Il docufilm della regista iraniana

Fatima, amica e fotoreporter uccisa a Gaza: il film “Put your soul in your hand and walk” per raccontarla

Il docufilm composto con videochiamate tra la filmaker iraniana e la giornalista palestinese è straziante: dopo la chiusura del progetto, un raid mirato di Israele ha ucciso la testimone scomoda e la sua famiglia

Spettacoli - di Chiara Nicoletti

9 Dicembre 2025 alle 10:00

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Fatima, amica e fotoreporter uccisa a Gaza: il film “Put your soul in your hand and walk” per raccontarla

In prima mondiale nella sezione Acid del Festival di Cannes dello scorso anno, arrivò il documentario della regista iraniana Sepideh Farsi, Put your soul on your hand and walk. Il film si compone delle videochiamate che la regista ha realizzato, per quasi un anno, con una giovane fotoreporter, Fatima Hassouna che, a Gaza con la famiglia, documentava con le sue foto, l’assedio della sua terra. Un giorno Sepideh ha comunicato a Fatima che il loro progetto sarebbe stato presentato a Cannes sulla Croisette. Il giorno dopo, era il 16 aprile 2025, un attacco mirato alla Casa degli Hassouna, uccide Fatima e gran parte della sua famiglia. Alla 20° Festa del Cinema di Roma dove il film ha avuto la sua prima italiana, Sepideh Farsi ci ha raccontato il suo percorso con Fatima, il suo ottimismo, la sua resilienza e la loro amicizia. Put your soul on your hand and walk – Prendi in mano la tua anima e cammina è nelle sale italiane dal 26 novembre, distribuito da Wanted.

Il film continua a vivere in qualche modo e lo vediamo con occhi diversi mano mano che il tempo passa. Lei oggi come vede la situazione in Palestina, alla luce di questo, “Cessate il fuoco”? Crede che, come Fatima dice nel film “Io credo che finirà la guerra”, la sua speranza si stia avverando?
La situazione continua a cambiare di senso e di significato, anche se in realtà il cambiamento vero non avviene. Non sto parlando naturalmente di noi, ma ci sono una serie di dirigenti, di leader di diversi paesi che stanno negoziando questo cessate il fuoco sulla testa dei palestinesi che non sono ascoltati, non sono visti. Hamas non rappresenta l’intero popolo palestinese. Non a caso tra i prigionieri di cui è stata richiesta la liberazione, Marwan Barghouti non è stato liberato ed è sicuramente una persona che avrebbe avuto un senso liberare, sarebbe stato un vero rappresentante in carcere, in prigione da più di 20 anni per non aver commesso assolutamente niente. Quindi il tentativo, appunto, sulla testa dei palestinesi è quello di continuare a silenziare delle voci. Quindi la speranza c’è sempre, ma io non posso dire di essere così ottimista. Poi, vorrei anche aggiungere che gli attacchi non sono certo finiti. Io ho delle fonti dirette di notizie sulla situazione a Gaza che mi parlano di attacchi ad opera di droni su persone che a piedi stanno cercando di rientrare nelle loro case. L’immobile stesso dove abitava Fatima, obiettivo, dell’attacco mirato al secondo piano, del 16 aprile, adesso è stato interamente raso al suolo. Ogni cosa è distrutta, quindi veramente manca una volontà precisa e c’è anzi il tentativo di in qualche modo di occultare le prove dello sterminio, le prove del genocidio e anche gli aiuti sono bloccati. Anziché arrivare 600 camion di aiuti al giorno, come sarebbe necessario, ne arrivano 140-150 che sono assolutamente insufficienti e che attestano che il presunto cessate il fuoco, la presunta pace in realtà non sta avvenendo.

