L'autodifesa della ministra
Perché la Santanché si deve dimettere: non per l’inchiesta ma per i toni
La ministra non doveva lasciare per un’inchiesta da cui abbiamo appreso dai giornali. Ma se definisce “schifoso” il lavoro giornalistico, deve farsi da parte
Politica - di Iuri Maria Prado

Ieri discutevamo del malcostume cui purtroppo ci si è abituati: la pubblicazione delle notizie di indagine, sui giornali, addirittura prima che l’indagato ne sappia qualcosa ufficialmente. Chiunque sia vittima di questo malcostume ha diritto di lamentarsene, e tutti dovrebbero denunciarlo a prescindere dal fatto che a esserne vittima sia questo o quello.
Ma il discorso non è completo se ora non si aggiunge che, nel caso della ministra Santanchè, la faccenda assume contorni diversi: e non si esaurisce in quella probabile violazione del diritto dell’indagato di avere notizia delle indagini a proprio carico dall’amministrazione della giustizia, nei modi e nei tempi dovuti, non dai giornali e in sistematica concomitanza con qualche evento significativo. Ormai c’è altro, infatti. C’è che dovrebbe dimettersi. Forse non doveva farlo prima di riferire in Senato, ma senz’altro dovrebbe farlo ora: perché non la ministra Santanchè, ma qualunque persona con quel ruolo dovrebbe essere indotta a farsi da parte in una situazione simile.
Quale situazione? Non quella determinata dalla notizia circa l’indagine giudiziaria che la implicherebbe – cosa di cui diremo tra poco – ma quella che la ministra stessa ha creato dopo l’esplosione di quella notizia, in particolare per gli argomenti e i toni cui si è lasciata andare per discuterne e difendersene in faccia al Paese. Un ministro della Repubblica non può, nemmeno se lo pensa e nemmeno se è davvero convinto di aver subito un’intollerabile ingiustizia, definire “sporche” e “schifose” le attività di inchiesta giornalistica che coinvolgono il suo nome. Se ritiene che ci sia un illecito ai suoi danni, può denunciarlo.
Se crede di aver subito un torto ingiusto, può spiegare perché non meritava quel trattamento. Se insomma ha argomenti buoni a giustificare la propria condotta, e a contrastare le accuse, è liberissimo di farlo: in sede giudiziaria, se vi è chiamato o se a quella sede vuole autonomamente rivolgersi; e nel dibattito pubblico, quando crede. Ma non può reagire scompostamente a un‘iniziativa giornalistica semmai discutibile da parte dei cittadini e degli elettori: non da parte del politico che, con mostrina ministeriale, fa la sua requisitoria contro lo “schifo” e la “sporcizia” di cui si accorge giusto perché ne è lambito. E di cui non si accorgeva quando a esserne toccati erano altri (anzi, in quel caso e proprio da quegli altri reclamava le dimissioni che invece per sé ritiene ingiuste).
Poi c’è – e rimane – quel che non va nei ranghi del fronte giornalistico-giudiziario che si è malamente mosso contro la ministra. Ieri un illustre cronista giudiziario, sul primo quotidiano d’Italia, scriveva che il 30 marzo la Procura della Repubblica ha chiesto la proroga delle indagini a carico della Santanchè. Ma la richiesta di proroga (questo non lo dice il Corriere: lo dice la legge) deve essere notificata all’indagato. E dunque perché dopo tre mesi quella richiesta ancora non è stata notificata? Dice: che vuoi farci, sono le lentezze degli ufficiali giudiziari che spediscono gli avvisi. Vedi tu la combinazione, però: la notizia, che non arriva all’indagato per i ritardi di spedizione e recapito, arriva ai giornali che evidentemente fruiscono di canali diversi di comunicazione.
Sempre il Corriere, poi, e sempre a dire dello stesso cronista, Luigi Ferrarella, spiega che in realtà la ministra sapeva tutto, perché i suoi avvocati “avevano avuto con la Procura interlocuzioni esplicite nelle quali era un dato pacifico che Santanchè fosse indagata”. E com’è che le conoscono i giornalisti, queste “interlocuzioni” tra legali e pubblici ministeri? Sono tutte questioni di cui un indagato ha diritto di lamentarsi, ma a un patto: che non lo faccia, da ministro, nei modi, nel luogo e con i toni inammissibilmente prescelti da Daniela Santanchè.