Parla il membro della segreteria nazionale dem
Intervista a Pierfrancesco Majorino: “Caso Almasri picco della disumanizzazione politica”
«Il governo si assuma la responsabilità di aver liberato un criminale. Siamo di fronte a un crollo di autorevolezza del nostro Paese. E il silenzio su Albanese la dice lunga sul contesto in cui viviamo»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Pierfrancesco Majorino, Segreteria nazionale del Partito Democratico, capogruppo Dem al Consiglio regionale della Lombardia. Tempi duri per il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Dichiarato persona non gradita dal generale Haftar e rispedito indietro da Tripoli.
Più che per il ministro Piantedosi, direi tempi duri per la capacità politica dell’Italia di giocare un ruolo strategico nel Mediterraneo, come, invece, in altre epoche è accaduto. Siamo infatti di fronte ad un crollo di autorevolezza del nostro Paese davvero straordinario. Del resto, l’unica cosa a cui il governo fa riferimento è il tentativo di impedire gli arrivi dei barconi. Senza alcuna rivisitazione lungimirante delle nostre politiche in campo migratorio e attraverso un’operazione, il Piano Mattei, che non ha nulla a che spartire con la figura di Mattei a cui si ispira. Proprio perché è una scatola vuota con un bel titolo, uno spottone di un’intenzione a cui non segue l’organizzazione di un progetto a sostegno della Cooperazione allo sviluppo lungimirante. In questa cornice capita il pasticcio del respingimento di Piantedosi. Episodio che ha comprensibilmente suscitato ironie ma che in realtà, sotto sotto, non è divertente. Anche perché viene dopo il grande scandalo rimosso e taciuto, quello sì un dramma, del caso Almasri.
Ma il generale Haftar che bacchetta Piantedosi non è lo stesso ricevuto in pompa magna a Palazzo Chigi ed esaltato dalla presidente del Consiglio come un importante “stabilizzatore” della Libia nonché partner fondamentale nella lotta all’immigrazione?
Mettiamola così: sulla Libia c’è tantissimo da chiarire. Avremmo bisogno di un’operazione verità. Torno ancora su Almasri. Ricordiamoci che siamo il Paese che ha rimandato, con tanto di volo di Stato e pacche sulle spalle, un torturatore e stupratore di bambini in Libia. Determinando un conflitto con pochi precedenti sul piano del rapporto con le istituzioni del diritto internazionale e gestendo la vicenda attraverso un’incredibile serie di contraddizioni. Su questo il PD è stato molto netto e mi sento di condividere totalmente la linea espressa da Debora Serracchiani, che ha ricordato giustamente come le dimissioni del ministro Nordio sarebbero oggi un gesto di dignità, sia se fosse al corrente di tutte le pagine oscure sia se, ignaro, si fosse “limitato” a coprire altri. Ma poi c’è pure di più. Il caso Almasri è la segnalazione di un enorme problema sul piano della totale assenza di rigore quando si è di fronte alla questione dei diritti umani. Che oggi appare un po’ come “questa sconosciuta” quando si affrontano aspetti che chiamano in causa la vita di persone in carne ed ossa e che invece per me continua ad essere un tema che non si può ridurre e rimuovere. Almasri è un criminale. Se lo restituisci alle sue bande di amici, con le quali festeggia la “liberazione”, ti assumi la responsabilità di voltarti esplicitamente dall’altra parte di fronte a tutto quel che lui rappresenta. Quella vicenda è il culmine della disumanizzazione della politica. Ma, del resto, da un governo che ha fatto accordi pessimi come quello con la Tunisia, che determinano nei fatti l’aumento dei rischi di coloro che tentano la fortuna in Europa, non mi aspetto nulla.
“Via libera della Consulta alle Ong: ‘Disobbedite a Tripoli’. La Corte fa a pezzi l’impianto del dl Piantedosi”. Così l’Unità titolava in prima pagina.
E facevate bene, ancora una volta. Ora la politica dovrebbe scendere in campo con strategie di segno opposto rispetto a quanto prodotto dal governo più di destra della storia italiana. Innanzitutto, paradossalmente, dovremmo convocare le Ong e dire loro: grazie di tutto, ma di voi non c’è più bisogno. Non perché siete il “male”, ma perché il compito di salvare vite deve riguardare le istituzioni. Insomma, avremmo bisogno di una grande mare nostrum europea. E poi avremmo bisogno di aumentare le vie d’ingresso legali e sicure al nostro Paese, di superare la Bossi Fini riconoscendo una forma di permesso temporaneo a chi cerca lavoro da noi, anche per togliere le persone dal cono d’ombra dell’irregolarità, e soprattutto di poderosi interventi riguardanti l’inclusione sociale e la cosiddetta integrazione di chi arriva. Questa dovrebbe essere la strategia da mettere in campo, una sorta di nuova agenda per il governo dell’immigrazione. Uso il condizionale poiché so che non avverrà niente di tutto questo con Meloni e soci.
