Il libro di Mauro Croce
La lezione dei “Diari di Phoenix House”
Alla luce delle politiche governative sulle droghe, il libro di Mauro Croce conferma il rischio del rilancio di un modello autoritario e punitivo
Giustizia - di Denise Amerini

Poche settimane fa è uscito il libro “I diari di Phoenix House” scritto da Mauro Croce, edito da Durango Edizioni. Un volume che nasce per raccontare la curiosità e frustrazione dell’autore, giovane psicologo, quando decide di partire per un tirocinio in una comunità londinese, Phoenix House. A Londra Croce partecipò ad un programma per gli operatori, della durata di 6 settimane, di cui tenne un diario.
Erano gli inizi degli anni 80, e l’Italia aveva già visto, sin dalla fine degli anni 60, l’inizio della diffusione dell’eroina e le morti per overdose, senza avere strumenti e risposte efficaci per affrontarla. È infatti solo del 1975 la prima normativa sui servizi. Negli Stati Uniti, invece, sul finire degli anni 60 avevano iniziato a formarsi le prime comunità terapeutiche per il recupero dei tossicodipendenti, a partire dall’esperienza di Synanon, basate sulla completa astinenza, sulla colpa e sulla punizione. Phoenix House nasce anni dopo proprio su quel solco. Si era deciso che serviva un ‘metodo’ per curare i tossicodipendenti, e che doveva basarsi su determinate prescrizioni, quelle che prevedevano una lenta risalita, fatta di frustrazioni, punizioni, isolamento, umiliazioni, dopo ‘aver toccato il fondo’. Ed è su questi principi che anche in Italia sorsero molte comunità.
Alcune di queste, dopo essere state esaltate e pubblicizzate, sono assurte alla cronaca nera per episodi di violenza: persone chiuse in luoghi particolari, legate, isolate, umiliate. Qualcuna trovandovi anche la morte. Eppure, come ricorda Vanessa Roghi nella prefazione, la tradizione delle comunità sarebbe di democrazia, quella del movimento dell’antipsichiatria nato in Inghilterra con Maxwell Jones. Ma le comunità terapeutiche, soprattutto quelle per tossicodipendenti che nascono in quel periodo, invece di guardare a quel modello, si ispirano ai metodi repressivi e coercitivi di Synanon prima, di Phoenix House successivamente. Perché si ritiene che la persona che fa uso di droghe, il ‘tossicomane’, sia una persona incapace di gestire comportamenti, emozioni, azioni. In fondo, i tossici se la sono cercata, e quello che non è riuscita a fare la famiglia, la società, lo farà la comunità. La persuasione come strumento terapeutico. Costi quel che costi.
Ma il libro non vuole essere una critica generalizzata alle comunità: esistono oggi realtà assolutamente distanti da quelle affermazioni, da quelle esperienze, comunità aperte e accoglienti. Vuole invece testimoniare come modelli autoritari, escludenti, chiusi, possano produrre perversioni. E questo è un contributo importante per l’oggi. Siamo di fronte ad un Governo che, in ogni provvedimento, richiama modalità autoritarie, punitive, escludenti. Basti pensare ai decreti Caivano, Rave, al DL sicurezza, alla riforma del codice della strada. Alle affermazioni di ministri e sottosegretari che pensano di trasferire i detenuti tossicodipendenti (il 29% del totale, mentre oltre il 33% della popolazione carceraria è ristretta per la normativa sulle droghe) in comunità chiuse.
Una lettura, quindi, che, partendo dalla storia, e dal vissuto dell’autore, diventa estremamente utile ed interessante per l’oggi, per rispondere alle scelte della politica, anche nella contestazione del percorso intrapreso per la costruzione della conferenza nazionale sulle droghe che si terrà a novembre. Un percorso che sta escludendo completamente tutte quelle esperienze e quelle competenze che sono maturate nel corso degli anni, che propongono modelli diversi di intervento, che ci dicono che le sostanze non sono tutte uguali, che considerano il set ed il setting in cui vengono usate. Sono le politiche ed i servizi di Riduzione del Danno (RdD), fondamentali ma ad oggi completamente tagliati fuori dalla discussione. Il sottosegretario Mantovano è arrivato addirittura ad affermare che la RdD sia una politica rinunciataria, fallimentare.
Questo libro è una importante testimonianza. Conferma il grande rischio, che oggi riemerge con forza, di metodi che si basano sulla rigida obbedienza a rigide regole, come la completa astinenza. Che vedono la dipendenza esclusivamente come una malattia, dalla quale, in fondo, non ci si libera mai completamente, e non vedono le persone, le storie, i vissuti. “Rileggere quel periodo, con le parole e lo sguardo di allora, ma con la consapevolezza di oggi” è un ottimo contributo nel percorso che molte associazioni ed organizzazioni hanno intrapreso per costruire una contro conferenza, che pone al centro i gravi rischi del rilancio ideologico della guerra alla droga, di cui uno degli ideologi, e organizzatore delle campagne ‘just say no’, è stato proprio il fondatore di Phoenix House.
Per chiudere una nota musicale: la lettura del libro, oltremodo coinvolgente per l’immediatezza del linguaggio, è resa ancora più avvincente per la colonna sonora che la accompagna. Ogni capitolo è introdotto da un brano che è possibile ascoltare tramite un QR code, e accompagna in maniera coinvolgente la parola scritta.
*Responsabile Carcere e dipendenze, CGIL Nazionale