Il futuro della Striscia

Nella nonviolenza di Sameeha la speranza per la Palestina

Attivista di Youth of Sumud, la giovane ha messo in atto forme di protesta pacifiche nella Cisgiordania occupata. Un esempio di nobile battaglia sulla scia tracciata da Capitini e fino alla Flotilla

Esteri - di Filippo La Porta

9 Ottobre 2025 alle 13:27

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Nella nonviolenza di Sameeha la speranza per la Palestina

Non si sottolinea abbastanza il carattere non-violento della iniziativa della Flotilla, che sarebbe piaciuto ad Aldo Capitini e che è in contrasto con alcuni slogan inutilmente oltranzisti del movimento Propal. A proposito di Capitini e del suo metodo non-violento: sapete chi è Sameeha Hureini? Immagino di no. Eppure dovreste stamparvi bene in mente il suo nome perché è alle persone come lei è legato l’unico tenue filo di speranza per la Palestina (un’intervista potete leggerla sul mensile Una città, in parte disponibile in Rete).

Vive in Cisgiordania, nell’area meridionale di Masafer Yatta, piena di villaggi ma soprattutto di grotte, perché i coloni israeliani non permettono che si costruiscano neanche delle baracche. Lei e la sua famiglia, i suoi cari e i suoi amici, sono continuamente vessati e minacciati dai coloni estremisti impegnati in una capillare pulizia etnica – demoliscono e incendiano case, confiscano terreni, uccidono – tanto da chiedere l’intervento della polizia israeliana (mentre i coloni sono quasi sempre protetti dall’esercito). Ora, Sameeha Hureni, in quella situazione estrema, in quell’inferno in terra, ha scelto la non-violenza! Così come sua madre e prima ancora sua nonna, nume tutelare della intera famiglia. Fa parte del movimento Youth of Sumud (Gioventù della perseveranza).

A smentire la frase di Andreotti, indubbiamente sincera ma anche perversa, che purtroppo ho spesso sentito ripetere in buona fede da simpatizzanti della causa palestinese: “Se fossi cresciuto in un campo profughi sarei un terrorista”. Se ci pensate, una logica diabolica, degna di Belzebù, e cioè l’idea deterministica che una situazione data può generare una, e una sola, scelta: se si nasce in condizioni di miseria e prostrazione non si può che mettere bombe negli scuolabus! Un teorema ferrigno, che a me sembra pazzesco. Eppure si tratta di una idea contraddetta ogni giorno e ad ogni latitudine: ad esempio i contadini in Ecuador, letteralmente spogliati dalle multinazionali, hanno optato per strategie di lotta non-violenta (così come in Chiapas o anche i Curdi). Perché lo fanno? Perché ciò gli permette di conservare la propria integrità morale e il rispetto di sé. D’altra parte il diavolo è logico, sillogistico, aristotelico, come ben sapeva Dante (“per la contraddizion che nol consente”).

Non è solo una scelta di nobile testimonianza quella di Sameeha ma una lotta organizzata fatta di disobbedienza civile, resistenza passiva, sabotaggio, etc. che ha strappato importanti risultati pratici, come la demolizione di un Muro che doveva sancire l’ennesimo apartheid (nella West Bank vige l’apartheid, che invece dentro Israele è assente!). E che riceve la solidarietà attiva di una parte di Israele! Qui vengono infatti a fraternizzare con il movimento non-violento anche molti ebrei israeliani, perlopiù socialisti e anarchici non-violenti (gli stessi sterminati il 7 ottobre!), trattati con particolare brutalità dai coloni perché considerati “traditori”. A ben vedere non si tratta neppure di una scelta. Così dichiara Sameeha: “Non abbiamo scelta, dobbiamo credere nella pace”. La non-violenza si afferma non come valore astratto ma come condizione della vita stessa, come condizione cioè della nostra coesistenza con altri popoli nel mondo. E, come sempre, sono state le donne per prime a esprimere la consapevolezza di tutto questo.

Perché la storia di Sameeha è per noi fondamentale?

Anzitutto perché ci ricorda che il conflitto medio-orientale somiglia a un tragedia greca – ce lo ricordava uno scrittore, Giuseppe Samonà – , in cui i due popoli (non Netanyahu e i suoi ministri razzisti, non Hamas, che sono gruppi dirigenti sterminatori e fascistoidi, ma i due popoli) hanno ciascuno le loro ragioni. Ragioni di sicurezza e libertà, diritto di esistenza. Come nella tragedia greca il conflitto o dissidio non ha vera soluzione. Se Antigone – adorata da Brecht e dai paladini dei diritti umani – fa bene a rivendicare le ragioni del sangue – e della elementare umanità – d’altra parte Creonte ha ragione nel difendere le ragioni dello stato (al di sopra della famiglia e del clan) e dell’ordine pubblico , contro chi ha tradito la patria (il fratello di Antigone). La tragedia greca intravede un’unica via d’uscita. Non nell’Elettra di Sofocle, dove i due fratelli compiono la loro vendetta senza alcuno scrupolo, in modo gioiosamente liberatorio! L’odio è precisamente ciò che dà loro energia, una dinamo potente. Ma nell’Orestea di Eschilo, nell’ultimo dei tre drammi che la compongono, e cioè le Eumenidi (cui Pasolini dedicò uno splendido docufilm): per spezzare la catena delle vendette, per fermare il circuito infernale delle ritorsioni, bisogna istituire un processo, con i testimoni, l’accusa, la difesa, etc.(al termine del quale Oreste sarà giudicato innocente). Solo così la giustizia privata, tribale della vendetta, potrà tradursi in una giustizia pubblica, razionale, l’unica che produce ordine.

Insomma: il teatro stesso come spazio della comunità (non più i riti di sangue) e la nascita della democrazia ad Atene. Ora, verosimilmente non si potrà mai allestire un processo per mettere sul banco degli imputati Netanyahu e Hamas. E l’Onu, unico organismo legittimato a farlo, è impotente e ha perso qualsiasi credibilità. Ma proprio perciò ha ancora più forza la scelta di Youth of Sumud. Lì c’è una vera radicalità – che, insisto, il movimento Propal dovrebbe valorizzare – e non negli slogan che implicano la cancellazione di Israele! Nella nonna di Sameeha e non in Andreotti. E certo le 50 barche della Global Sumud Flotilla vanno in questa direzione. Aggiungo: forse per impedire la sequenza interminabile delle faide ci vorrà anche – da parte di entrambi – uno sforzo collettivo, forse “disumano” ma necessario, di oblio, o di amnesia. La storia di Sameeha conta perché qui in Italia abbiamo l’obbligo di dare voce e risonanza alle componenti non-violente delle due parti, unico modo per poter trasformare le Furie nelle Eumenidi. Ricordate il Calvino delle Città invisibili? Abitando nell’inferno dei viventi abbiamo un solo dovere: individuare ciò che nell’inferno non è inferno e dargli visibilità.

9 Ottobre 2025

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