Una cosa non di destra
Cosa sono gli extraprofitti delle banche e i rischi per i correntisti: la mossa di Meloni per fare cassa e consenso
Economia - di David Romoli
In termini militari si chiama “controffensiva”. Il botto col quale il Cdm ha festeggiato la sua ultima riunione prima della pausa estiva, oltre che fragoroso, era davvero inatteso e imprevisto: una tassa del 40% sugli extraprofitti delle banche, cioè su quelli che superano di almeno il 5% i profitti del 2022 e del 10% e passa quelli del 2021. In Spagna è già stato fatto e i risultati per ora sono più che confortanti. In Italia dovrebbe portare in cassa 2,8 mld che andranno in parte a riequilibrare il rialzo dei mutui, in parte saranno usati per diminuire le tasse ma in realtà serviranno soprattutto a prolungare l’abbassamento dello scudo fiscale. Un passo opzionale in teoria ma obbligatorio nella realtà. Tornare indietro sarebbe per la credibilità del governo fatale.
Ma a giustificare la scelta drastica non è stata l’urgenza di fare cassa. La decisione è stata presa da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, su input della prima, senza passare per il vaglio preventivo dell’economia Giorgetti. Segno evidente che si è trattato di una decisione politica molto più che economica. A nessuno è sfuggita l’assenza del ministro dell’Economia dalla conferenza stampa a conclusione del Cdm. Giorgetti, anche in privato, ha offerto varie giustificazioni per la defezione, forse reali, forse diplomatiche. È possibile che non volesse “mettere la faccia” su una misura che non condivide ma è anche possibile che sia stato invece Salvini, il leader politico, a voler siglare di persona l’affondo contro gli extraprofitti. In ogni caso un dato resta comune: il carattere strettamente politico della strategia messa in campo. L’affondo delle opposizioni sul salario minimo e le proteste provocate dalla revoca del rdc hanno messo la premier e il suo vice di fronte a una realtà della quale forse non avevano tenuto abbastanza conto: il fianco esposto del governo, il lato debole, è l’ingiustizia sociale. Hanno dato per mesi la sensazione non infondata di essere pochissimo attenti alla sofferenza e ai problemi di vaste fasce della popolazione. Il Pd e i 5S sono riusciti, dopo essere rimasti imbambolati per mesi, a cavalcare quel malessere crescente e la premier ha capito di doversi muovere.
La tassa non è il solo segnale lanciato in direzione di un ritorno ai temi della destra sociale: le misure sul caro volo penalizzano una delle strategie più adoperate dalle compagnie aeree per maggiorare i prezzi. Sui taxi un passo avanti è stato fatto, sia pur piccolo: all’ultimo momento è stata depennata la norma che consentiva l’accumulo delle licenze, che però sarebbe andata a vantaggio solo di grandi imprese sul modello di Uber. L’aumento del 20% delle licenze nelle grandi città scalfisce almeno il potere di una corporazione sempre blindatissima e che rappresenta una delle basi sociali eminenti proprio della destra. Infine la convocazione delle opposizioni per un incontro venerdì prossimo sul salario minimo è un segnale di apertura indiscutibile ed è anche una vittoria dell’opposizione stessa. Un mese fa la maggioranza era convinta di poter risolvere la faccenda in souplesse, con un emendamento soppressivo. Quanto di concreto ci sia nell’invito alle opposizioni e quanto di propagandistico lo si scoprirà solo venerdì. “Accoglieremo l’invito ma senza dimenticare le dichiarazioni contro il salario minimo degli ultimi mesi. Siamo disponibili al confronto a patto che non sia uno specchietto per le allodole, una sceneggiata sulla pelle di lavoratrici e lavoratori”, afferma in un video la segretaria del Pd che non commenta invece la tassa sui profitti bancari.
È ovvio che un simile provvedimento metta in difficoltà l’opposizione. Né il Pd né i 5S non lo avevano messa in conto anche perché appena due mesi fa Giorgetti la aveva pubblicamente esclusa. Ma sia pur accusando il governo di essersi mosso in ritardo oppure reclamando la primogenitura della proposta, come fanno tutti i 5S in coro, nessuno si mostra critico. Tutt’altra musica dalle parti del Terzo Polo. I calendiani e i renziani si ritrovano in armonioso accordo quando si tratta di difendere le banche. “Così si stabilisce un precedente molto pericoloso. Domani avremo la tassa anche sugli extraprofitti delle friselle pugliesi?”, esordisce un surreale Calenda. Rincara il renziano Marattin: “È pericoloso il principio per cui quando il governo decide che un settore sta facendo troppi utili lo tassa ferocemente”. Chiude in bruttezza il capogruppo Borghi: “L’extraprofitto richiama il concetto marxista di plusvalore e le banche ricaricheranno il 2% di maggior tassa sui clienti”.
In sé la levata di scudi dei due “terzi poli” sarebbe poco significativa. Il problema è che si accompagna a un calo vertiginoso delle azioni delle banche in borsa, a un aumento dello spread, a un gran rullar di tamburi di commentatori che già segnalano a quanto poco servano le tasse sugli extraprofitti e quanti danni possa fare indirettamente, per via dell’aumento dello spread, la supertassa. Non resta insensibile a tanto allarme il capogruppo di Fi Barelli: “Il governo avrebbe dovuto valutare meglio. In Parlamento metteremo la testa su questo provvedimento e se necessario proporremo emendamenti”. Non è escluso che all’opposizione, per una volta, tocchi difendere in aula il governo Meloni.