Il 50° anniversario
La storia della guerra in Vietnam: la fuga da Saigon
Ognuno tentava di scappare. Quello era il grande problema: avere un amico che ti può aiutare, un americano che ti dà il lasciapassare per uno degli elicotteri. Ognuno era disposto a fare di tutto
Esteri - di David Romoli

“Ognuno tentava di scappare. Quello era il grande problema: avere un amico che ti può aiutare, un americano che ti dà il lasciapassare per uno degli elicotteri. Ognuno era disposto a fare di tutto, a vendere l’amico, a vendere la famiglia. C’era un grande silenzio. Ognuno aspettava quel che sarebbe successo: una città assediata in preda al panico”: Tiziano Terzani, unico giornalista occidentale rimasto nella città, descriveva così le ultime ore di Saigon, il 30 aprile 1975. Il Vietnam del Nord aveva lanciato l’attacco in gennaio procedendo con una velocità che aveva stupito lo stesso comando nordvietnamita.
Gli americani rimasti nel Vietnam avevano iniziato ad abbandonare il Paese già dalla fine di marzo. Il 28 aprile la capitale del Vietnam del sud era stata circondata, senza altre vie d’uscite se non il cielo. Il 29 i razzi tirati su Saigon uccisero gli ultimi due americani. Nello stesso giorno gli americani avviarono l’operazione Frequent Wind, la più gigantesca evacuazione di massa nella storia. Nel pomeriggio del 30 la città fu occupata e la bandiera del Vietnam del Nord fu innalzata sul palazzo presidenziale. La guerra del Vietnam era finita. L’ultima fase di quella guerra era stata lunghissima anche se per gli Usa ormai senza più speranza di vittoria. Il presidente eletto nel 1968, Richard M. Nixon, aveva annunciato in campagna elettorale un “piano segreto” per mettere fine onorevolmente al conflitto. Il piano era inesistente. Nixon e il suo consulente per la sicurezza nazionale Henry Kissinger misero a punto quella che sarebbe poi diventata la “dottrina Nixon” nella pratica. Ma due punti fermi sin dall’inizio per Nixon probabilmente c’erano. Il primo era che la vittoria militare inseguita e promessa sino all’offensiva del Tet era ormai irraggiungibile. La seconda era che, a fronte di un movimento di protesta interno che continuava a crescere, bisogna procedere con la de-escalation: riportare a casa i soldati diminuendo progressivamente la presenza americana, che ammontava ormai a 541mila militari. Bisognava dunque “vietnamizzare” il conflitto, sostituire le truppe americane con quelle sudvietnamite.
A Saigon, dopo tre anni di lotta per il potere, la situazione si era stabilizzata. Nguyen Van Thieu, colonnello ed ex collaborazionista con i francesi, aveva partecipato al golpe del 1963 ed era stato eletto presidente nel 1967 instaurando subito una feroce dittatura. L’esercito del Sud, dopo anni di addestramento americano, sembrava ormai in grado di poter fronteggiare quello del Nord. Se fino al Tet la guerra era stata soprattutto contro i Viet Cong armati da Hanoi, dopo quell’offensiva a combattere fu soprattutto l’esercito regolare nordvietnamita. Nixon incaricò Kissinger di avviare colloqui segreti con il Vietnam del Nord, a latere di quelli che riteneva giustamente poco utili di Parigi. Nella primavera del ‘69 però il comandante Creighton Abrams, che aveva sostituito Westmoreland, aveva lanciato l’ultima grande offensiva inquadrata nella strategia Search and Destroy, l’operazione Apache Snow. I combattimenti furono estremamente violenti intorno a una collina di scarsa importanza strategica, Quota 937, ribattezzata dai soldati Hamburger Hill per la quantità di cadaveri sparsi sui fianchi del colle. Hamburger Hill fu conquistata il 20 maggio e abbandonata subito dopo. L’opinione pubblica americana rimase allibita di fronte a una postazione costata un così caro prezzo ma strategicamente del tutto inutile. Hamburger Hill fu l’ultimo atto della strategia che Westmoreland aveva adottato sin dal 1965. Da quel momento Nixon ordinò di sospendere le offensive limitandosi ad azioni mirate e al fiancheggiamento dell’esercito sudvietnamita. Non bastò a fermare la strage: negli anni della sua amministrazione persero la vita altri 21mila soldati americani.
