La vicenda del torturatore libico

La verità sul caso Almasri: l’aguzzino liberato da Nordio

Il 19 gennaio, quando arriva la richiesta di consegna dell’aguzzino, Birritteri, capo del Dag, prepara e invia il provvedimento che il ministro deve firmare per convalidare l’arresto. Ma il Guardasigilli non lo firma. E rischia il processo per omissione di atti di ufficio

Politica - di Paolo Comi

31 Maggio 2025 alle 07:00

Condividi l'articolo

Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica
Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica

Luigi Birritteri, detto Gigi, magistrato, fino a questo mese capo del Dipartimento per l’amministrazione della giustizia di via Arenula. È lui il “convitato di pietra” della vicenda Almasri, il generale libico ricercato dell’Aia per omicidi, torture e stupri nei confronti dei migranti. La testimonianza delle scorse settimane di Birritteri al tribunale dei ministri della Capitale rischia, molto probabilmente, di mandare a giudizio per il reato di omissione d’atti d’ufficio il Guardasigilli Carlo Nordio e la sua potentissima capo di gabinetto, la giudice Giusy Bartolozzi. Per capire come ciò sia possibile, è necessario conoscere alcune dinamiche interne del Ministero della giustizia che, da quando è arrivato il duo Nordio&Bartolozzi, è precipitato, nel silenzio complice della premier Giorgia Meloni, nel caos assoluto.

Il Dipartimento per l’amministrazione della giustizia, il Dag, è uno degli uffici più importanti del Ministero. Fra le tante competenze ha anche quella relativa alla “cooperazione internazionale in materia civile e penale”. Quindi proprio situazioni come quella di Almastri. Birritteri non è un magistrato qualsiasi. È colui che da pm ha rappresentato l’accusa nel processo per la morte nel luglio del 1983 del giudice Rocco Chinnici e dei carabinieri della sua scorta ed in quello per l’attentato all’Addaura ai danni di Giovanni Falcone nel 1989. Agrigentino, classe 1961, Birritteri ha ricoperto il ruolo di capo Dag con ben cinque ministri, oltre a Nordio: Angelino Alfano, Nitto Palma, Paola Severino, Anna Maria Cancellieri, Andrea Orlando. Recentemente è balzato agli onori delle cronache per aver riportato fisicamente in Italia Chico Forti dopo aver gestito tutta l’istruttoria con gli Stati Uniti.

Quando lo scorso 19 gennaio arriva al Ministero la richiesta di consegna alla Corte penale internazionale di Almasri, arrestato all’alba dalla polizia a Torino dove si era recato per vedere la partita della Juventus, i vertici di via Arenula si mettono subito al lavoro. L’ufficio di Birritteri, in particolare, si attiva e prepara una bozza di provvedimento da far firmare a Nordio che consente di trattenere Almasri in carcere, sanando così la mancata interlocuzione preliminare con il Ministero che poteva rendere inefficace il fermo del libico. Si tratta, va ricordato, dell’atto che stava aspettando la Procura generale di Roma, chiamata a decidere se convalidare o meno l’arresto, rivoltasi direttamente a Nordio e “in attesa delle determinazione della Signoria Vostra in ordine alle attività da porre in essere”. La bozza, inviata da Birritteri per mail al gabinetto del ministro, e quindi a Bartolozzi, è però rimasta tale: Nordio non l’ha firmata e né ha risposto alla sollecitazione della Procura generale che, nella serata di lunedì 21, ordinerà la liberazione di Almasri, poi riportato a casa con un aereo dei Servizi.

Sentito dai giudici del tribunale dei ministri che hanno indagato Nordio, Meloni, Mantovano e Piantedosi, il magistrato avrebbe quindi consegnato copia di questa mail. La “pistola fumante” dell’accusa di omissione d’atti d’ufficio per Nordio e per la sua fedelissima. Quest’ultima è ora la più esposta. Se Nordio, infatti, può sperare nel diniego del Parlamento alla eventuale richiesta di autorizzazione a procedere da parte dei magistrati una volta terminata l’istruttoria, Bartolozzi è senza paracadute e farebbe bene a studiare una convincente strategia difensiva. Nordio in queste settimane ha fornito più ricostruzioni dell’accaduto, affermando che l’Interpol si era limitata a trasmettere una comunicazione senza presentare una domanda di estradizione.

Il 18 gennaio la Cpi emetteva un mandato di arresto internazionale nei confronti di Almasri per una serie di reati. Il mandato di arresto è arrivato domenica 19 gennaio alle ore 9.30 con una notizia informale e l’arresto trasmessa via email da un funzionario Interpol alle ore 12.37, sempre domenica: una comunicazione assolutamente informale, priva di dati identificativi e priva del provvedimento in oggetto e delle ragioni sottese. Non era nemmeno allegata la richiesta di estradizione”, erano state le sue parole alla Camera. Anche l’atto della Corte penale internazionale, secondo il ministro, era pieno di criticità ed era arrivato “in lingua inglese, senza traduzione”. “Il ruolo del ministro non è solo di transito e di passacarte, è un ruolo politico: ho il potere e dovere di interloquire con altri organi dello Stato sulla richiesta della Cpi, sui dettagli e sulla coerenza delle conclusioni cui arriva la Corte. Coerenza che per noi manca assolutamente”, aveva aggiunto Nordio. Forse ignaro che Birritteri aveva preparato il provvedimento che sanava le eventuali criticità.

Il ministro, per la cronaca, aveva poi buttato la palla in tribuna, accusando i magistrati che lo criticavano per aver liberato il feroce torturatore libico di “sciatteria” e bollando le polemiche come un tentativo maldestro per stoppare le riforme sulla giustizia. La premier Meloni, dicono i bene informati, ogni giorno che passa è sempre più infastidita della conduzione del Ministero della giustizia da parte del duo Nordio&Bartolozzi. Ieri da Palazzo Chigi hanno fatto trapelare la notizia, non smentita, secondo cui sarebbe “opportuno” che Nordio si presentasse quanto prima al palazzo di giustizia di Roma per essere sentito su questa vicenda. Il ministro fino ad oggi ha nicchiato. Forse proprio per evitare che i suoi ex colleghi gli possano contestare la mail di Birriterri a cui non venne mai data risposta.

P,S. Per pura coincidenza, ovviamente, dopo la sua testimonianza Birritteri si è “dimesso” dall’incarico di capo del Dag ed è ha fatto domanda per tornare in servizio alla Procura generale della Cassazione.

31 Maggio 2025

Condividi l'articolo