L'ex ministro della salute

Intervista a Roberto Speranza: “Assente davanti alla tragedia di Gaza: questa non è la mia Europa”

«Nella Striscia muoiono ogni giorno le idee su cui è nato il progetto europeo. Quando Kallas invita Netanyahu “alla moderazione” provo vergogna. Non mi riconosco in questa Commissione che insegue la destra. Serve una svolta da parte dei socialisti e democratici»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

26 Luglio 2025 alle 08:00

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Photo credits: Andrea Di Biagio/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Di Biagio/Imagoeconomica

Roberto Speranza, ministro della Salute nei governi Conte2 e Draghi, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico, una passione da sempre per la politica estera. A Gaza si continua a morire. E l’Europa resta a guardare. Manda armi all’Ucraina ma non sanziona Israele. Eppure, nel Parlamento europeo la sinistra è in maggioranza, ha pure contribuito a salvare la von der Leyen.
Non bastano più le parole per descrivere la tragedia che si sta consumando a Gaza. Dinanzi a tanto terrore la cosa che mi spaventa di più è l’assenza di reazione e l’assuefazione dell’opinione pubblica. Io ho due figli di 14 e 12 anni. Cerco di guardare il flusso di immagini e notizie con i loro occhi. La cosa che mi spaventa di più è che se ogni giorno il tg gli racconta di guerra, morte e miseria loro inizieranno a pensare che quella è la normalità, e non invece una terribile ed inaccettabile straordinarietà. Serve una reazione molto più forte di quella vista fino ad ora per porre fine a questa carneficina. L’Europa per me è l’idea di Pace che si fa istituzione. L’Europa è stata la più potente reazione politica a due guerre mondiali avvenute in pochi anni proprio nel nostro pezzo di mondo. Per queste ragioni è incredibile e inaccettabile che l’Europa sia totalmente assente dinanzi a quanto sta avvenendo. A Gaza si negano ogni giorno i nostri valori. Ed è così che l’Europa a Gaza muore ogni giorno perché muoiono le idee fondanti su cui essa stessa è nata. Voglio essere chiarissimo. Io sono profondamente europeista. L’Europa è un tratto identitario della mia storia e della mia cultura politica. Ma questa non è la nostra Europa. Anzi ne è la negazione. Quando la signora Kallas, dinanzi a questa tremenda strage, invita Netanyahu “alla moderazione” io provo imbarazzo e vergogna per l’inadeguatezza delle nostre istituzioni.

Un j’accuse pesante…
Personalmente non mi riconosco in questa commissione europea che insegue sempre più la destra. Forse piacerà a Giorgia Meloni che su Gaza, come ormai su tutto il resto, pende dalle labbra di Donald Trump. Per questo sono convinto che serva una vera e propria svolta da parte dei socialisti e democratici. Schlein e Provenzano hanno posto il tema con forza. Ora serve il coraggio di andare avanti. Qualche settimana fa davanti ad una scuola di Roma un gruppo di studenti ha bruciato la bandiera dell’Europa ritenendola corresponsabile della tragedia in corso a Gaza. Ho provato un profondo dolore. Non ricordo fosse mai avvenuto prima un gesto così davanti ad una scuola italiana. È evidente che la sfida sia ormai quella di salvare l’Europa. E il tempo sta scadendo.

Macron ha annunciato che la Francia riconoscerà lo Stato palestinese. E l’Italia?
Sin dalla mia prima missione in Medio Oriente, ai tempi del movimento giovanile, la nostra linea è stata “due Popoli due Stati”. Oggi, sinceramente, ho difficoltà a pronunciare queste parole perché sono purtroppo quanto di più lontano possa esserci dalla realtà. Resto però convinto che la pace in Medio Oriente e la stessa sicurezza di Israele sarà possibile solo dentro un quadro di pieno riconoscimento della statualità palestinese. Ogni passo in questa direzione è sicuramente positivo e riconosco a Macron di aver avuto il coraggio che manca al governo italiano. Voglio ricordare che il nostro Parlamento ha già approvato una mozione a mia prima firma nel febbraio del 2015, quando ero capogruppo del Pd alla Camera, per “il riconoscimento della Palestina quale stato democratico e sovrano entro i confini del 1967”.

Sulle grandi sfide del nostro tempo – la pace, la crescita delle disuguaglianze, i cambiamenti climatici, le migrazioni etc. – esiste ancora un pensiero e un’azione di sinistra e della sinistra?
Siamo dinanzi ad un enorme paradosso. Le ragioni di fondo per cui è nata la sinistra non sono mai state così attuali. Le diseguaglianze sono esplose come mai avvenuto prima nella storia dell’umanità. La devastazione ambientale e il cambiamento climatico hanno superato ogni linea rossa. Si è affermata una nuova forma di tecnocapitalismo digitale che controlla le nostre vite attraverso i consumi e comprime gli spazi di democrazia. La “terza guerra mondiale a pezzi” evocata da Papa Francesco è ormai realtà e i pezzi si uniscono sempre più nitidamente giorno dopo giorno. Dinanzi a tutto ciò la sinistra appare debole e confusa, incapace di offrire una visione alternativa al modello di sviluppo dentro cui siamo immersi. Così abbiamo perso la capacità di “parlare al popolo” e dare una risposta credibile a quella grandissima domanda di protezione che emerge non solo dai ceti più deboli, ma ormai dalla stragrande maggioranza dei cittadini che vedono peggiorate le loro condizioni materiali di vita. Dinanzi a tutto ciò serve il coraggio di rimettere profondamente in discussione lo status quo e avere l’ambizione di indicare un modello radicalmente diverso.

