Il saggista e germanista
Intervista ad Angelo Bolaffi: “Germania in bilico sull’estrema destra: è l’ultima chance per impedire Afd al governo”
«Una parte, sia pur minoritaria della Cdu, dice che un rapporto con l’estrema destra non va negato e sarebbe soprattutto a livello locale, e questo discorso prende piede nelle regioni dell’Est»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Professor Angelo Bolaffi. Filosofo della politica e germanista, ha insegnato Filosofia politica all’Università La Sapienza di Roma. Dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino. È membro della Grüne Akademie della Böll Stiftung di Berlino e del direttivo di Villa Vigoni “Centro italo-tedesco per l’eccellenza europea”. È autore di numerosi saggi.
Secondo l’ultima ricerca dell’Istituto Insa realizzata per Bild, l’AfD, il partito di estrema destra tedesco ha raggiunto un nuovo record, attestandosi al 27% dei consensi (+0.5% dalla settimana precedente). I conservatori dell’Unione Cdu-Csu hanno perso terreno (-0,5%) scendendo al 24,5% delle preferenze virtuali. Con i socialdemocratici (Spd) stabili al 14%, l’attuale coalizione otterrebbe il 38,5% dei consensi, il peggior risultato per un governo nero-rosso in 6 anni. Cosa raccontano questi dati, professor Bolaffi?
In Germania si è aperta una discussione sulla fondatezza scientifica di quel sondaggio. Comunque sia, punto in più o in meno, sta di fatto che, al momento, la AfD è un partito stabile su livelli che la portano ad essere la prima forza politica in Germania. Il governo del cancelliere Merz non è riuscito, finora, a invertire la tendenza. L’attuale governo di coalizione – Cdu-Csu ed Spd – a differenza di quello precedente, sembra avere una linea di marcia. Tuttavia, ogni volta che si prendono delle decisioni, subito si riaprono discussioni all’interno delle due forze che compongono l’esecutivo. L’idea che si ha di quello guidato da Merz è di un governo se non litigioso certamente incerto. Per invertire la tendenza occorre fare operazioni molto drastiche, cioè cambiare lo Stato sociale e soprattutto cambiare la politica migratoria. Questo tocca un nervo molto sensibile, giustamente del Partito socialdemocratico. La Spd è consapevole della difficoltà e del fatto che questo è l’ultimo esecutivo che può impedire all’AfD di andare al governo. D’altro canto, dentro la Cdu c’è una parte, sia pur minoritaria, che mette in discussione la scelta ribadita nei giorni scorsi dal cancelliere Merz di evitare qualunque apertura all’estrema destra. C’è una parte minoritaria del partito che afferma che soprattutto a livello locale un rapporto con l’AfD è necessario quando si vuole eleggere un sindaco; un discorso che vale soprattutto nelle regioni dell’Est. Sul versante opposto, quello della Spd, c’è un’ala del partito che, pur consapevole della drammaticità della situazione, non intende abbondonare quelli che ritiene essere valori fondamentali, non negoziabili. È una corsa col tempo. Nel senso che nel 2026 si terranno diverse elezioni per i parlamenti locali. A livello nazionale, visto che si è votato un anno e mezzo fa, non si voterà, certo è, però, che se a livello locale crescerà di molto il consenso alla AfD con l’elezione di molti sindaci di estrema destra, beh questo sarebbe un segnale molto preoccupante che potrebbe avere delle ricadute sul piano nazionale. Va tenuto conto che la riserva principale dei voti dell’estrema destra resta la Germania orientale. Anche all’Ovest la AfD è presente ma non ai livelli delle 5 regioni della ex Ddr.
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Guardando ad Est, oltre i confini tedeschi, il vento che spira con più forza è quello di destra.
Se diamo un giudizio generale, dagli Stati Uniti al Giappone all’Europa, quella che noi chiamiamo destra è sull’onda. Vince. E laddove non vince in maniera clamorosa, certamente non si afferma la sinistra. Detto questo, forse sarebbe il caso a decostruire i concetti di destra e di sinistra. Prima erano concetti chiari: la sinistra stava dalla parte dei lavoratori, la destra con le forze della conservazione. Ma questo concetto oggi non ci dice più molto. Cos’è la destra sulla politica europea? Cos’è la destra in rapporto a Israele o ad Hamas? E cos’è la sinistra in rapporto all’Ucraina? Qui i discorsi si fanno più complessi e articolati. Certamente cosa sia la destra europea è chiaro: sovranista, antieuropea, filoputiniana e anti-migratoria. Nell’altra parte dell’Europa, le posizioni sono molto più articolate. Merz è un europeista? Certamente. Ma fa una politica migratoria più dura. È di destra? Alcune socialdemocrazie nordiche, le uniche che sono al governo, in Danimarca, in Svezia, sono di sinistra? Però fanno politiche migratorie molto restrittive. In ogni caso, il vento spira a destra in generale. La destra vince perché sembra interpretare meglio lo spirito del tempo, piaccia o no. Se la sinistra poi è “wok”, politically correct, si condanna alla sconfitta.
