L'autodifesa della ministra
Meloni scarica Santanché e si prepara al rimpasto di settembre
Lo sgambetto del “Domani” ha spinto la ministra a giocare in contropiede. Ma la notizia che è indagata coi familiari, ha ribaltato tutto. A settembre pronto il rimpasto
Politica - di David Romoli
A Giorgia Meloni l’autodifesa della ministra del Turismo pare sia piaciuta pochissimo. Mercoledì sera, prima ancora che atterrasse l’aereo della presidente di ritorno da Varsavia già circolavano a Roma numerose voci sulla sua irritazione. A decidere di blindare Daniela Santanchè è stata lei, e la perorazione preparata dagli avvocati della ministra imprenditrice era stata sottoposta, nelle linee generali, al vaglio del capo del governo.
Lo sgambetto della iscrizione nell’albo degli indagati sparata da Domani poche ore prima del dibattito nell’aula del Senato però ha cambiato le carte in tavola e costretto la ministra a giocare in attacco ma in modo poco convincente. L’impressione generale è stata che la diretta interessata non sapesse dell’indagine soprattutto perché non voleva saperlo. Il fior d’avvocati che vanta avrebbe potuto venirne a conoscenza senza sforzo, tanto più dopo che la secretazione era venuta meno. Non può sussistere per più di tre mesi: ieri è stato reso noto che l’iscrizione, nell’ambito dell’inchiesta su Visibilia, con altre cinque persone tra cui la sorella e il compagno, risale al 5 ottobre scorso. La secretazione è stata apposta il giorno seguente, la richiesta di accesso al registro avanzata dai suoi legali e respinta per la secretazione risale a novembre: da gennaio la ministra avrebbe potuto prendere atto della situazione, se solo lo avesse voluto.
“Al momento, alle ore 15, non ho ancora ricevuto alcun avviso di garanzia”, ha ripetuto ieri Daniela Santanchè ed è vero ma è anche vero che in questi casi, senza che si prospetti l’invito a comparire, è prassi. Insomma, il parere della premier sarebbe identico a quello che circolava mercoledì in tutti i capannelli di maggioranza dopo l’informativa: “Ha combinato un pasticcio”. Se l’inchiesta arriverà a formalizzare le accuse su cui la procura sta indagando la permanenza della pittoresca ministra nel governo sarà a dir poco molto improbabile. Ma anche se le accuse principali cadessero Daniela Santanchè rappresenta oggi per Giorgia Meloni un problema e un peso. I suoi comportamenti, al di là degli stessi eventuali addebiti giudiziari, ma anche lo stile della sua autodifesa assimilano questo governo e questa destra all’epoca del berlusconismo che invece Meloni vuole assolutamente lasciarsi alle spalle.
Conflitti di interesse, bugie, comportamenti disinvolti o peggio: tutte le ipoteche che paralizzavano il Cavaliere e con le quali l’erede politica non vuole avere niente a che fare. Per questo, comunque vada a finire in procura, non è affatto escluso, anzi è decisamente probabile pur se non certo, che in settembre, nel quadro di un rimpasto di più ampia portata e comunque dopo aver respinto la mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle, se verrà calendarizzata, l’ “imprenditrice” sia accompagnata alla porta. Il nome del sostituto in circolazione, il forzista Valentino Valentini, messo in campo oggi ha poco valore ma il fatto stesso che si parli di un nuovo ministro dice tutto.
Ma la premier è furiosa anche per la fuga di notizie che ha condizionato a fondo il dibattito in aula. Santanchè si è trovata all’improvviso in una situazione molto diversa da quella prevista e per la quale si era preparata. Ha dovuto modificare la linea in corsa improvvisando e non ha brillato. Dunque Meloni è pronta ad accelerare la prossima riforma che sta preparando: una stretta drastica sulla possibilità di pubblicizzare le iscrizioni nel registro degli indagati e gli avvisi di garanzia, oltre a un nuovo intervento sulle intercettazioni.
La storiaccia Santanchè si lascia però dietro uno strascico pesante anche nell’opposizione. Il Pd è stato travolto dall’iniziativa molto spregiudicata del M5S, che ha fatto in modo di imporsi come la sola forza davvero decisa a dare battaglia per scalzare Santanchè dal ministero. Il Movimento ha deciso di forzare sulla mozione di sfiducia contro il parere di Pd, Avs e Calenda, costringendo Elly Schlein a rincorrerli assicurando che voterà la mozione dei 5S. Conte, inoltre, ha organizzato una messa in scena che ha precipitato il Pd in una zona d’ombra. È evidente che il capo dei 5S non intende comunque rinunciare a un rapporto in cui sgambetti e colpi bassi saranno all’ordine del giorno. Per Schlein non è l’orizzonte migliore.