L'analisi di Haaretz
Israele festeggia per gli ostaggi e fischia Netanyahu: liberati grazie a Trump non a Bibi
Se sono stati liberati è per merito di Trump, e non di Bibi, per i quali non sono mai stati prioritari. Il premier, contestato ovunque, è al capolinea
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
L’Israele che festeggia la liberazione degli ostaggi, l’Israele che ha riempito le piazze contro il governo golpista e messianico. L’Israele che onora Israele ha in Haaretz il suo giornale-bandiera. Che “sventola” anche in una giornata storica come quella del 13 ottobre 2025.
“Israele festeggia il ritorno degli ostaggi, nonostante il sabotaggio di Netanyahu”. In quel titolo c’è il senso di una storia, in tutti i suoi risvolti umani, politici, storici.
Così l’editoriale: “Lunedì mattina, 20 ostaggi vivi dovrebbero tornare in Israele dopo due anni di prigionia. È impossibile sopravvalutare la gioia del loro ritorno. È difficile esprimere a parole il sollievo e l’entusiasmo che il loro recupero ha generato tra le loro famiglie, la società israeliana nel suo complesso e tutti coloro che li hanno aiutati da vicino e da lontano, hanno sperato nel loro arrivo e hanno lottato per il loro ritorno dal 7 ottobre 2023. Gli ostaggi stanno tornando a casa. Questo è un momento storico di gioia, ma è accompagnato da un’amara verità: sono tornati nonostante il primo ministro Benjamin Netanyahu, non grazie a lui. “Il responsabile del ritorno degli ostaggi vivi è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non il primo ministro di Israele”.
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Così stanno le cose. E per Israele, il suo popolo, rimarca Haaretz, “Questa è una verità difficile e dolorosa. Chi ha imposto il piano in 20 punti, essenziale per prevenire manipolazioni o tentativi di affossare l’accordo, è stata l’amministrazione statunitense, i cui rappresentanti, Steve Witkoff e Jared Kushner, sabato sera sono saliti sul palco della Hostage Square di Tel Aviv e sono stati accolti con amore e gratitudine. Il governo israeliano e il suo leader non hanno ricevuto né l’uno né l’altra cosa. La domanda sul perché i funzionari statunitensi siano stati accolti con parole di affetto mentre la menzione del nome di Netanyahu ha suscitato fischi è una domanda che il primo ministro e i suoi partner dovrebbero porsi. Ma è una domanda retorica; conoscono bene la risposta”. E la risposta è chiara e netta. Haaretz la declina così: “Netanyahu ha raccolto ciò che ha seminato. I fischi sono stati la risposta più pura e autentica a ciò che merita: il gemito sincero di un pubblico che è stato abbandonato, tradito e trascurato, il disprezzo delle famiglie che hanno capito che il destino dei loro cari è stato sacrificato su un cinico altare politico. I fischi e il disprezzo provenivano dal profondo della loro anima”.
Quei fischi, quei buu corali, assordanti, uniscono ragione e sentimento. E vengono da lontano. Spiega il quotidiano progressista di Tel Aviv: “La reazione del pubblico al nome di Netanyahu in Hostage Square è arrivata alla fine di due lunghi ed estenuanti anni di lotta per il ritorno degli ostaggi. E durante tutto quel tempo, Netanyahu ha fatto tutto ciò che era in suo potere per affossare l’accordo. È difficile da credere, ma la battaglia per il ritorno degli ostaggi è stata combattuta dalle loro famiglie contro il primo ministro, che non ha mai visitato la piazza che è diventata il quartier generale della lotta e un luogo di dolore e solidarietà. I fischi sono stati una reazione naturale nei confronti di qualcuno che ha ripetutamente sabotato gli sforzi per liberare gli ostaggi, descrivendo la battaglia per il loro ritorno come una battaglia condotta dalla sua opposizione politica e incitando i suoi seguaci contro le famiglie dei manifestanti. Invece di abbracciare le madri e i padri che lottano per la vita dei loro figli, li ha descritti, insieme ai manifestanti, come collaboratori del nemico. L’eco di quei fischi dovrebbe tormentare Netanyahu di notte e tenerlo sveglio fino a quando non si allontanerà dalla vista del pubblico e permetterà alla società e al Paese di riprendersi. Quei fischi erano tutto ciò che si meritava. E mentre festeggiamo il ritorno degli ostaggi, tutto ciò che resta da fare oltre ai fischi è dire esplicitamente al primo ministro: ‘Sei venuto, hai distrutto, ora vattene’”.