L’Europa si è sempre mossa sulla direttrice francotedesca. Ora, sia la Germania che la Francia non se la passano molto bene. Della Germania abbiamo detto, la Francia quanto a governi instabili ha superato l’Italia dei governi balneari…
La Francia versa in una crisi profonda. È la crisi della V Repubblica. È in crisi quel modello istituzionale che i politologi italiani più autorevoli, penso ad esempio al professor Sartori, avevano suggerito come panacea dei mali italiani. Oggi i commenti che vanno per la maggiore sui giornali tedeschi e francesi, invocano un modello all’”italiana”. Non l’Italia di frau Meloni. L’Italia di Ciampi, di Napolitano, di Mattarella…L’Italia in cui il Presidente ha un ruolo super partes capace di orientare, soprattutto in momenti di grave crisi, le scelte dei partiti, almeno di quelli più importanti. In Francia vige un modello molto rigido e, come la storia insegna, quando i modelli molto rigidi vanno in crisi, è una crisi molto più profonda di quella a cui possono andare incontro modelli più flessibili come quello italiano. Certo è che con l’asse francotedesco di fatto in crisi, con l’abbandono dell’Europa da parte di quello che era stato l’”egemone benevolo” dell’esperienza europea, cioè gli Stati Uniti, beh, l’orizzonte dell’Europa è molto, molto buio.
Una Europa che non incide nelle grandi scelte di politica internazionale, dai conflitti ai dazi, non è una Europa che si autocondanna alla marginalità se non addirittura al suicidio?
Quando uno è debole, è debole. Quello che Mario Draghi ha definito il progetto geopolitico chiamato Unione Europea, è nato in condizioni economiche, politiche e culturali che non esistono più. Teoricamente bisognerebbe cambiare in corsa. Giusto. Ma come si fa in un mondo, per usare una calzante definizione di Giuliano da Empoli, dominato da predatori, essere forti con una Europa che ha dimenticato, anche giustamente, l’uso della forza? L’Europa è disarmata, nel senso che ha dovuto sempre essere protetta dagli Stati Uniti d’America. Venendo meno questa protezione, l’Europa è debole. L’Europa è nuda. E nel mondo dei cattivi, i troppo buoni soffrono. Per questo deve cercare di tenere legata l’America all’Europa, nonostante l’imprevedibilità di Trump, nella consapevolezza che nella battaglia per la difesa dell’Ucraina, si prefigura il destino futuro dell’Europa.
L’europeismo dei padri fondatori si fondava sui pilastri delle grandi forze tradizionali: quella socialista, socialdemocratica, e quella dei cristiano democratici. I grandi partiti del dopoguerra. C’è un nesso tra la crisi di questi grandi partiti popolari e la crisi del progetto di Unione Europea come declinato da Draghi?
Direi proprio di sì. Quei grandi partiti svolgevano una funzione e lavoravano in condizioni geopolitiche diverse. Questi grandi partiti sono entrati lentamente in crisi per motivi all’insorgere dirompente di fenomeni culturali, come i socialmedia, e alla diffusione di forze populiste. A questo si è aggiunto, portando al cortocircuito attuale, il radicale mutamento geopolitico. Il fatto che gli Stati Uniti, in primo luogo, ma poi anche le altre forze potenti, la Cina, la Russia etc, hanno deciso che era il momento di abbandonare il modello multilaterale, sorto dopo il 1945. In questa situazione l’Europa, che era stata pensata per un mondo, diciamola così, di “vegetariani; si è trovata in un mondo di “carnivori”. L’Europa cerca disperatamente una soluzione ma si trova a dover affrontare problemi enormi e soprattutto lontani mille miglia, culturalmente, da quello che era il mondo pensato quando nacque l’Europa. L’Europa di Monnet, di De Gasperi, di Spinelli. L’Europa di un altro mondo. Si pensi, solo per fare un esempio, al fenomeno migratorio. L’Europa è stata pensata quando gli italiani emigravano, e andavano a morire nelle miniere di Marcinelle. Oggi il problema dell’immigrazione è un problema fondamentale dappertutto. Anche il Mediterraneo è completamente diverso. Chi vivrà vedrà. Questo è il futuro dell’Europa. Un futuro reso ancora più incerto dalla mancanza di leader politici. Grandi politici in grado di mettersi intorno a un tavolo e dire siamo di fronte a una crisi di portata epocale, cosa intendiamo fare, insieme?
Adenauer, ma anche Andreotti o Berlinguer…Leader che capivano la drammaticità della situazione. Leader nati dentro le guerre.
Vede, noi siamo ormai di fronte ad una generazione di leader politici che non ha memoria dei tempi e delle condizioni in cui è nata l’Europa.
A ciò si aggiunge, e non è cosa di poco conto, il mutamento demografico. L’Europa è vecchia. E come ha detto l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, l’Europa è troppo ricca, troppo debole e troppo vecchia. Questo è un grosso problema, e non so se superabile.