interesse né possibilità di conoscere, continuano a essere, per ogni retta coscienza, un pesante atto di accusa che sale verso Dio.
Quanto, anche la comunità cristiana, deve ancora fare per rendere presente il suo annuncio tra quelle mura, per proteggersi dalla facilità della solidarietà sbandierata, dell’iniziativa spot, dei grandi eventi di beneficenza che esauriscono il loro effetto in poche ore e non raggiungono realmente le persone e non le accolgono nel loro essenziale bisogno!
Di una cosa può esserci certezza. Se la comunità cristiana talvolta è assente o poco autentica, Dio è invece realmente presente dietro le sbarre, detenuto con i detenuti, oltraggiato con loro da indifferenza e rifiuto. Dio è insieme alla persona povera, ferita, sofferente che qui ha dimora. È luce per chi non ha forza di guardare al futuro.
Non perché cieco, ma perché avvilito nella speranza. I veri ciechi siamo spesso noi fuori, falsi liberi, prigionieri di pregiudizi, di consolanti illusioni, di vuote aspirazioni. A essere più che mai urgente è per noi l’incontro con l’autenticità dell’annuncio cristiano e umano, perché si generi un cambiamento che diventi apertura verso l’altro, che ci conduca a gesti concreti per le persone che soffrono a causa della detenzione, per dare speranza e restituire dignità a chi è gravemente oppresso dalle orribili condizioni di vita del carcere.
*Direttore pastorale carceraria Diocesi Firenze, Consiglio Direttivo di Nessuno tocchi Caino