La premier non ne indovina una
Banche, Ryanair e Forza Italia: tutti contro Meloni
Politica - di David Romoli
Giorgia Meloni e Matteo Renzi sembrano impegnati in un gioco delle parti che lascia ammutolita solo Elly Schlein. La premier, decisa a recuperare il terreno perduto con la disastrosa gestione della vicenda salario minimo, procede nella strada “né di destra né di sinistra” che di fatto guarda, se non proprio a sinistra, almeno a una destra sociale che fa proprie istanze della sinistra. Renzi non perde l’occasione per chiarire che la vera destra liberista è lui e su questo terreno è tutto uno strizzarsi l’occhio con Forza Italia. Giorgia Meloni, in un lungo video, ha affrontato l’intera agenda sociale sul tappeto oggi. Difende la tassa sugli extraprofitti delle banche, quella che l’ex segretario del Pd e Calenda sembrano considerare bolscevismo applicato e che agli azzurri palesemente piace pochissimo: “La più importante misura approvata dal cdm riguarda la tassazione sui margini ingiusti delle banche. In questa difficile situazione è necessario che il sistema bancario si comporti in modo il più possibile corretto”.
Sul rdc Meloni difende la sua scelta ma senza calcare i toni, senza accenti truculenti contro i furbetti del divano, e anzi cercando di dimostrare, dati alla mano, che la sua strada è la migliore proprio per quelli che sinora il reddito lo hanno percepito. Sul salario minimo, in vista dell’incontro con le opposizioni, cavalca un discorso non privo di fondamento: bisogna essere certi che il salario minimo non diventi massimo, altrimenti moltissimi invece di guadagnarci ci perderebbero e non è un discorso del tutto campato per aria. Su questa base arriva a ipotizzare una mediazione con l’opposizione tale da permettere addirittura la presentazione di un “progetto di legge comune”. Non succederà ma l’intenzione di riesumare l’immagine di una destra attenta al disagio sociale quanto e più della sinistra è evidente.
A tal fine la mossa fondamentale è la tassa sugli extraprofitti. Le banche evitano lo scontro frontale. Per limitare fortemente il danno derivato dalla tassa sugli extraprofitti preferiscono lavorare di pressioni discrete e gioco di lobby. Un risultato lo hanno ottenuto subito, complice il crollo dei titoli bancari di martedì scorso. Nella stessa serata il Mef ha diffuso un comunicato per chiarire che il prelievo non potrà andare oltre lo 0,1% del totale attivo. La portata del provvedimento viene così drasticamente ridimensionata. Conti precisi non se ne possono al momento fare ma secondo le stime di Equita si passa da un prelievo complessivo tra i 4,5 e i 5 mld a una cifra più che dimezzata, intorno ai 2 mld. Le prossime tappe nella controffensiva silenziosa delle banche sono la definizione del decreto, annunciato ma non presentato e dunque o ancora da scrivere o comunque passibile di modifiche sino all’ultimo secondo, e poi il passaggio parlamentare, in settembre, con possibili e anzi probabili emendamenti.
Le perplessità del ministro dell’Economia Giorgetti restano un punto interrogativo. Lui non le ha certo confermate, neppure indirettamente, ma del resto non sarebbe nello stile dell’uomo. Al posto delle parole ha però fatto parlare i fatti, con il tetto al prelievo apposto ieri sera e che comunque ha sortito il risultato ufficialmente atteso: dopo il crollo di martedì, ieri i titoli bancari hanno ripreso a galoppare. Nella maggioranza l’area più evidenemtente dubbiosa, quella che potrebbe intervenire con una raffica di emendamenti al momento della conversione e sulla quale fanno leva le banche per alleggerire la norma è Forza Italia. Patuelli, il presidente dell’Abi, è amico di vecchia data di Antonio Tajani, il leader azzurro: il primo a cui Patuelli si è rivolto.
La differenza di toni tra Salvini e i forzisti è evidente. “E’ un’opera di redistribuzione economicamente e socialmente doverosa”, rivendica a pieni polmoni il leghista. Tajani, che all’inizio aveva esaltato il prelievo perché “corregge gli errori della Bce”, dopo 24 ore e un presumibile giro di telefonare molto più tiepido: “La tassa potrà essere approfondita durante l’esame delle Camere”. Parole in sintonia con quanto dichiarato a botta calda, martedì mattina, dal capogruppo azzurro Barelli: “In Parlamento se necessario proporremo emendamenti”. Lo scarto di Fi non dipende solo dalle pressioni delle banche. Riveste anche un carattere strettamente politico, che attiene agli equilibri nella maggioranza. Il leader azzurro non ha certo apprezzato l’insolita alleanza tra la premier e Salvini, una manovra che ha tagliato fuori proprio lui facendo apparire Forza Italia come una forza minore nella maggioranza. La tassa per le banche è inoltre un terreno particolarmente utile per verificare le chances di un dialogo con i renziani. Gli azzardi fantasiosi sull’ingresso di Renzi nel partito azzurro o nella maggioranza sono in realtà del tutto irrealistici. In compenso un asse interno/esterno alla maggioranza basato su un dialogo e spesso sulla convergenza tra Fi e Iv è del tutto plausibile. In fondo se a sinistra ci sono Elly e Conte e a destra la premier e Salvini scelgono di competere sul loro terreno, di spazio per una vera destra economica, magari liberale ma certo liberista, dovrebbe essercene a volontà.