Il ritratto della premier

Giorgia Meloni: quando il capitalismo politico batte il neoliberismo

Politica - di Michele Prospero

8 Agosto 2023 alle 17:30

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Giorgia Meloni: quando il capitalismo politico batte il neoliberismo

L’abbandono della “Via della Seta” è il prezzo che un esecutivo non più a credo sovranista è disposto a pagare per ottenere riconoscimento nel club atlantico come credibile potenza mediterranea. In cambio, Biden garantisce ai “patrioti” di chiudere un occhio sulle minacce da loro rivolte all’autonomia personale e allo Stato di diritto.

Meloni, convertitasi repentinamente ai principi del libero scambio, afferma che “in Cina le imprese devono passare i dati al governo se questo lo chiede”. E però, in nome di una libertà dei traffici solo sbandierata, calibra poi la sua condotta non sulle regole del mercato bensì sulle strategie mondiali imposte da Washington, che avanzando considerazioni politiche pone sulla concorrenza delle merci una ipoteca ideologica: la convergenza delle “democrazie” a fianco dell’Impero insidiato nel suo primato economico-finanziario dal “totalitarismo” asiatico.

Al calcolo economico delle convenienze e dei rischi succede un codice politico che ordina ai singoli paesi di adeguarsi alle superiori disposizioni strategico-militari, senza vaglio alcuno dei vantaggi, degli interessi. In tempo di guerra, la politica internazionale sale al primo posto perché stare da una parte o dall’altra della barricata diviene una scelta dirimente. Allora l’opportunità politica di conciliarsi con i diktat del socio principe, e di riscuotere così completa legittimità, piega in Meloni le ragioni dell’economia. Ormai il volto di un capitalismo politico subentra alla globalizzazione liberista in ritirata. Il cosiddetto neoliberismo, almeno nella sua essenziale proiezione transnazionale, viene archiviato in Occidente con il varo di un fresco capitalismo di Stato che dà direttive a chi negozia, pretende vincoli, limiti, barriere.

Roma può anche scegliere di isolare Parigi e Berlino, neppure invitate alla Conferenza sulle migrazioni, l’importante è mostrarsi inflessibile verso Pechino, i cui scambi commerciali con l’Italia sono peraltro incomparabilmente inferiori a quelli che la Cina intrattiene con la Francia, la Germania, gli Usa stessi e molti paesi del Sud-Est asiatico sostenitori dell’asse occidentale. Se sui legami con Putin le destre europee si dividono, con un’anima ultra-atlantica (da Varsavia a Roma) contrapposta ad una filo-russa (Orbán, Le Pen, Alternative für Deutschland), sulla necessità di spezzare le reni alla Cina tutte marciano compatte anche per soddisfare le richieste del piccolo commercio interno. E pure gli Stati Uniti, giunti sulla soglia di una guerra civile, ritrovano nel fronte condiviso contro il celeste impero l’unità sacra tra repubblicani e democratici. Per gli Usa contenere la Cina mantenendo la supremazia derivante dall’egemonia monetaria del dollaro nelle transazioni internazionali rappresenta di sicuro un interesse nazionale. Si può dire altrettanto per l’economia italiana?

Non c’è alcuna svolta in Meloni. Da aspirante guida continentale della destra, tramuta il suo antico euroscetticismo di stampo sovranista, che ammiccava alla Russia, in un nuovo euroscetticismo di conio filo-americano. Comune ad entrambi i disegni è la volontà di smontare ogni passato segnale di autonomia strategica dell’Ue, a cambiare è solo il beneficiario finale di una tale linea politica: nel primo caso Mosca, nel secondo Washington. Il contrario dello slogan “la pacchia è finita”. Ribadisce il presidente del Consiglio che “la grande differenza fra le forze conservatrici e quelle della sinistra è che noi ci preoccupiamo della realtà, loro vogliono un mondo che non è quello in cui vivono”.

La “realtà” che Meloni venera, in risposta all’“approccio ideologico e utopico” dei suoi avversari, è quella che prevede che l’Europa politica debba annichilirsi e che il gran duello con Pechino venga condotto sotto le bandiere Usa, anche sacrificando vitali interessi nazionali e comunitari. Di fronte all’assenza di una politica industriale ed economica (nonostante la propaganda governativa sulla “crescita” superiore a Francia e Germania e sul “dinamismo” del nostro sistema produttivo, i recenti dati Istat confermano la caduta del Pil), l’unico interesse strategico che Meloni coltiva è quello di scoprire un tiranno qualsiasi che, ben ricompensato, arresti i flussi irregolari di migranti. La retorica del blocco navale contro l’irruzione allogena in corso può continuare indisturbata. Per scongiurare però che i freddi numeri, i quali documentano la moltiplicazione degli sbarchi sulle coste siciliane, svuotino anche la pomposa dichiarazione di guerra agli scafisti quali colpevoli di un “reato universale”, Meloni presidia manu militari i telegiornali. E, come ai bei tempi, le cattive notizie scompaiono dall’agenda dei media unificati, che cantano un inno perpetuo al regimetto della piena occupazione televisiva. La cronaca nera rimarca solo i casi di violenza e criminalità che vedono come protagonisti degli immigrati. Il resto è narrazione edificante sulla vita privata della madre della Provvidenza.

Dove il “Corriere” e “la Stampa” scorgono una felice metamorfosi, che dall’antieuropeismo appassito sfocia in un più accorto realismo in salsa europea, si cela in realtà il solito tratto occasionalistico della destra radicale. Questo odierno “conservatorismo” non ha valori (il suo programma è camaleontico), se non quello di issare, in nome della Nazione, muri che ostacolino la liberazione del lavoro, il consolidamento della civiltà liberale e dei diritti fondamentali. Rompere il progetto di integrazione europea è il manifesto massimo delle destre. Scartata la provocazione sovranista dell’Italexit (anche se un trionfo generale dei “conservatori” potrebbe comunque produrre un cortocircuito), il medesimo obiettivo dell’irrilevanza dello spazio politico del vecchio continente può essere con efficacia conseguito coniugando identità etno-nazionalista ed euro-atlantismo passivo. Avere in Europa dei governi con la coda di paglia, sorretti da capi reazionari in cerca di perdono oltreoceano, è anche per la Casa Bianca un’occasione ghiotta che suggerisce di soprassedere alla contrazione di qualche libertà civile.

(Seconda puntata / fine. La prima puntata è stata pubblicata sull’Unità del 5 agosto)

8 Agosto 2023

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