C’è un momento della lavorazione del film che le è rimasto particolarmente impresso e che ha segnato proprio la sua storia di donna e di cineasta?
C’è un momento particolare che mi colpisce ogni volta che rivedo il film. È proprio il nostro primo incontro, quello che si vede all’inizio del film. Ricordo ancora lo stupore che ho provato davanti a Fatima, davanti al suo volto, quando 5 minuti dopo aver iniziato questa nostra chiacchierata le ho chiesto che cosa significa essere palestinesi oggi a Gaza e lei mi ha risposto “Io ne sono fiera, non riusciranno mai a vincerci, perché noi non abbiamo nulla da perdere”. Queste sono parole che resteranno sempre impresse nel mio cuore, che non dimenticherò mai e appunto mi guideranno sempre.

Questo è un film dove la tecnologia, internet, i cellulari, sono strumenti per far sentire la propria voce che lei stessa ha usato spesso nel suo percorso di regista in Iran.
Si, essendo iraniana, naturalmente ho una sorta di consuetudine rispetto al mezzo, anche nei miei film precedenti. Ho girato con il cellulare il film Teheran Senza autorizzazione. Nel 2009, in Iran, prima ancora della primavera araba, c’è stata la cosiddetta onda verde, quando il regime iraniano ha improvvisamente, nel giro di pochi giorni, fatto partire tutta la stampa internazionale, tutti i giornalisti esteri, per riuscire a far calare il sipario degli occhi del mondo su quello che poi ha perpetrato in termini di repressione assoluta di tutti i mezzi di informazione. Senza alcun testimone infatti sono iniziate le torture, gli abusi, tutto quello che sta avvenendo in Palestina oggi, esattamente allo stesso modo. Però il mondo ha comunque saputo quello che avveniva all’interno dell’Iran grazie agli iraniani che hanno fatto uscire il film e le testimonianze video, esattamente come fanno oggi i palestinesi, perché altrimenti il mondo sarebbe stato all’oscuro di quello che avveniva. Quindi, in qualche modo, fa parte del mio Dna di attivista, di cineasta e di artista impegnata che desidera, appunto, far conoscere tutta una serie di realtà e che si impegna per riuscire ad aggirare gli ostacoli che inevitabilmente sono dettati da determinate politiche. Certo, in passato quando si aveva a che fare con la pellicola in 35, in 16 o in 8 era un pochino più complicato. Adesso è più facile.

Come ha costruito visivamente il film? Non so se è vero, ma ho letto che non aveva inserito le vostre ultime conversazioni all’inizio nel primo montaggio, poi quando è successo l’inevitabile ci è tornata a lavorare ed ha cambiato il finale.
In realtà la morte di Fatima non sarebbe dovuta essere inevitabile, se non fosse stato per un governo e un esercito in particolare che si sono così accaniti nella volontà di sterminare sostanzialmente dei giornalisti e in particolare nel caso dell’attacco a lei, hanno sterminato un’intera famiglia quando lei era una solo fotoreporter. Allora il suo nome non era ancora stato divulgato, c’era soltanto il mio nome e il titolo del film, quindi in teoria non avrebbero dovuto neanche sapere che lei era coinvolta, ma quel tipo di attacco corrisponde a uno schema preciso che è stato perpetrato e portato avanti dall’esercito israeliano che ha ucciso circa 300 giornalisti, una cifra spaventosa che è più di quella raggiunta sommando i due conflitti mondiali. Mai nella storia dell’umanità si è visto un numero di giornalisti così elevato, ucciso nell’arco di due anni in un paese così piccolo. Quello a Fatima è stato un attacco mirato proprio sulla loro abitazione. Dello stesso tipo se ne vedono non soltanto in Palestina., ma anche in Libano e in Siria. Tornando al film, ho inserito le immagini di quando le annuncio che il film è stato selezionato a Cannes per mostrare la sua gioia, la sua felicità. Quando le chiedo se vuole venire, lei risponde esattamente come aveva risposto un anno prima: “Sì, vengo, però poi devo tornare perché la mia Gaza ha bisogno di me”.

9 Dicembre 2025

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