L'autodifesa in aula
Santanché salvata da De Benedetti, ma Meloni è pronta al rimpasto
Il Pd rinuncia alla mozione. Meloni già punta al rimpasto. Chi ha offerto la ciambella di salvataggio alla ministra? Citofonare a il Domani
Politica - di David Romoli
Se voleva essere un agguato, e non è facile immaginare cos’altro intendesse essere, non poteva essere più maldestro. La notizia dell’iscrizione della ministra del Turismo Santanchè nel registro degli indagati, pubblicata da Domani proprio nel giorno delle sospirate comunicazioni di Daniela Santanchè nell’aula del Senato, offre alla imprenditrice non un semplice appiglio ma una gomena per tirarsi almeno un po’ fuori dai guai. Sostiene di non sapere niente, né lei né i suoi avvocati, di quella iscrizione, che del resto secondo il quotidiano di De Benedetti era stata “secretata”.
Se mente non dovrebbe essere difficile accertarlo, in caso contrario vuoi che la notizia sia falsa, ma la ministra sarebbe in realtà indagata sin da novembre, vuoi che sia stata comunicata alla stampa prima che all’interessata, l’effetto boomerang è garantito. Ma persino se la ministra fosse invece al corrente di ciò che nega di sapere e la cui esistenza, anzi, “sul suo onore” nega, cioè la maledetta iscrizione, l’uscita a orologeria la aiuterebbe comunque molto più di quanto la danneggi.
Figurarsi se una donna esperta di politica e di comunicazione come lei si lascia sfuggire la preziosa occasione. Tutta la prima parte delle sue comunicazioni la spende per denunciare “la campagna d’odio contro di me”, per chiedere non alla maggioranza ma all’intero Senato solidarietà attiva contro “queste sporche e schifose pratiche”, per infervorarsi chiedendo se “è un Paese normale quello in cui un giornalista può scrivere cose scecretate e ignote alla diretta interessata?”. Della sua informativa resterà nelle orecchie dei più solo questo, anche perché l’esposizione dei fatti, per essere decodificata, richiederebbe esperienza e conoscenza del diritto amministrativo e fallimentare.
Non c’è modo di orientarsi nel labirinto di azioni e partecipazioni nell’arco di oltre un decennio, non è possibile verificare le cifre che snocciola la ministra parlando, sia ben chiaro, “solo da imprenditrice”. L’informativa stessa, reclamata dall’opposizione ma anche dalla Lega contro il parere di Fi e FdI, non poteva che risolversi in questo poco sensato balletto a uso della più sfacciata propaganda da ogni parte. Il capogruppo leghista Romeo dice forte e chiaro quanto inopportuno sia un simile dibattito “senza che ci sia ancora stato un solo atto giudiziario”. L’affermazione sarebbe più incisiva se proprio la Lega non fosse stata tra i primi a insistere sulla necessità di spiegazioni in aula, dopo l’inchiesta di Report che aveva dato fuoco alla miccia.
Certo, l’imprenditrice incespica sui pochi punti comprensibili al colto e all’inclita: i lavoratori attivi anche durante la cassa integrazione, le aziende non saldate, il debito non ancora restituito di oltre 2 mln con lo Stato. Sono passaggi che imbarazzano lo stesso governo. Nessuno lo ammetterebbe ma le facce parlano da sole. La collega Casellati ascolta con l’espressione disgustata di chi si ritrova un topo tra i patrizi piedini. Il ministro Piantedosi sembra si stia chiedendo cosa gli tocca sentire. Salvini combatte una lotta strenua per tenere le palpebre sollevate almeno a metà. Le zone d’ombra ci sono. Non basterebbero a provocare dimissioni che la regina Giorgia aveva escluso tassativamente, concordando con la sua compagna di partito l’autodifesa e commissariando tutti i ministri con l’ordine di presentarsi in aula. Senza la goffaggine di Domani, però, Santanchè sarebbe uscita dalla prova molto più ammaccata.
Con quel carico di mezzo e con la lunghissima lista di richiesta di dimissioni mitragliata per una decina d’anni da Meloni, anche in casi molto più discutibili di questo, il sedicente dibattito si risolve in una sventagliata di accuse reciproche, tutte fondate. Proprio Borghi, ex Pd passato a Renzi, è il più puntiglioso nel ricordare alla premier tutte le volte in cui ha chiesto a questo o a quella di dimettersi, quasi sempre per inezie come i 3mila euro di Imu non pagati dall’allora ministra Josefa Idem, e spesso per accuse dimostratesi poi infondate. E’ lui il primo a usare l’espressione “presunzione d’innocenza a targhe alternate”, che verrà poi ripresa alla lettera da Romeo e nella sostanza da tutti.
Perché tutti nella politica italiana possono rinfacciare agli altri di essere stati garantisti a senso unico ma giustizialisti quando il treno delle inchieste travolgeva gli avversari, e tutti in realtà lo ammettono. Con la sola eccezione di Misiani che, parlando a nome del Pd, assicura di aver difeso sempre la presunzione d’innocenza con tutti e per tutti. Se ci fosse il premio faccia di bronzo andrebbe consegnato al Nazareno senza neanche insistere con la gara. La battaglia a colpi di propaganda i 5S sono però decisi a vincerla. Invitano ad assistere alla seduta le operaie che accusano la loro datrice di lavoro, salutate da una giusta raffica di applausi. Patuanelli prova a sbugiardare Santanchè con le cifre dichiarate al Senato ma si fa cogliere in fallo dal presidente La Russa che segnala come quelle cifre siano in realtà dell’anno precedente e dunque confermino i conti, peraltro incomprensibili, della ministra. Ma soprattutto i 5S sgambettano il Pd e Avs decidendo di procedere da soli con la mozione di sfiducia.
Il partito di Elly e Avs si tirano indietro. Chiedono, invocano, reclamano le dimissioni. Invitano la ministra imprenditrice a fare da sola, “per dignità”, il passo indietro. Ma di mozioni non se ne parla: “A che serve una mozione di sfiducia destinata a essere respinta”, si chiede il capogruppo Boccia e come si fa a dargli torto. Più discutibile la mossa che il Pd annuncia in sostituzione: convocare in aula i ministri interessati alle più vistose tra le magagne che gravano su Daniela Santanchè. Quello del Lavoro per le finte casse integrazione, quello dello Sviluppo per le aziende rimaste in credito, quello dell’Economia per i soldi non restituiti allo Stato. E’ appena una boutade o poco più.
La giornata si chiude così, in bruttezza e con nulla di fatto.
Non significa però che la ministra sia fuori dai guai. Balboni, per FdI, la difende a spada tratta, assicura piena solidarietà, si scaglia contro Domani e soprattutto contro i 5S che “si fanno dettare la linea da un giornale scandalistico”. Ma la premier è invece furibonda, consapevole di quanto danno d’immagine il caso comunque comporti. Per ora difendere l’accusata è un obbligo. Ma se le cose e le inchieste andranno avanti, se i riflettori resteranno puntati su una rappresentante del governo e del partito che riflette un’immagine opposta a quella su cui punta Giorgia, tra qualche mese Chigi troverà il modo di risolvere il problema alla radice. Con un bel rimpasto che offrirebbe anche l’occasione per sostituire qualche altro ministro che la capa ha trovato in questi mesi deludente.