Vale a dire?
La destra continuerà a utilizzare l’immigrazione come una clava utile per alimentare la tensione e far gridare al pericolo dell’invasione. Per loro, infatti, non è una questione molto complicata da affrontare nel modo più razionale possibile, questione alla base della quale c’è comunque la vita di donne e uomini, ma un capitale di consenso da attivare nel nome dell’emergenza permanente. Perché quella sensazione fa crescere l’insicurezza e finisce così per alimentare la politica che vive di rancore. Quindi in Italia non accadrà nulla nel breve periodo e si continuerà così, e lo si potrà fare anche perché le istituzioni europee in materia migratoria sono e, temo saranno ancora per alcuni anni, totalmente imballate. Del resto, il Patto europeo immigrazione e asilo (che sono fiero di aver criticato dalle sue prime battute iniziali, nell’estate del 2019) è stato l’antipasto di un’Europa ferma e impaurita. L’immigrazione dovrebbe essere una responsabilità da condividere. Se va bene, invece, è polvere da nascondere sotto il tappeto. Se va male è il fenomeno da affrontare attraverso quella pagina orrenda che si chiama CPR in Albania. Pagina orrenda e costosissima poiché quegli 800 milioni potevano essere utilizzati, ad esempio, per garantire in Italia la presenza di più medici ed infermieri.
Cosa resta del tanto magnificato “Piano Mattei” per l’Africa?
Me lo chiedo. Devo dire che dal punto di vista dell’operazione di marketing si tratta di un’operazione riuscita. Perché ci sono figure, anche autorevoli, che ne parlano come di una buona soluzione. Ma mi si può dire concretamente in cosa si è tradotto? A me risulta che si è dato un titolo più accattivante di prima a operazioni già praticamente in essere. Detto ciò, a prescindere dal fatto che questo cinismo lo giudico insopportabile, il tema della Cooperazione allo sviluppo e di come alimentare poderosi investimenti per la crescita del continente africano, in particolare aggiungo sostenendo la società civile, è tutto di fronte a noi. L’Europa dovrebbe assumerlo ancora di più come una sfida, come una gigantesca priorità. E non sta avvenendo a sufficienza.
Tutto questo, mentre impazza la guerra dei dazi scatenata da Trump contro l’Europa.
Queste sono settimane davvero pazzesche. Diciamo innanzitutto che avevamo ragione noi e torto quelli che tifavano per Trump, Meloni in testa. I danni sull’economia e la produttività sono già annunciati e significativi. Basti pensare alle stime di Confindustria, non delle opposizioni. Stime che vedevano con i dazi anche solo al 10% a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro. La realtà è ancora più preoccupante e ci sono conseguenze, esplicite e piuttosto dirette, sul piano delle scelte strategiche. Da più parti viene detto che la prima vittima dell’amministrazione americana è il multilateralismo, ed è corretto. Pensiamoci: anni fa si discuteva di come riformare l’ONU e di quanto rilanciare forme di governo mondiale. Oggi ci troviamo nella condizione allucinante che vede il massacro quotidiano delle dinamiche anche più tradizionali delle relazioni tra gli Stati con le istituzioni europee che non riescono nemmeno a fare fino in fondo la propria parte per difendere Francesca Albanese e il governo italiano che addirittura tace. Un episodio che, nel suo “piccolo”, la dice lunga sul contesto nel quale siamo immersi.
L’Europa dovrebbe farne un’occasione per una grande risposta politica unitaria. Speriamo che succeda.
La realtà che viviamo è segnata dall’esclusione e dal malessere esistenziale che investe in particolare i giovani. In questi giorni è in libreria un suo romanzo che parla di paure e conflitti e giovani rinchiusi nei manicomi riaperti.
Sì, quello della società del “rancore” e della gestione delle vulnerabilità è un tema che mi affascina e di cui ho paura. Anche per questo (oltre che per la ragione che scrivere è un pezzo integrante della mia vita) ho realizzato Le stelle divorate dai cani (Laurana editore). Un romanzo che racconta di una sparizione di un ragazzo fragile, Marchino, e di una società che ritiene che la salute mentale e in generale le diversità, le pluralità che la attraversano, debbano essere sempre di più oggetto di azioni di repressione di massa, di deportazioni, di confinamenti. Immagino che i rappresentanti delle istituzioni, in un tempo vicino all’oggi, realizzino questi piani al grido “Basaglia fottiti!”. Io credo infatti davvero che siamo a pochi passi dal precipizio. Che dopo l’esternalizzazione delle frontiere, se non stiamo attenti, si procederà con altri tentativi di cancellare le differenze e magari, un giorno, anche in assenza di servizi territoriali adeguati, verso la riapertura dei manicomi.
Dopodiché il mio Marchino viene anche cercato da chi “resiste”. Insomma, è un romanzo che ha dentro una buona dose di disperazione ma pure quantità significative di speranza.