Parla il deputato Pd
Intervista a Matteo Orfini: “Meloni fa demagogia su migranti per nascondere attacco sui poveri”
«Inflazione, contratti precari, tagli alla sanità: nel tradimento dei ceti popolari da parte della destra c’è una frattura possibile su cui costruire un pezzo del consenso del nuovo Pd. Elly deve fidarsi del partito. E viceversa»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

L’ “estate militante” lo avrà tra i protagonisti. E a l’Unità, Matteo Orfini, deputato del Pd, già presidente Dem, spiega il perché. Per convinzione, non per disciplina di partito. E poi l’elogio a l’Unità, che di questa “estate militante” può essere preziosa compagna di viaggio.
Nell’ultima Direzione nazionale del Pd, la Segretaria Elly Schlein ha lanciato l’ “Estate militante” dei Dem. E’ una efficace definizione mediatica o è l’inizio di qualcosa di più profondo e coinvolgente?
Penso che debba essere l’inizio del lavoro di riorganizzazione e rafforzamento del Partito democratico. Da quando Elly Schlein ha vinto le primarie siamo stati schiacciati da una agenda politica che prevedeva elezioni amministrative, da ultimo le regionali in Molise. Abbiamo dovuto affrontare scadenze che erano prioritarie, essendo elezioni. Ora invece abbiamo il tempo per poter lavorare sul Partito democratico, sul suo rafforzamento e anche sulla ridefinizione di una identità, partendo da un clima diverso che c’è. Il Congresso ha portato una spinta sulla quale però bisogna costruire politica, iniziativa. L’ “estate militante” è l’inizio di questo lavoro, cioè il tentativo di mettere all’opera il partito e iniziare a costruire nel paese su alcuni temi, quelli indicati nella Direzione, una opposizione più forte, radicata e quanto più possibile allargata. Di questo c’è bisogno. C’è bisogno di alzare il livello e la forza della nostra opposizione, perché il governo è forte ed è aggressivo. Si è visto con la Meloni in Parlamento, tono, modi, argomenti, rozzezza e arroganza con cui si è presentata, dimostrano come ci sia bisogno di una opposizione dura e forte.
Una opposizione dura e forte si definisce a partire dai contenuti del suo agire, soprattutto sui grandi temi che segnano il nostro tempo: guerra, accoglienza, lavoro, cambiamenti climatici, migrazioni, diseguaglianze…
Il primo obiettivo che un’opposizione deve avere è quello di battere la maggioranza, quindi vincere le elezioni la volta successiva. Per fare questo c’è bisogno di varie cose…
Quali?
C’è bisogno di una identità e di un profilo chiaro, programmatico e politico. Deve essere chiaramente identificabile quali sono i punti di differenza tra noi e la destra, quali sono le priorità del Pd. C’è bisogno di una strategia politica, cioè di capire come rendere l’attuale maggioranza minoranza, e quindi come si aggregano forze e si dividono le loro. Questo vuol dire individuare come, su quali battaglie, attorno a quali priorità politiche e sociali, s’intacca quel blocco di consensi. Come si conquistano voti di persone che hanno votato a destra o che non hanno votato e li si porta a votare centrosinistra. Per fare questo occorre un grande sforzo di analisi. Capire da chi è costituito il blocco sociale di centrodestra, individuando quali possono essere le parti più aggredibili. Faccio un esempio. Non c’è dubbio che il centrodestra ha preso una parte dei voti, soprattutto lo ha fatto Giorgia Meloni, tra i ceti popolari, nella parte del paese più in difficoltà anche economicamente. Nel momento in cui c’è una forte ripresa dell’inflazione, che colpisce soprattutto le fasce popolari, Meloni viene in aula a dire che è colpa dell’Europa. Senza invece dire cosa il governo può e deve fare per sostenere le fasce più deboli nel momento in cui cresce l’inflazione. Questo è l’ennesimo attacco a quella parte del paese che pure, non tutta ma in una dimensione significativa, aveva votato a destra, operato da questo governo. Dalla prima legge di bilancio, i tagli alla sanità pubblica, i tagli ai sostegni per chi non ce la fa a pagare l’affitto, il rifiuto di combattere i contratti precari, il rifiuto di contrastare l’inflazione. Ogni volta nascosti dietro a battaglie ideologiche che servono soltanto a distrarre. Contro i migranti, contro i rave, contro la Bce, contro l’Europa. Se c’è un problema in Europa sono proprio loro, come ha dimostrato il fallimento sui migranti al Consiglio d’Europa per la posizione degli alleati sovranisti di Giorgia Meloni. Nel tradimento dei ceti popolari da parte della destra c’è una linea di frattura possibile sulla quale costruire un pezzo del consenso del nuovo Partito democratico.
Come farlo, da cosa iniziare?
L’ho detto anche in Direzione: non basta il posizionamento politico sulla linea giusta. Bisogna aprire processi politici conseguenti a quel posizionamento. Se noi individuiamo una linea di frattura e un conflitto nuovo dove collocare il Partito democratico, poi dobbiamo costruire lì un processo politico che produca consenso ed eroda quello della destra.
