Il 50° anniversario
Vietnam: quando gli USA hanno capito di aver perso la guerra, l’arma segreta della rivolta dei campus
L’asso nella manica dello zio Ho: la ribellione nelle università. Nel 1969 in America si introduce l’estrazione a sorte, la lotteria per tentare di aggirare le critiche sui criteri di arruolamento
Esteri - di David Romoli

Il 2 agosto 1964 alle 16, ora locale, il cacciatorpediniere Usa Maddox fu attaccato da tre motosiluranti nordvietnamite. Rispose al fuoco. Intervenne anche una squadra navale d’appoggio (comandata dal capitano Stephen Morrison, padre del futuro cantante dei Doors Jim Morrison). Quattro marinai nordvietnamiti furono uccisi. L’incidente era stato, se non provocato, sicuramente cercato. La Maddox navigava in acque territoriali internazionali ma sconfinava puntualmente in quelle nordvietnamite con funzioni di spionaggio a supporto dei raid dell’avviazione sudvietnamita.
Due giorni dopo, il 4 agosto, si verificò un nuovo incidente e segnò l’ingresso ufficiale degli Usa in guerra. In realtà non successe nulla. Era in corso una tempesta e nell’eccitazione provocata dallo scontro precedente gli operatori radar scambiarono disturbi nella ricezione per un possibile attacco. Errore analogo fu commesso dagli addetti ai sonar, che confusero il rumore dei loro stessi motori con quelli di motosiluranti “nemiche”. Non ci fu nessun attacco e a Washington fu subito chiaro che la situazione era nella migliore delle ipotesi molto incerta. Ciò nonostante il presidente Lyndon Johnson appena mezz’ora dopo l’attacco in realtà mai avvenuto ordinò la rappresaglia con il bombardamento di di basi navali e depositi di carburante. Il giorno stesso si rivolse alla nazione denunciando l’attacco contro l’America di Hanoi. Il 7 agosto il Congresso, con due soli voti contrari al Senato, votò una risoluzione che concedeva al presidente il potere di “prendere tutte le misure necessarie incluso l’impiego delle forze armate” senza bisogno di dichiarare guerra. La Risoluzione, che restò in vigore sino al 1970, rese di fatto gli Usa apertamente belligeranti. L’obiettivo era impedire che alla guerriglia continuassero ad arrivare i rifornimenti militari dal Nord e stroncare l’insurrezione nel Sud.
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La situazione sul campo però era per il Sud Vietnam disastrosa. I Viet Cong disponevano di 170mila guerriglieri ai quali si aggiungevano le infiltrazioni dell’esercito regolare dal Nord. Gli attacchi ai quali l’esercito del Sud non era in grado di resistere si moltiplicarono negli ultimi mesi del 1964 e dall’inizio dell’anno seguente in Viet Cong iniziarono ad attaccare anche le basi americane. Il 2 marzo ‘65 il presidente decise di adottare la strategia che i generali suggerivano da mesi: ordinò i primi bombardamenti sulle strutture logistiche del Nord Vietnam. Da quel momento, fino alla metà del 1968, i bombardamenti sull’intero territorio del Nord si sarebbero moltiplicati sino a raggiungere le 300mila missioni e a sganciare 860mila tonnellate di bombe. Senza ottenere grandi risultati. Il morale del Nord Vietnam non si piegò. “Posso perdere mille uomini per ogni soldato americano ucciso ma alla fine vinceremo noi”, dichiarò di fronte al Comitato centrale del Partito comunista Ho Chi Min. I rifornimenti di armi e le infitrazioni dei soldati invece di essere strozzate aumentarono progressivamente.
Sul terreno l’afflusso di truppe americane, al comando del generale Westmoreland, prese la rincorsa. Nel marzo 1965 i primi marines, circa 3mila soldati, affiancarono i 25mila “consiglieri militari” già presenti. In luglio Johnson avviò la cosiddetta escalation autorizzando l’invio massiccio di truppe. Alla fine dell’anno i militari Usa erano 184mila, nel 1966 lievitarono sino a 385mila. L’anno seguente raggiunsero le 472mila unità. Nell’agosto del 1965 fu lanciata la prima operazione di terra, nel quadro della strategia ribattezzata Search and Destroy, Ricerca e Distruzione, che prevedeva l’individuazione e la progressiva distruzione delle roccaforti Viet Cong e nordvietnamite in tutte le quattro regioni del Paese. L’operazione si sarebbe poi dispiegata su vasta scala a partire dal 1966 mentre i bombardamenti non solo sulle strutture ma anche sulle città nordvietnamite diventavano sempre più martellanti. Le prosteste contro la guerra negli Usa partirono in contemporanea con l’inizio dell’escalation e si moltiplicarono mese dopo mese provocando la più profonda lacerazione della storia americana dalla guerra civile in poi.
