Un progetto per la sinistra
Il noi prima dell’io, tema politico e culturale
Un progetto maggioritario culturalmente che si trasformi e sia la base per un’azione politica fatta di obiettivi, che abbia un orizzonte, una idea di società e di mondo.
Editoriali - di Roberto Rampi
Si ragiona finalmente, e molto grazie a questo giornale, di pensieri lunghi e di un progetto di egemonia per la sinistra, non solo italiana ma europea. Un progetto che abbia l’ambizione di diventare maggioritario tra le persone e di coinvolgere anche soprattutto chi ha meno, chi è più povero materialmente e anche culturalmente. Chi ha meno mezzi, strumenti di sostentamento e di discernimento. Un progetto maggioritario culturalmente che si trasformi e sia la base per un’azione politica fatta di obiettivi, che abbia un orizzonte, una idea di società e di mondo.
Esiste un pensiero delle destre? Dei conservatori? Ed è un pensiero maggioritario? Dominante? Credo di sì. Soprattutto se consideriamo quell’insieme di fattori economici e psicologici che hanno legato individualismo e consumismo (e in una certa accezione il liberismo) a partire dagli anni ‘80 del novecento. Possiamo dire che dopo l’esperienza drammatica delle due guerre mondiali e dei totalitarismi del Novecento, durante le quali si erano sviluppati pensieri con una forte portata sociale e collettiva, dominante nel pensiero marxista e socialista, nella dottrina sociale della Chiesa ma anche nella strutturazione dei totalitarismi di destra sociale.
Gli anni del dopoguerra hanno visto affermarsi un pensiero della democrazia sociale, del pluralismo che vedeva nei suoi pilastri l’istruzione di massa, l’accesso popolare e diffuso alla cultura, la diffusione di strumenti critici ed insieme un sistema di intervento pubblico che liberasse dal bisogno materiale: casa, sanità e lavoro per tutti. Un paradigma vincente che ha dominato l’Europa dagli anni ‘50 alla fine degli anni’70, che ha visto protagonista la sinistra, quella scandinava, la socialdemocrazia tedesca, il socialismo francese e il labourismo inglese e a cui il Partito Comunista Italiano ha contribuito direttamente dal governo delle autonomie locali e indirettamente sviluppando un pensiero politico e culturale, anche attraverso un movimento di artisti, una letteratura, un cinema, un panorama musicale, che incrociando una parte del pensiero cattolico ha condizionato positivamente le scelte sociali dei governi nazionali.
Il paradigma è cambiato a partire dagli anni Ottanta. Il modello di sviluppo dominante, la produzione di beni di consumo a bassi costi, il domino della plastica, l’idea di benessere sempre più legata al possesso di beni, alla quantità di oggetti posseduti, insieme a una crisi dei legami sociali e allo sviluppo di un individualismo che, ben lontano dal pensiero liberale della libertà del singolo nella comunità, è diventato sempre più sfrenato. La società dei consumi è un modello economico. Beneficia della solitudine perché più la persona è sola e più ha bisogno, o pensa di averlo, secondo il modello del bisogno indotto, di acquistare oggetti per sé. Nell’isolamento si moltiplicano gli acquisti e si condivide meno.
Questa visione dominante prende il sopravvento anche in campo artistico e culturale, accumulo e consumo sono bisogni indotti e status symbol. Ma a consumarsi non sono solo gli oggetti usa e getta. Sono i legami tra le persone. E le persone stesse. E i beni comuni, gli spazi collettivi perdono di valore sociale. La scuola per prima, la sanità, la politica stessa. Si dà valore a ciò che produce vantaggio economico. Si indicano come obiettivi la carriera, l’emergere, il battere gli altri. Si sviluppa l’etica del successo, il prestazionalismo, la competizione. È un quadro dei valori fortemente disgregante. Che incide in ogni ambito della società. La sua forza distruttiva e suicida inizia ad essere evidente. Sul piano personale, ambientale e sociale.
La società disgregata non funziona neppure sul piano economico e alla lunga produce effetti disastrosi. I bisogni emergenti di cura non si risolvono solo con investimenti economici e la solitudine sviluppa le malattie dell’anima. È in questo quadro che ci sono le condizioni per l’emergere e l’affermarsi di un pensiero della sostenibilità, ambientale e sociale insieme. La crisi climatica, l’esaurirsi delle risorse,
La comprensione della fragilità e della finitezza chiedono risposte adeguate. Protezione si, ma ancor di più strumenti per affrontare le difficoltà, ancora una volta strumenti economici e culturali insieme.
Su queste basi si può sviluppare un pensiero che fondi una azione politica. E che sia maggioritario perché capace di dare risposte di senso alla maggioranza delle persone. Soprattutto a chi ha meno, dando speranza e concretizzando speranza con azioni e con proposte. Con una alleanza con i creatori di immaginario, gli artisti a tutto campo, delle arti più consolidate e di quelle emergenti. Per costruire un racconto collettivo che faccia sentire ognuno e ciascuno parte di un tutto. Che insieme affronta le paure e le speranze.
È un pensiero europeista e transazionale, ecologista e non violento, trova riferimenti diversi, a partire certamente da Antonio Gramsci, in Lorenzo Milani, in Marco Pannella, nel pensiero di Gianni Vattimo, nelle scuole economiche della sostenibilità. Nel pensiero sociale della Chiesa e nella pratica delle tante forme di volontariato e di economia sociale. E da qualche tempo ha un giornale di riferimento. Questo.