I più documentati rapporti, uno per tutti quello di Oxfam, documentano una scioccante crescita delle disuguaglianze nel mondo, in Europa, in Italia. Esiste una gigantesca, e del tutto irrisolta, Questione sociale planetaria. Una sinistra all’altezza dei tempi non dovrebbe fare di questo il centro del suo agire?
I numeri drammatici delle diseguaglianze sono sotto gli occhi di tutti. Non vi è alcun dubbio che la questione sociale debba essere il cuore del progetto di rilancio della sinistra in ogni angolo del pianeta. Dinanzi agli sconvolgimenti degli ultimi anni urge riaffermare la centralità e la dignità del lavoro ed è essenziale dire con chiarezza che ci sono beni e servizi pubblici fondamentali che non possono essere delegati alle dinamiche del mercato e del profitto. Penso, prima di tutto, all’istruzione e alla sanità. A pensarci bene un faro in Italia c’è. È la nostra Costituzione. Essa indica un modello di società inclusivo e solidale che è troppo spesso negato nella vita reale di una moltitudine sempre più larga di persone. Credo sia necessario ripartire proprio da lì. Senza rimettere al centro la questione sociale nessun rilancio della sinistra sarà mai possibile.

Donald Trump ha dichiarato la guerra dei dazi all’Europa. Ma la presidente del Consiglio predica moderazione nella reazione europea.
Sono stato al governo del Paese in un momento drammatico e so quanto sia difficile avere la responsabilità di assumere decisioni che incidono sulla carne viva degli italiani. Per la Meloni il lavoro è tutt’altro che semplice. Al momento la scommessa di fondo che lei ha fatto si è dimostrata fallimentare. Ha pensato che nel rapporto diretto (e purtroppo supino) con Trump potesse costruire una sua centralità in Europa e tenere l’Italia al riparo dai dazi statunitensi. Nessuna delle due cose si è realizzata. In Europa continua ad essere considerata una leader di secondo piano, esclusa dai tavoli che contano. Quanto ai dazi le durissime misure previste colpiranno le aziende italiane esattamente come tutte le altre dei Paesi dell’Unione. Nessuna corsia preferenziale. Nel frattempo, il prezzo che noi paghiamo è molto salato. Non solo perché siamo un grande Paese esportatore e il conto dei dazi a noi farà molto più male, ma anche perché sull’altare del Trumpismo stiamo negando alcuni assi fondamentali della nostra politica estera. Penso proprio alla posizione sul Medio Oriente dove abbiamo smarrito quell’impostazione di equivicinanza che abbiamo coltivato per decenni e che ci ha portato ad essere un Paese cerniera capace di dialogare con tutte le parti in campo. Oggi purtroppo non è più così. Penso ancora alle ultime scellerate scelte concernenti le politiche di prevenzione sanitaria dell’Oms. Anche in questo caso abbiamo seguito le teorie fantasiose e antiscientifiche di Trump negando la lunga storia italiana di investimento nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e più in generale nelle istituzioni del multilateralismo.

Tra i diritti fondamentali c’è quello alla salute, alla cura. Da ex ministro della Salute che si è trovato a dover affrontare la drammatica emergenza del Covid – esperienza raccontata nel suo libro Perché guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute (Feltrinelli) – come fotografa lo stato della sanità pubblica in Italia e l’azione del governo in questo campo?
Provo grande amarezza per quello che sta avvenendo. Dopo la pandemia abbiamo tutti detto “mai più “. Mai più tagli, mai più disinvestimenti, mai più considerare la sanità una cenerentola. Invece quella promessa è stata troppo presto tradita. Usciti dall’emergenza siamo tornati drammaticamente indietro. E il prezzo lo pagano ogni giorno milioni di italiani che hanno difficoltà a curarsi. Il rischio che vedo è il cambio sostanziale del modello di welfare nel nostro Paese. Stiamo uscendo dall’universalità e stiamo tornando ad un modello sostanzialmente assicurativo e privatistico. Questa prospettiva è inaccettabile perché mina il cuore del nostro patto sociale e nega i principi fondamentali dell’art 32 della nostra Carta Costituzionale. Oggi la spesa sanitaria sul Pil è poco sopra il 6 per cento. Servirebbe almeno il 7. Il ministro, giustamente, chiede più risorse. Le sembrerà strano, ma io sono al suo fianco. Ho chiesto e ottenuto molte più risorse per la sanità quando ero al governo. Oggi dai banchi dell’opposizione non ho cambiato idea e chiedo esattamente la stessa cosa: un patto Paese che salvi il nostro Servizio Sanitario Nazionale, il patrimonio più prezioso che abbiamo.

26 Luglio 2025

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