Il senatore dem
“Le democrature assaltano i diritti, sta alla sinistra il compito di difenderli”, intervista a Walter Verini
“La democrazia picconata da Trump governa solo l’8% del Pianeta: la foto di Sharm el Sheik dice che siamo in balia di autocrati. Al Pd la missione di proteggere i più deboli dai nuovi padroni del mondo”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Walter Verini è senatore e membro della Direzione nazionale del Partito democratico.
Una bomba ad alto potenziale ha distrutto le auto del direttore di Report e della figlia. Afferma Ranucci: “Potevano uccidere, contro di me un salto di qualità”. Lei è anche membro della Commissione parlamentare antimafia.
Innanzitutto, vorrei esprimere vicinanza e solidarietà a Sigfrido Ranucci. L’attentato che ha subito è sconvolgente. Da tempo, per il suo lavoro, Ranucci è sotto scorta. Siamo vicini a lui, alla sua famiglia, a Report, preziosa trasmissione di giornalismo d’inchiesta, che svolge un lavoro importante per la democrazia, che ha bisogno di contropoteri e l’informazione libera è il primo. La solidarietà unanime verso Sigfrido va ora accompagnata ad un impegno coerente a favore del giornalismo d’inchiesta, contro le querele temerarie e gli attacchi che hanno lo scopo di delegittimare l’informazione. Come Pd in Antimafia abbiamo chiesto una audizione di Ranucci, che dovrà essere fissata al più presto.
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Nel Pd è aperto un dibattito, alimentato anche dalla prima tranche di elezioni regionali, sull’essere della Sinistra. Qual è la sua idea in proposito?
Una Sinistra che non si limita a nobile testimonianza ha bisogno, secondo me, di ridefinire pensieri e parole davanti ad un mondo che sembra, e per molti versi è, alla rovescia. È il tempo delle autocrazie, delle dittature, delle “democrature”, perfino delle teocrazie, che stanno determinando un nuovo ordine mondiale. Che mette tra parentesi quelle cose che si chiamano democrazie, principi liberali e democratici. Che sono in crisi, che governano solo l’8% della popolazione mondiale. E tra questo 8% c’è l’America di Trump che li sta demolendo quotidianamente. Mentre ad essere concentrate in poche mani insieme alla ricchezza, sono anche chiavi del presente e del futuro: rivoluzione digitale, intelligenza artificiale. Stanno cambiando, cambieranno ancora di più la vita dell’umanità, delle persone. Le foto segnano le epoche. Quelle dei dittatori e autocrati di Pechino e quella di Sharm El Sheikh dove l’Europa, le democrazie c’erano, ma quasi come comparse, lo fanno. La battaglia per difendere e rigenerare la democrazia nel mondo è quella centrale.
E in questa battaglia, di quale Sinistra ci sarebbe bisogno?
La Sinistra, quella che ha l’ambizione di cambiare in meglio il mondo, di contrastare e prevenire le insopportabili diseguaglianze e povertà vecchie e nuove (di ceti medi impoveriti e impauriti), garantire pari opportunità, che ha l’ambizione di governare i cambiamenti, non di guardarli dal buco della serratura, ha il dovere di alzare lo sguardo. Non è il tempo delle certezze, delle verità assolute. È il tempo della ricerca comune del dialogo tra le forze progressiste. Del confronto con le migliori menti della scienza, dell’economia, del pensiero filosofico, della cultura. Per provare a sintetizzare nuove direzioni di marcia, alternative credibili per il futuro. Questo, naturalmente, nel vivo di conflitti. I nuovi padroni del mondo, le loro ricette semplificate marginalizzano diritti sociali, diritti umani e civili. Una sinistra credibile se ne deve fare interprete. Non solo nei social. Non solo con i flash mob. Non solo cavalcando le onde in maniera subalterna, ma condividendo ogni giorno la vita vera delle persone. Provando a offrire risposte che tengano insieme visione, idealità, radicalità di principi ma anche concretezza di soluzioni. Che poi, si chiama riformismo.