A proposito di discontinuità con il passato. Molto si è discusso sulla posizione assunta da Schlein sulla Libia, la contrarietà al rinnovo dei finanziamenti alla cosiddetta Guardia costiera libica. C’è chi ha parlato e scritto di un superamento definitivo del “modello Minniti”. Lei in passato è stato tra i non molti parlamentari Dem che hanno votato contro quei finanziamenti.
Giovedì 29 giugno è stata per me una bella giornata. Da cerchiare in rosso. Perché finalmente tutto il Partito democratico per la prima volta in aula ha votato contro il rifinanziamento della Guardia costiera libica. La nostra risoluzione su questo è molto netta e chiara. Un giorno importante, perché questa è stata una battaglia difficilissima nel Pd, che abbiamo fatto a volte in troppo pochi e che, però, alla fine è diventata la posizione di tutto il Partito democratico. Di questo è giusto ringraziare la Segretaria del partito che ha prodotto questo passo in avanti. Ma io ci tengo anche a ringraziare quei parlamentari che in questi anni hanno votato in dissenso, che insieme a me hanno votato contro il finanziamento alla Guardia costiera libica e a questo spesso hanno pagato un prezzo molto alto. Alcuni di loro non sono più parlamentari perché aver fatto battaglie di questo tipo non sempre giova al rapporto con chi ha fatto le liste.
Fin qui abbiamo discusso di contenuti, priorità politiche e sociali. Ma il dibattito, almeno sui media, sembra tutto concentrato sulla vexata questio delle alleanze. In particolare tra il Pd e il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte.
Dobbiamo provare a non parlare di questo, sempre e solo di questo, e ridurre tutto questo. Altrimenti ci costringiamo ad una discussione molto politicista. In queste settimane ha detto cose molto serie Zingaretti, quando dice che l’obiettivo del Partito democratico deve essere quello di costruire un progetto credibile di governo alternativo a quello della destra e su questo convincere gli italiani. Un progetto politico significa sicuramente anche uno schema di alleanze ma non può ridursi a questo. Concordo con Nicola quando rimarca la necessità di indicare proposte, declinare una idea di cambiamento, di sviluppo del paese e su quelle proposte costruire la forza del Partito democratico. Le alleanze con questi sistemi elettorali servono, su questo non c’è ombra di dubbio, però non c’è alleanza che risulterà vincente se il Pd vivacchia attorno al 20 per cento. Quando demmo vita al Pd lo facemmo per puntare ad una forza che potesse stare almeno attorno al 30 per cento del consenso del paese. Una solida e rappresentativa forza riformista intorno a cui puoi costruire un sistema di alleanze ma da una posizione che consente di giocarti la partita. Oggi la difficoltà sta nel fatto che da troppo tempo noi non riusciamo a fare del Pd quella forza trainante. Ed è anche la ragione per cui poi ci troviamo incastrati in discussioni con presunti partner che sembrano più interessati a colpire il Pd che ad allearcisi. Noi dobbiamo risolvere quel problema: un progetto politico nuovo sul quale ricostruire la forza del Partito democratico. Questa è la sfida che oggi spetta a un gruppo dirigente diffuso del Pd.
C’è chi sostiene che il rischio del Pd è che si trasformi in un movimento e non in un partito più strutturato, radicato nei territori, con una sua identità definita.
Io non credo che questa sia l’idea della Segretaria del partito democratico. L’ho detto in Direzione: Elly Schlein si deve fidare del Pd. Deve convincersi che il partito che guida può essere la risposta ai problemi del paese. Non è qualcosa da cui difendersi ma è qualcosa da dirigere. E dirigere significa anche fare la fatica di considerare il pluralismo, la discussione, la ricerca della sintesi tra posizioni diverse, come una parte del proprio lavoro. Il Partito democratico è anche questo e se questo pluralismo viene diretto in modo abile può esserne anche la forza, la ricchezza interna e non solo. Però il Partito democratico si deve fidare della sua Segretaria. Non è possibile che ogni azione o frase fatta o pronunciata da Elly Schlein venga vivisezionata per verificare se si sta discostando o meno dal presunto spirito originario del Partito democratico. Elly Schlein è la leader del Pd, scelta dagli elettori del Partito democratico. Tutti abbiamo il dovere di fidarci di lei e lei al dovere di fidarsi del suo partito. O si ricostruisce un senso di comunità, per cui ci mettiamo tutti insieme a lottare per lo stesso obiettivo oppure è davvero complicato, anche perché di là c’è una destra forte, aggressiva.
Per il Partito democratico a cui pensa, l’Unità è uno strumento utile o è un ostacolo addirittura da bandire dalle feste de l’Unità?
Se non lo ritenessi utile non staremmo parlando. I luoghi dove si può discutere, riflettere, ragionare, a volte anche scontrarsi perché i giornali liberi servono anche a questo, a sfidarsi su posizioni che non si condividono o discutere sulle cose su cui è più difficile farlo. A un partito, ma più in generale a una comunità che pensa, un giornale che fa questo, è uno strumento non solo utile ma irrinunciabile. Non viviamo più in un tempo in cui c’è un giornale di partito. Quel tipo di rapporto è figlio di un’altra epoca. Ma non c’è dubbio che il fatto che sia tornata in edicola l’Unità è bene per il Pd e più in generale è un bene per il panorama dell’informazione italiana che non è sia ricchissimo e poliforme.