La giornalista francese
Intervista a Marcelle Padovani: “Macron è l’unico che può salvare l’Europa anche se la sua popolarità è a picco”
«Vuole l’integrazione europea, la riforma dei trattati, la fiscalità comune, il reintegro della Gran Bretagna. E poi dal Medio Oriente all’Ucraina, le sue non sono parole ma fatti. Paga degli errori in politica interna ma è il miglior leader possibile del nostro continente»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Emmanuel Macron è l’anti Trump europeo? L’Unità ne discute Marcelle Padovani, una delle più autorevoli giornaliste e saggiste francesi, storica corrispondente in Italia del Nouvel Observateur. Tra i suoi libri, ricordiamo Giovanni Falcone. Con Marcelle Padovani. Cose di cosa nostra (Bur Biblioteca Univ. Rizzoli), un libro che ha venduto 1,2 milioni di copie ed è una pietra miliare nella letteratura sulla mafia e chi l’ha combattuta.
Dal fronte russo-ucraino al riconoscimento dello Stato di Palestina: In una Europa ai piedi di Donald Trump, si “erge” Emmanuel Macron…
È l’unico che può salvare l’Europa dai sovranisti. Emerge come il leader possibile, l’unico. Quest’uomo, un banchiere agnostico, 47 anni, uno che ha amato molto la filosofia, materia in cui si è laureato, che si ritrova al minimo della sua popolarità in Francia, attorno 20% e quando tutto va bene risale al 30, è la chiave per salvare il destino dell’Unione Europea.
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Come spiegarlo?
Lui non fa discorsi, sta sui fatti. E i fatti sono abbastanza semplici. In politica estera, Macron, primo Capo di Stato a farlo, ha denunciato ufficialmente la colonizzazione francese dell’Algeria come un crimine contro l’umanità, e, cosa altrettanto coraggiosa, chiede il riconoscimento dello Stato di Palestina e organizza per giugno a Parigi un incontro su questo tema. E poi l’Europa…
Come si sta muovendo su questo fronte?
Proponendo cose da fare. Ad esempio, l’estensione della dissuasione nucleare francese all’Europa. Non è una cosa di poco conto, ma nessuno ha risposto. Inoltre, propone, e lo farà, l’invio di 30mila soldati, con la Gran Bretagna, in Ucraina come forza di peacekeeping. Anche questo è un fatto, non è una dichiarazione campata in aria tanto per conquistare una prima pagina di giornale o dei Tg. Ho visto che il New York Times ha affermato che Macron è diventato “ardentemente europeo”. Fuori dalle etichettature, vi sono i propositi. Lui vuole continuare l’integrazione europea; vuole la riforma istituzionale e dei Trattati; insiste sull’omogenizzazione delle imposte e della fiscalità a livello europeo. Ma prima di ogni altra cosa, vuole rilanciare l’Europa con la Gran Bretagna. Il reintegro del Regno Unito. Non l’Albania, con tutto il rispetto per quel Paese, di cui si sta discutendo per il suo ingresso nella UE. Macron è contrario ad un allargamento indiscriminato dell’Unione, come se fosse la quantità e non la condivisione di principi fondamentali, e le politiche conseguenti, a rafforzare l’Europa e il suo ruolo nel mondo. Un reintegro della Gran Bretagna, nelle forme da definire, sarebbe uno straordinario successo anti-Trump. Un nostro successo del continente europeo. Macron sa bene che quella del reintegro della Gran Bretagna è una strada non breve e piena di ostacoli. Ma qualcosa si sta muovendo in quella direzione. La Brexit è costata parecchio ai britannici, e il primo ministro Starmer sembra disponibile a tentare un riavvicinamento. Non sarà un “ritorno a casa”, nell’Unione, ma qualunque modalità di riavvicinamento della Gran Bretagna, sul piano della politica estera, della difesa, della cooperazione tecnologica, dell’opposizione alla guerra dei dazi scatenata da Trump, sarebbe un successo non solo per Macron ma per l’Europa. Insomma, io faccio un bilancio di Macron in politica estera ed europea, che mi porta a dire, che in questa contingenza storica, lui è il miglior leader possibile del nostro continente.
Come spiega che un leader che si dimostra a questa altezza, a livello internazionale ed europeo, sia crollato nel gradimento dei francesi?
Qualche errore in politica interna, che gli è costato caro, lo ha fatto. Ad esempio, l’innalzamento dell’età pensionabile dai 62 ai 64 anni non è stato digerito assolutamente. Non è stata digerita la gestione del problema dei “Gilets jaunes”. Lui ha gestito male la rivolta dei contadini, perché di questo si trattava in massima parte. Non l’ha capita, non l’ha saputa gestire e da lì è cominciata la sua discesa. A ciò va aggiunto che anche in Francia c’è qualcosa di antieuropeo. E poi va tenuto conto che in Francia esiste una tradizione anti-establishment. Persiste una voglia di “decapitare”. La ghigliottina è qualcosa che è sempre gradita a livello di popolino. Macron paga tutto questo.