Come legge le piazze tornate a riempirsi per la Palestina?
Le grandi mobilitazioni popolari che hanno fatto vivere le piazze di tutto il mondo sono state importanti. Nella generalità hanno espresso il bisogno naturale di milioni di persone, di milioni di ragazze e ragazzi che si sono ribellati all’orrore. Piazze multicolori, pacifiche, sono essenza della democrazia. La destra, la stessa Meloni, che hanno cercato di delegittimarle, hanno gravemente sbagliato. Preferiscono giovani “sdraiati”? Chiusi in casa davanti ad uno schermo con le loro solitudini? O vittime degli egoismi e degli individualismi, del disimpegno? Probabilmente è così.
C’è chi ha posto l’accento su episodi di violenza e derive estremiste.
Come ho detto, la stragrande maggioranza delle piazze erano pacifiche, belle. Io personalmente ho partecipato di nuovo anche alla Perugia-Assisi, che lo è stata più di tutte. Però questo non deve farci sottovalutare dei rischi. Mi riferisco al fatto che dentro queste manifestazioni si sono inserite espressioni di violenza, espressioni di odio estranee a quello spirito. Certo, minoritarie, anche marginali. Ma pericolose. Voglio essere franco. So bene che quelle manifestazioni non avevano una “guida” chiara, come le manifestazioni che una volta organizzavano partiti di massa e sindacati. Ma parole d’ordine come “blocchiamo tutto” sono sbagliate. Scendere in piazza, anche scioperare se necessario, non vuol dire creare disagi a pendolari, lavoratori, persone che perdono un autobus o un treno e perdono una visita medica ottenuta dopo mesi di attesa …Ma “blocchiamo tutto” è anche l’anticamera di “spacchiamo tutto”, altra nefasta parola d’ordine comparsa qua e là nelle manifestazioni. E nello “spacchiamo tutto”, per qualche delirio estremista, ci può stare anche la testa dei poliziotti, le molotov. Oggi viviamo una fase molto diversa dagli anni Settanta, quando dalle armi della critica ci fu chi passò alla critica delle armi, quando nei movimenti “creativi” ci fu chi a un certo punto fece spuntare la P38. Non vedo diffusi questi rischi. Ma chi può, chi ha responsabilità (gli attuali partiti della sinistra, i sindacati) devono reagire. Parole d’ordine di odio e di violenza non possono trovare cittadinanza. Sporcano le manifestazioni stesse. Certi episodi avvenuti fuori delle manifestazioni (aggressioni di militanti di Casa Pound a manifestanti ProPal, aggressioni ad altri manifestanti a Monteverde) sono inquietanti. E su tutto c’è – anche da prima del 7 Ottobre – un antisemitismo dilagante. Pericoloso. Di chi ha scheletri nell’armadio e vuole rimuovere la memoria della Shoah e del male assoluto del nazifascimo, come dice Liliana Segre, ma anche di un certo antisemitismo contemporaneo che alberga pure a sinistra. Per me bisognerebbe rifarsi davvero a quando i Berlinguer, i Lama, i Pertini, (per dire partiti, sinistre, istituzioni) combatterono, anche culturalmente, pagando dei prezzi, violenza nera, estremismi, violenza rossa. Questo è il modo migliore per difendere quelle manifestazioni. Starci, rispettarne autonomia e spontaneità positiva. Non metterci “cappelli” e senza essere subalterni o indifferenti a parole d’ordine sbagliate.
Molto si discute su Francesca Albanese, Relatrice speciale dell’Onu per i Territori palestinesi. Fuori e dentro il Pd c’è addirittura chi ha parlato di una “albanesizzazione” dei Dem.
