Ma il governo è contro il salario minimo
Il record di Meloni: povero un lavoratore su quattro
L’ultimo rapporto Caritas dice che la fragilità sociale è in aumento (dal 22,8% al 23,1), ma il governo resta inerte e bastona anche gli anziani
Politica - di Cesare Damiano

Il Report statistico 2025, “La povertà in Italia”, redatto dalla Caritas di Roma, approfondisce e completa il quadro della salute sociale del nostro Paese. Si tratta di un panorama allarmante che il Governo quotidianamente nasconde attraverso una sorta di autocelebrazione dei risultati raggiunti sul piano occupazionale. Vogliamo essere chiari: nessuno intende negare il fatto che aver superato i 24 milioni di occupati rappresenti un record; così come lo è un conseguente tasso di occupazione al 62,8%.
Quello che si vuole sottolineare è che non è sufficiente fermarsi al dato quantitativo della occupazione, ma che sarebbe necessario esaminare in profondità la precaria condizione sociale dell’Italia e comprendere, soprattutto, i profondi mutamenti strutturali in corso che portano, come esito, all’aumento progressivo delle disuguaglianze. Ci ha colpito, di recente, una dichiarazione della presidente del Consiglio: “Vogliamo difendere il ceto medio…”. Si tratta di un bel proposito. Bisognerebbe, allora, cominciare a restituire lo scippo miliardario perpetrato nei confronti del ceto medio dei pensionati, quelli che percepiscono un assegno a partire da 2.000 euro lordi mensili (1.600 euro netti), cioè ex-operai specializzati ed impiegati di concetto, attraverso il taglio delle indicizzazioni. Questo tanto per sottolineare ancora una volta la distanza tra le dichiarazioni e i comportamenti concreti: nello specifico, il draconiano taglio delle indicizzazioni delle pensioni nell’ultima legge di Bilancio, che vale più di 30 miliardi di euro in un decennio tolti dalle tasche proprio di quel ceto medio che si afferma propagandisticamente di voler proteggere.
Ma veniamo al rapporto della Caritas. In primo luogo è da segnalare la crescita generale della fragilità sociale. Essa non è una condizione che affligge gli “inoccupabili”, cioè coloro che, in nessun caso, sono in grado di lavorare e costruirsi un reddito. Sta, invece, progressivamente investendo coloro che lavorano o hanno lavorato e raggiunto l’età della pensione. In Europa, spiega il Rapporto, “il 21% della popolazione vive in una condizione di rischio povertà o esclusione sociale; si tratta di oltre 93 milioni di individui […]. L’Italia è il settimo Paese per incidenza di persone a rischio povertà o esclusione sociale (al 23,1%, in aumento rispetto al 22,8% del 2023)”. Se “l’istruzione si conferma ancora un importante fattore protettivo: la povertà assoluta colpisce il 13% delle famiglie con bassi titoli di studio […], al contrario, il lavoro smette di rappresentare un’efficace barriera: il 16,5% degli operai o figure assimilate sperimenta condizioni di povertà assoluta e complessivamente il 21% dei lavoratori ha un reddito troppo basso per vivere in modo adeguato”. Il tutto aggravato dall’effetto “del ‘caro vita’ che ha progressivamente eroso il potere d’acquisto delle famiglie”.
Dunque, gli effetti nel nostro Paese: “l’età media delle persone accompagnate è 47,8 anni, in aumento rispetto al passato. Sebbene le statistiche ufficiali mostrino una situazione in cui gli anziani risultano meno colpiti dalla povertà rispetto alle fasce più giovani della popolazione, i dati raccolti dalla rete Caritas evidenziano una costante crescita della componente anziana tra le richieste di aiuto: se nel 2015, infatti, gli ultrasessantacinquenni rappresentavano appena il 7,7%, oggi la loro incidenza è praticamente raddoppiata raggiungendo il 14,3%. Rimangono invece pressoché stabili e strutturali le difficoltà delle famiglie con figli che costituiscono circa i due terzi degli assistiti (63,4%), molti dei quali con figli minori”. Oltre agli effetti della cosiddetta povertà multidimensionale e complessa, segnata dalla combinazione di tre fattori di fragilità, ossia, reddito, lavoro e casa, va segnalata la “vulnerabilità sanitaria, spesso legata a patologie gravi e alla mancanza di una risposta adeguata da parte del sistema pubblico”.
“Molti di questi soggetti chiedono esplicitamente aiuto alla rete Caritas, che diventa per loro un punto di riferimento e un presidio alternativo di ascolto e supporto. Altri, invece, non formulano richieste specifiche: ciò lascia presumere che il fenomeno delle rinunce sia ampiamente sottostimato, soprattutto tra i più marginalizzati, che spesso sfuggono ai circuiti statistici e sanitari formali. Dall’analisi delle caratteristiche emerge un profilo articolato di persone che subiscono un doppio svantaggio, sanitario e sociale.” Tra questi, emergono “uomini e donne tra i 55 e i 64 anni, e in misura crescente over 65”. Dunque, coloro che sono già in pensione. E va qui messa in evidenza una specificità del tutto italiana. Il reddito da pensione, va ricordato, è “salario differito”. Ossia, sulla busta paga da lavoro si pagano le tasse e i contributi previdenziali. Ma, in Italia, straordinariamente, si pagano nuovamente le tasse anche sulla pensione.
In breve, lavoratrici e lavoratori italiani vengono tassati due volte per lo stesso reddito. E su tutto questo va a pesare ulteriormente, come ricordato prima, il taglio dell’indicizzazione delle pensioni al costo della vita, fortemente elevato, in questi anni, a causa dell’inflazione. Costo della vita non mitigato dalla riduzione dell’inflazione stessa dopo i picchi di un paio di anni fa. Chiunque faccia la spesa quotidiana o paghi le bollette lo può constatare. Oggi, queste persone che hanno lavorato e contribuito pesantemente sul piano fiscale, rinunciano, sempre di più, nell’età più critica dal punto di vista della salute, a curarsi. La difesa del ceto medio da parte del Governo Meloni è fatta soltanto di parole. Sul piano dei concreti effetti sull’esistenza di cittadine e cittadini, siamo di fronte al nulla.