La rubrica Sottosopra
Perché il muto sterminio delle api minaccia il futuro dell’essere umano
Gli insetti di un singolo alveare possono visitare dai 3 ai 20 miliardi di fiori in un anno: un lavoro insostituibile per la biodiversità oggi a rischio
Editoriali - di Mario Capanna

Come l’ape raccoglie il succo dei fiori senza danneggiarne colore e profumo, così il saggio dimori nel mondo.
(Buddha)
Lo scorso 20 maggio è stata celebrata la giornata mondiale delle api, promossa dall’Onu. L’occasione è passata in sordina, senza l’attenzione che sarebbe stata necessaria. Scopo della scadenza annuale è sensibilizzare le persone sull’importanza dello straordinario insetto nel mantenere il delicato equilibrio dell’ecosistema, e nel contribuire, attraverso la perpetuazione di molte specie vegetali, a garantire lo sviluppo umano. Oltre i prodotti ottenibili dagli alveari (non solo miele, ma anche propoli, pappa reale, polline), secondo dati della Fao ben il 75 per cento delle colture agricole è favorito dagli insetti impollinatori, le api in primis. La sostanza è che, senza il loro prezioso lavoro, verrebbero meno la sicurezza alimentare e la diversità nutrizionale globali.
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“Se le api scomparissero dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita”: questa frase, erroneamente attribuita ad Albert Einstein, contiene un elemento di plausibilità. L’umanità dovrebbe fare i conti con una drastica riduzione della qualità, della varietà e della quantità di cibo. Inoltre: se consideriamo che il miele, insieme con l’olio extravergine di oliva, è l’alimento naturale che, per caratteristiche nutrizionali, più si avvicina al latte materno, ci rendiamo conto di ciò che verremmo a perdere. La frase, poi, ha il pregio di richiamare con forza l’attenzione sui complessi e finissimi equilibri che regolano il rapporto uomo-natura-animali-insetti, dove tutto è interconnesso, e dimenticarlo contribuisce alla nostra sventura.
Se pensiamo che le api di un singolo alveare possono visitare in un anno dai 3 ai 20 miliardi di fiori, possiamo capire la meraviglia suscitata da quei piccoli, intelligentissimi esseri, che si orientano con il sole, e che hanno affascinato fin dall’antichità, da Omero a Virgilio, e hanno aiutato Darwin ad elaborare la sua teoria evoluzionista. Il valore economico del loro lavoro è di tre miliardi di euro in Italia, e di centinaia di miliardi nel mondo. Ma, al di là del dato venale, è impareggiabile il loro contributo al mantenimento e allo sviluppo della biodiversità. Per non dire dell’aiuto psicologico… Da apicoltore dilettante sulla mia collina umbra, quando qualche volta mi sento neghittoso, vado a guardare gli alveari: di fronte al volo ininterrotto delle api, mi assale un senso di vergogna, e mi metto subito a fare qualcosa.
Oggi le api sono falcidiate da diverse insidie. Ricerche attestano che il numero di alveari si sta riducendo dal 30 al 50 per cento, a seconda delle zone continentali, e le percentuali più alte si registrano in Europa. Si assiste a una moria crescente di intere famiglie, dovuta a un insieme di fattori concomitanti: dai mutamenti climatici, che alterano le fioriture delle piante e delle erbe, all’uso intensivo dei pesticidi nell’agricoltura di intensità (più di un terzo del totale in Italia), dall’inquinamento diffuso al consumo e inaridimento del suolo. È necessario e urgente correre ai ripari. Occorre, in primo luogo, cambiare le pratiche agricole, ridurre le monocolture invasive, diminuire drasticamente i pesticidi, e incrementare l’agricoltura biologica, che favorisce il rispetto dei cicli naturali, senza forzarli con prodotti chimici. Soprattutto bisogna diffondere cultura e conoscenza sulle dinamiche meravigliose di vita delle api e sulla loro insostituibile funzione a favore della natura e dell’umanità, a partire dai media e dalle scuole, almeno fin dalle elementari. Insegnando che, quando si incontra un’ape, e la si vede bottinare instancabile sui fiori, bisognerebbe togliersi il cappello, in segno di rispetto e di gratitudine.