Da giornalista, come sintetizzerebbe il profilo politico di Emmanuel Macron?
Nel suo libro, intitolato Révolution, lui dice di essere un uomo di “gauche libérale”, di sinistra liberale. Macron ha tentato una via socio-liberale, una terza via, che non ha funzionato, anche se la sua linea, il suo tentativo, era difendibile: non restare dentro il vecchio bipolarismo destra/sinistra. Ha tentato qualcosa che in Francia non ha funzionato, ma che ha funzionato in Canada, come dimostra la vittoria del Liberale Carney nelle elezioni legislative. Da noi, la sua La République en Marche è stato in fallimento, la sua creatura politica non ha funzionato. Non so se perché ha scelto male i dirigenti, certo è che questa è stata la sua grande sconfitta politica.
La politica oggi è fatta anche, c’è chi dice soprattutto, di immagini che la immortalano. Una di esse è quella che mostra Trump con Macron e Starmer insieme ai funerali di Papa Francesco…
Quell’immagine, con quello che c’è dietro in sostanza politica, lo ha fatto risalire molto nel gradimento…
In quell’immagine manca la presidente del Consiglio Giorgia Meloni...
Meloni è una persona intelligente, non è una habitué nella gestione degli affari di governo, è in mezzo a tante contraddizioni. Credo che abbia confuso l’immagine del suo viaggio negli Stati Uniti con l’incoronazione di una persona che avrebbe dovuto fare da mediatrice fra l’Unione Europea e l’amministrazione Trump. Lo fa più Macron con i suoi fatti, il mediatore. A livello europeo, Meloni è l’anti-Macron. Fa esattamente il contrario di quello che lui fa o dice di voler fare. E qui torniamo all’Europa. Insisto su un punto che reputo davvero importante: Macron crede davvero nel rafforzamento politico dell’Unione Europea con il reintegro della Gran Bretagna. In questo, l’Italia ha un ruolo secondario. Purtroppo.
Uno degli atti importanti di Macron in politica estera, che hanno fatto molto discutere e suscitato l’ira del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è la volontà dichiarata del capo dell’Eliseo del riconoscimento francese di uno Stato di Palestina. E in Francia è molto forte e radicata la comunità ebraica.
Una comunità che conta più di mezzo milione di persone. Se pensiamo che in Italia si aggira sulle 50mila. Una comunità, quella francese, molto potente, organizzata, intelligente, inserita. Bisogna riconoscere che in questo frangente Macron è stato molto coraggioso. Non è che l’abbia fatto per conquistare una popolarità che, sulla Palestina, non c’è nel popolino. Vuol dire che Macron ha una moralità in alcune linee guida della sua politica, che bisogna riconoscere e apprezzare. Non so se il suo annuncio sortirà grossi effetti, certamente ha scompigliato i resoconti facili, come se Gaza non esistesse, come se le decine di migliaia di morti non contassero, o fossero rubricabili come inevitabili effetti collaterali della guerra scatenata da Israele a Gaza dopo il terribile attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023. Le acque si stanno muovendo. L’altro ieri è uscito su Le Monde l’appello di 121 storci e intellettuali francesi che chiedono non due Stati, l’israeliano e il palestinese, ma un solo Stato confederato, addirittura. Credo che la proposta di Macron, che mi auguro venga accolta anche dall’Italia, abbia suscitato, o comunque rinnovato, una riflessione su come provare a dare soluzione a una tragedia che si protrae da decenni. Una soluzione politica, non militare. In questo, il suo tentativo è assolutamente positivo.
Guardando a un mondo sempre più disordinato e caotico, emerge il problema di una carenza di leadership a livello mondiale. È solo un problema di persone o anche di epoca?
Ho letto che dalla caduta dell’Impero Romano, quello che abbiamo vissuto in questi ultimi settant’anni è, almeno nella storia europea, il periodo più lungo senza guerra. Adesso siamo tornati in un clima “normale”, ma non per questo accettabile, di guerra, di incomprensione, di conflittualità frontaliera e non solo frontaliera, con in più il rischio nucleare. Questo non aiuta i leaders a formulare qualcosa di lungimirante. C’è un profondo e generale disorientamento per quello che abbiamo vissuto. E poi c’è la crisi delle ideologie. Questa vita “facile” che abbiamo avuto ha finito per creare anche dei piccoli leader che pensano soprattutto al proprio destino personale e non al destino nazionale, europeo o mondiale. Credo che questo discorso sulla crisi di leadership sia valido per tutti i Paesi, non soltanto per la Francia, l’Italia, l’Europa. Se pensiamo che hanno messo Trump come capo del Paese più potente al mondo…Trump, un guru al tempo stesso drammatico e burlesco. Ed è lui, ahinoi, che oggi domina.