La prima università a mobilitarsi fu Berkeley, nel maggio 1965, e di lì l’incendio si diffuse ovunque. Gli studenti bruciavano in pubblico le cartoline dell’arruolamento e la coscrizione fu il primo obiettivo della protesta. La coscrizione prevedeva ampi margini di discrezionalità e a essere spediti in guerra erano soprattutto i giovani neri e provenienti dalla working-class. Nel 1969, proprio per rispondere alle critiche che bersagliavano i criteri di arruolamento, fu introdotta una “lotteria”. A decidere chi doveva partire sarebbe stata ora la sorte. Per tre anni, sino alla fine del 1967, Westmoreland lanciò continue offensive contro le basi Viet Cong e contro l’esercito nordvietnamite nella terra di nessuno al confine tra i due Vietnam. Le perdite vietnamite erano effettivamente enormi. Alla fine del conflitto si sarebbero contati un milione 100mila soldati uccisi mentre le vittime civili non sono calcolabili con precisione. Le stime dicono solo che vanno dai 500mila ai 4 milioni di morti. Tuttavia il morale dei Viet Cong e di Hanoi non si piegava mentre negli Usa le proteste contro la guerra, contro i bombardamenti sui civili, contro la coscrizione dilagavano.
Senza riuscire a vincere sul campo, di fronte a una crisi interna di proporzioni inaudite e crescenti, l’esercito e la Casa Bianca diffondevano ottimismo, assicuravano che la vittoria era a un passo e che la guerra sarebbe finita presto. Fino al capodanno del Tet del 1968, il 30 e 31 gennaio. Ogni anno sino a quel momento il Tet aveva coinciso con una pausa nei combattimenti. Nel ‘68 il Vietnam del Nord e i Viet Cong annunciarono che la tregua sarebbe durata un’intera settimana e agli americani, che consideravano davvero i nemici ormai vinti sembrò una prova ulteriore della prossima resa dei Viet Cong. L’8 gennaio l’esercito nordvietnamita cinse d’assedio la base di Khe Sanh in una manovra che ricordava quella che 14 anni prima aveva portato alla sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu. L’esercito americano concentrò dunque il massimo delle risorse nel sostenere gli assediat, fino a che non riuscì a liberarli dopo tre mesi. L’annuncio delle lunga tregua e la concentrazione su Khe Sanh garantirono la sorpresa assoluta quanto, nei due giorni del Tet, fu lanciata una offensiva senza precedenti contro tutte le principali città del Sud Vietnam inclusa Saigon, dove i Viet Cong riuscirono a occupare per alcune ore la stessa ambasciata americana.
Anche se colse gli americani del tutto impreparati l’offensiva non porta grandi risultati sul piano militare. Nel giro di poche settimane quasi tutti i centri occupato da Vet Cong e esercito di Hanoi furono riconquistati. Ma sul piano politico e simbolico il Tet fu per gli Usa disastroso. Raccontare che la vittoria era a un passo diventò impossibile. L’audacia e la portata dell’operazione dimostravano esattamente il contrario. In America le proteste raggiunsero il culmine. Westmoreland chiese l’invio di altri 200mila soldati. Johnson per la prima volta negò il nuovo invio di truppe e in giugno rimosse Westmoreland dal comando. Ma ancora prima, il 31 marzo, in un discorso televisivo alla nazione aveva annunciato la decisione di non ricandidarsi alle presidenziali, di interrompere l’escalation, limitare i bombardamenti e avviare colloqui di pace. I bombardamenti furono effettivamente interrotti in ottobre e contestualmente iniziarono i colloqui per la pace a Parigi. La guerra sarebbe stata ancora lunga ma da quel momento fu chiaro che la sconfitta degli Usa era solo questione di tempo.
(SECONDA PARTE/CONTINUA)