Il "bavaglio" del governo
Pnrr e Corte dei Conti: un controllo passo passo è gestire insieme le risorse
Era stato per un intento pragmatico che Draghi aveva coinvolto i magistrati contabili
Editoriali - di Alberto Cisterna
Con una raffica di prese di posizione, giuristi di vaglia si sono espressi a favore dell’emendamento governativo che limita i “controlli concomitanti” della Corte dei conti sui progetti del Pnrr. Se, poi, tra questi si annoverano ex presidenti della Corte costituzionale come Sabino Cassese, Cesare Mirabelli e Giancarlo Coraggio è chiaro che la questione non può essere liquidata a colpi di propaganda politica e di polemiche faziose, ma merita qualche ulteriore riflessione.
Non si dimentichi che il Quirinale sarà chiamato a promulgare la legge di conversione del decreto Pa che questa abrogazione del controllo preventivo reca al suo interno e che, in caso di manifesta incostituzionalità, potrebbe anche rifiutare l’adempimento rimettendo la norma al nuovo vaglio delle Camere. Si intuisce, ora, in filigrana il malumore del Colle che solo pochi giorni or sono ha convocato i presidenti di Camera e Senato per dolersi della prassi (invero ultradecennale) di inserire, nel corso dell’iter parlamentare di conversione dei decreti-legge, emendamenti del tutto eccentrici rispetto al testo che aveva avuto l’originario “via libera” del presidente della Repubblica.
Una prassi ai limiti della Costituzione e che, in altre occasioni, la Consulta ha anche censurato, dichiarando le norme interpolate, senza alcuna connessione con il testo originario, “abusive” ed elusive del disposto costituzionale che concede poteri legislativi d’urgenza a Palazzo Chigi. Discorso complicato, ma questa prassi costituisce il più importante vulnus mai portato al sistema del bicameralismo perfetto di matrice costituzionale, così tanto osannato dai puristi della Carta e mai tanto oltraggiato proprio con riferimento ai più importanti provvedimenti legislativi di matrice governativa. Basterebbe prenderne atto con un’adeguata riforma costituzionale, ma chi ci ha provato – come noto – ci ha rimesso le penne.
A difesa, invece, del controllo concomitante sul Pnrr si è schierata la magistratura contabile e il presidente Carlino ha manifestato con chiarezza il pensiero di quella giurisdizione affermando che «il controllo concomitante in corso di gestione ha un valore propulsivo» e «tende ad accelerare i tempi dell’azione» amministrativa e, tuttavia, ha aggiunto Carlino «la Corte ha anche altri strumenti di controllo sul Pnrr» e la magistratura contabile «si rimette», dunque, «alla scelta del legislatore». Una posizione equilibrata e dettata da grande senso di responsabilità che lascia al Parlamento mano libera nel tracciare i contorni del sindacato contabile; soprattutto in una fase in cui nubi minacciose si addensano all’orizzonte e nessuno vuole essere coinvolto in un possibile fallimento del piano.
L’idea che i giudici contabili accompagnino, passo per passo, la messa a terra delle risorse e il dispiegarsi delle attività amministrative di gestione del denaro ha fatto storcere il naso ai puristi della separazione dei poteri. Non a caso Cassese, Mirabelli, Coraggio e altri hanno avuto buon gioco nel ricordare che il controllo successivo è comunque operante, che la strada del controllo concomitante valeva per il solo Pnrr, che la giurisdizione contabile (seppur limitata a casi eccezionali) è comunque intonsa e i funzionari rispondono del proprio operato in caso di dissipazione del denaro o di fallimento degli obiettivi.
Ma la questione sembra un’altra. Diradato il polverone delle polemiche si coglie l’intento che aveva indotto il governo Draghi a coinvolgere la Corte dei conti nell’attività di gestione del Pnrr. Perché, fuor da ogni infingimento, un controllo concomitante equivale a una cogestione delle risorse, posto che a ogni iniziativa o provvedimento dell’autorità amministrativa si accompagna la verifica della sua regolarità contabile. Un’intuizione pragmatica e, in qualche modo, intrisa di sano realismo che muove da alcuni indiscutibili dati di fatto.
La pubblica amministrazione, locale e centrale, è in gran parte inadeguata, impreparata e anche poco smaniosa di farsi carico di un impegno così gravoso. È una burocrazia miracolosamente (quanto ingiustamente in alcuni ministeri chiave) sopravvissuta alla debacle della pandemia da cui siamo fuori grazie all’opera non marginale di un generale dell’esercito e del suo staff e che ora non vuole essere lasciata sola di fronte alle proprie responsabilità in caso di fallimento del Pnrr. Ecco che la presenza della Corte di conti – come giustamente ricordato dal presidente Carlino – era da intendersi come d’appoggio all’attività della pubblica amministrazione; anzi addirittura come avente una «funzione propulsiva» rispetto alle notorie inerzie e ritardi. Un impegno asimmetrico, straordinario, destinato a introdurre una inedita commistione di responsabilità gestionale.
Un’astuzia politica, tutto sommato, da gran conoscitore del Moloch amministrativo del paese e dei suoi enormi limiti; un’astuzia che ha giustamente ingolosito la giurisdizione contabile desiderosa di mostrare il proprio indubbio valore e di dare un contributo certo importante al buon successo del Pnrr. Il Governo, con qualche eccesso di protagonismo, non ha colto probabilmente la portata di quella novità e ha pensato di doversi disfare di una presenza avvertita come ingombrante e che tale, forse, sarebbe stata ad altre condizioni. Prevalgono pulsioni decisioniste, ma la mossa consegna così ogni responsabilità al Governo e al suo ministro, senza alcuna rete di protezione.
Il secondo elemento è che proprio in questa vicenda – come durante la pandemia – le istituzioni stanno mostrando intera la propria fragilità e la difficoltà di reggere le sorti di una democrazia in crisi soprattutto per il fallimento e l’inefficienza dei propri centri di potere amministrativo. Il “soccorso” giudiziario immaginato per il Pnrr è una scorciatoia finanche pericolosa, poiché tende a convogliare ogni funzione pubblica verso un unico asse di potere in cui i confini tra controllati e controllori sono sfumati, chiaroscurali, a volte impercettibili.
È già successo con la giustizia ordinaria chiamata dalla politica a supplire a suon di reati vuoti, incapacità di prevenzione, assenza di controlli.
È il male oscuro di questa nazione in cui la separazione dei poteri – a causa anche di una Costituzione imperfetta e, per molti versi, inadeguata poiché di chiara ispirazione consociativa – resta ancora un risultato da perseguire e un miraggio all’orizzonte. Impossibile ancora immaginare una politica che decide, una burocrazia che esegue, una giurisdizione che valuta. E pericoloso anche l’appello a fare rete e a costituire filiere; più debolezze non ha mai fatto una vera forza e la stampella resa da un potere a un altro porta solo a inciampare alla prima difficoltà.