L'ingresso in prigione di Sarkozy
Un detenuto non è mai un potente, anche se si chiama Sarkozy
Ieri Sarkozy, perseguitato dai magistrati, è stato circondato da una folla plaudente che lo ha acclamato. C’è niente da fare: i francesi sono migliori.
Esteri - di Piero Sansonetti
“Honte à la Justice”, gridava ieri mattina una piccola folla che si era radunata davanti alla casa di Nicolas Sarkozy, 73 anni, ex presidente della Francia e tra i maggiori leader politici europei di questo secolo. “Vergogna per la Giustizia”. Vero. Non ho nessuna simpatia per Sarkozy, che nei suoi anni di potere condusse a destra la Francia e spezzò, in Europa, quel timidissimo tentativo socialdemocratico dei Delors, dei D’Alema, dei Prodi, degli Schroeder, dei Blair. Però, vi prego, non fatevi prendere dalla tentazione di gioire perché un potente entra in cella. Cercate di capire: non è mai un potente quello che entra in cella. È una persona. E non c’è mai da festeggiare: è sempre un giorno triste. Non esiste niente di più medievale della festa per il re in catene.
Era triste la scena di lui che usciva dal portone, tenendo stretta la mano di Carla Bruni, che superava la folla, che baciava la moglie, che apriva lo sportello ed entrava nella Renault, ascoltando gli applausi, e assaporando gli ultimi minuti da uomo libero, e prendeva infine la strada per la Santé. E poi non c’è solo la tristezza per un uomo che perde la libertà. C’è la rabbia per la sopraffazione. Oltretutto verso una persona anziana. Sarkozy è stato condannato perché “non poteva non sapere”. La solita formula illiberale: “non troviamo il delitto, ma qualcosa tu c’entri: in galera”. Sarkozy è stato condannato solo in primo grado. Va in prigione per un’orrida legge varata 5 anni fa sulla spinta e la furia della destra e dei qualunquisti, una legge che impone la pena prima della condanna definitiva.
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Guardando Sarkozy che si avviava alla prigione ho pensato a quante donne e quanti uomini, ogni giorno, baciano il marito, o la moglie, o la mamma, o i ragazzi, e magari prendono l’autobus per andare in carcere. Distrutti, disperati, con l’anima annientata. Sono come Sarkozy. Identici. Ed è identico e feroce lo Stato che ha disposto queste cerimonie. Ma a che serve uno Stato così lontano dalla civiltà? L’abolizione delle carceri, la fine di questo sistema oppressivo e disumano, non è un problema secondario della modernità. È centrale. La prigione è uno dei residui peggiori dell’antichità, e forse non riusciamo a liberarcene perché temiamo che se manca la prigione manca il segno principale del potere. Sarkozy non lo sapeva quando era all’Eliseo. Ora lo sa.
P.S. 1 Anche in Italia abbiamo in carcere, ingiustamente, alcuni ex potenti. Penso all’ex sindaco Alemanno, messo in cella solo perché un giudice, col suo immenso potere, gli rifiutò la condizionale senza una ragione sensata. Penso all’ex senatore D’Alì, che fu assolto due volte, e quindi è innocente, e che però subì un quarto e un quinto grado, e ora in una cella – mi dicono – si occupa con generosità di assistere un detenuto novantenne dimenticato dalla magistratura e dalla politica. Deve uscire Alemanno, e devono uscire D’Alì, e Cospito, e migliaia e migliaia di altri detenuti. Lasciamo le prigioni allo studio degli archeologi.
P.S. 2 Nel 1993 Bettino Craxi, perseguitato dai magistrati, fu circondato vicino a piazza Navona da una folla urlante che lo insultò e riempì di monetine oltraggiose. Ieri Sarkozy, perseguitato dai magistrati, è stato circondato da una folla plaudente che lo ha acclamato. C’è niente da fare: i francesi sono migliori.