Mi sembra obiettivamente un fenomeno sopravvalutato. Io ho polemizzato innanzitutto con le parole e i gesti dell’attivista ProPal che, anche per il suo ruolo all’Onu, mi sono apparsi gravemente unilaterali e gratuitamente offensivi (dal Palco di Reggio Emilia alla “lucidità “ della Segre). Considero sbagliate e pericolose parole d’ordine come “Palestina libera dalla terra al mare”. Vuol dire avversare la prospettiva difficile ma fondamentale di due popoli e due Stati. Vuol dire aiutare indirettamente da una parte il terrorismo di Hamas e dall’altra il criminale Netanyahu e la peggior destra israeliana. È incredibile considerare il 7 Ottobre come un atto di Resistenza e non come un massacro terrorista e antisemita e la liberazione degli ostaggi come una cosa da non dire. Ora il fenomeno si è attenuato (come le precipitose e acritiche corse a consegnarle onorificenze e riconoscimenti). Lei ha tutto il diritto di esprimere le sue opinioni, ma per me sono estranee alla Sinistra che, dalla Fgciin poi, ho conosciuto e nella quale ho militato.
Il “piano-Trump”. Un possibile nuovo inizio di un processo negoziale?
Soltanto irresponsabili o estremisti accecati (ce ne sono, in giro ) non salutano positivamente questo primo passo. Sì, anche se porta la firma di Trump. Per ora ha significato il cessate il fuoco e la fine dei barbari eccidi di civili e bambini a Gaza, della fame come strumento di guerra. E ha voluto dire la liberazione degli ostaggi. Quella gioia disperata che abbiamo visto a Gaza e quella anche straziata dei parenti e degli amici degli ostaggi a Tel Aviv hanno parlato alle coscienze di tutto il mondo. Senza enfasi, va rivendicato che anche le manifestazioni delle piazze del mondo hanno dato una spinta importante. Ma è solo un primo passo. Come vediamo in queste ore, tutto è fragile. Ma dobbiamo sperare e lavorare tutti per consolidare questo primo passo. Per i due Stati e per il riconoscimento di quello Palestinese che è necessario (e porterà anche a quello di Israele da parte di diversi Paesi Arabi). Uno Stato palestinese senza Hamas e un Israele che abbia la forza democratica per superare Netanyahu. Vivendo e cooperando insieme nella reciproca sicurezza. È davvero una occasione storica per il Medio Oriente e per il Mondo intero. Anche per questo c’è bisogno del ruolo di tutti gli Stati e, per noi, di quella cosa che si chiama Europa. Aiuterebbe a combattere anche antisemitismo e speculari rischi di islamofobia.
Senatore Verini, qual è oggi lo stato di salute del Pd?
Ci vorrebbe lo spazio intero dell’intervista. Il 14 ottobre ho fatto gli auguri al Pd. Per i suoi 18 anni. Votarono allora oltre 3 milioni di persone alle Primarie. Pochi mesi dopo, alle Politiche 12 milioni e 200mila cittadini lo scelsero (33.4%; “bacino potenziale del 40%” analizzò D’Alimonte). Mi limito a dire che questa destra si può battere. È meno forte di quello che appare: questo Paese soffre, galleggia, offre poche prospettive. Occorre costruire una alternativa. Non basta la somma delle sigle. Servono condivisione vera di visioni e programmi. Per vincere, convincere e governare. Il perno di questo è il Pd. Ma deve riprendere non tanto i programmi del 2008 (sono superati dal tempo), piuttosto i principi ispiratori. Un Pd radicato e aperto. Che parli a tutto il Paese. Non solo alle curve ma a tutto lo stadio. Che non deleghi a nessuno – a ipotetici “centri” molto in voga nel ceto politico – dialogo e rappresentanza di mondi sociali decisivi per cambiare la società, a partire da sindacati tutti e imprese. Un Pd che avesse questa ambizione sarebbe più attrattivo e il testardo spirito unitario potrebbe diventare testarda credibilità.