Negli usa il 1969 fu segnato dal dilagare del movimento contro la guerra. Il colpo finale alla residua credibilità del governo lo inflisse un giornalista indipendente, Seymour Hesch, che rivelò una strage feroce di civili avvenuta oltre un anno prima, nel marzo 1968, nel villaggio di My Lay dove un reparto dell’esercito aveva massacrato oltre 500 civili inermi, neonati inclusi. Nixon capì al volo gli umori del suo Paese. Da un lato fece appello alla “maggioranza silenziosa” per ottenerne l’appoggio ma dall’altro nella seconda metà del suo primo anno da presidente ordinò di diminuire rapidamente la presenza in Vietnam. Entro la fine dell’anno il contingente scese sotto i 500mila soldati. Alla fine dell’anno successivo si sarebbe ridotto a 280mila unità. Le trattative segrete di Kissinger si intensificarono nonostante il cambio della guardia ad Hanoi, dopo la morte in settembre del leader Ho Chi Min.
Ma di segreto non c’era solo il negoziato di Kissinger. Sin dall’inizio del suo mandato il nuovo presidente aveva ordinato bombardamenti sul Laos e la Cambogia, lungo i quali si snodava il “sentiero di Ho Chi Min” fondamentale perché di lì passavano tutte le armi destinate ai combattenti regolari o Viet Cong impegnati nel Sud. Il Laos era già in preda alla guerra civile. In Cambogia il sovrano Sihanouk si teneva in equilibrio tra la vicinanza a Urss e Cina e l’antico conflitto etnico con i vietnamiti. Nel marzo 1970 un golpe lo rovesciò e al suo posto si insediò un governo guidato da Lon Nol, un politico di estrema destra che lo stesso Sihanouk aveva nominato primo ministro nel tentativo di sganciarsi dalle potenze comuniste e riavvicinarsi agli Usa.
Il 29 aprile 1970, con la Cambogia in piena guerra civile, Nixon decise di rendere noti i bombardamenti, intensificarli e invadere una parte della Cambogia. Nel corso delle continue manifestazioni di protesta negli Usa quattro studenti furono uccisi dalla Guardia nazionale nella Kent State University dell’Ohio, il 4 maggio. Dieci giorni dopo altri due studenti neri furono uccisi nell’università di Jacksonì Mississippi. Centomila persone invasero Washington. Il presidente fu portato al sicuro a Camp David. Il suo ghostwriter capo, Ray Price, dichiarò in seguito: “Non era una protesta studentesca. Era guerra civile”. Nixon reagì molto duramente alle proteste però entro la fine dell’anno ritirò le truppe dalla Cambogia e accelerò la de-esclation e il tentivo di “vietnamizzare” il conflitto. La prova concreta del successo della vietnamizzazione avrebbe dovuto essere, all’inizio del 1971, l’invasione del Laos, sempre con l’obiettivo di bloccare il “sentiero di Ho Chi Min”. A combattere stavolta era infatti solo l’esercito sudvietnamita, anche se supportato dall’aviazione e dagli aiuti logistici americani. Fu un disastro totale. L’armata del Sud fu sbaragliata e costretta a una caotica ritirata nonostante l’intervento degli aerei e degli elicotteri americani.
L’anno successivo fu il Vietnam a tentare a pasqua una grande offensiva, respinta grazie all’intervento dell’aviazione americana. Di fronte al fallimento della “vietnamizzazione” Nixon ordinò nel maggio 1972 di riprendere i bombardamenti ancora più martellanti di 4 anni prima, quando erano stati interrotti da Johnson. Stavolta però l’obiettivo delle bombe non era più piegare ma Hanoi ma solo costringerlo ad accelerare i colloqui di pace tra Kissinger e il negoziatore vietnamita Le Duc Thro, che proseguivano già dal 1971. Il contingente americano si era ormai ridotto a 50mila uomini e Nixon aveva fretta di sganciarsi dal vicolo cieco vietnamita anche per incassare i dividendi della pace nelle elezioni di novembre. I bombardamenti proseguirono fino a ottobre, quando sembrava raggiunto un accordo molto favorevole al Nord Vietnam ma che gli Usa potevano spacciare per non disonorevole sembrava vicinissimo. Invece dopo le elezioni la trattativa si incagliò di nuovo. Il presidente rieletto scatenò dieci giorni di bombardamenti violentissimi nel periodo di natale, poi il 27 gennaio 1973 l’accordo fu firmato.
Non era la pace ma una sorta di armistizio. Gli americani si impegnavano a ritirarsi entro 60 giorni, il Vietnam del nord a liberare tutti i prigionieri americani. Van Thieu restava al potere ma nella prospettiva di una riunificazione del Paese dopo libere elezioni nel Sud. L’elemento centrale era il diritto del Nord Vietnam a mantenere le sue truppe nel Sud anche dopo lo sgombro degli americani. Nixon promise però a Van Thieu che gli Usa avrebbero ripreso la guerra se Hanoi avesse violato gli accordi ma tutti sapevano che l’armistizio era solo un modo per rinviare una vittoria del Nord che era ormai inevitabile.
(FINE)