Le manovre diplomatiche ai funerali
Meloni tagliata fuori dalla tregua Atlantica, la premier spera nel summit sui dazi a Roma
Ai funerali del papa le due metà del blocco occidentale si riavvicinano sul fronte Ucraina. Meloni resta ai margini ma spera ancora nel vertice sui dazi a Roma
Politica - di David Romoli

Ci sono due immagini che sintetizzano meglio di molte analisi le ragioni per cui la girandola diplomatica intorno alla bara in legno di papa Francesco non lascia soddisfatta Giorgia Meloni. La prima è la ormai celebre foto di Trump, Starmer e Macron con la mano sulla spalla di Zelensky. La seconda, meno vistosa, è il pranzo con l’argentino Milei. Oddio, sempre di un capo di governo si tratta ma che con mezzo mondo e oltre a Roma la leader che si vuole centrale nella politica europea e occidentale fosse a pranzo con un presidente da quei giochi escluso per geografiche ragioni dice molto.
In termini diplomatici il risultato del sabato romano è uno solo, certo però non secondario: un riavvicinamento tra le due metà spaccate del blocco occidentale. Quel riavvicinamento c’è stato. Si possono avanzare dubbi su quanto sia solido e quanto si rivelerà sostanziale ma il dato resta incontrovertibile. La foto di Trump e Zelenky chiude, almeno per ora e senza ancora cicatrizzarla, la ferita aperta con l’agguato ai danni dell’ucraino nello studio ovale. È più di quanto ci si aspettasse.
In sé la cosa non può che far piacere all’ospite italiana. La guerra in Ucraina è per lei il terreno più scivoloso, quello sul quale si addensano le accuse di voltafaccia e quasi di tradimento. Se lo scontro tra America ed Europa su quel fronte nevralgico si stempera o addirittura si ricompone ne è certo contenta, anche (ma non solo) per opportunistici motivi di bottega.
Però quel riavvicinamento la taglia fuori e questo invece non le fa alcun piacere. La logica bottegaia del presidente americano ormai è nota. L’uomo guarda alla convenienza. Ragiona in termini secchi di “cosa prendo e cosa do”. Nella sua malcerta prospettiva di pace quello di cui ha bisogno è un’Europa che si sobbarchi il compito di garantire la tregua prima e la pace poi in Ucraina. Non guarda all’Europa, anche se questo per diplomazia va detto. Guarda alla Francia e al Regno Unito: perché sono le sole due potenze nucleari europee, perché fanno parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu ma anche e forse soprattutto perché stanno alacremente costruendo quella coalizione di “Volenterosi” che, guidata da loro, dovrebbe occuparsi dell’incombenza. L’Italia di questa partita non fa parte. Non potrebbe in ogni caso guidarla, perché non vanta le stesse prerogative degli altri due Paesi. Ma non può neppure partecipare perché il rischio di crisi di governo sarebbe per la prima volta concreto, essendo per Salvini il boccone indigeribile.
Però, in una fase in cui il peso delle cannoniere è tornato a incidere a fondo sulla politica e sulla diplomazia, essere tagliati fuori da quel fronte significa non avere più alcuna voce in capitolo sull’Ucraina. Non che Francia e Uk ne avranno molta. Trump ha pur sempre allontanato con poco garbo Macron quando ha provato a inserirsi nel colloquio tra lui e Zelensky. Ma almeno saranno comprimari. Il peggio è che la ricostruzione di un asse occidentale toglie molte frecce alla faretra di Giorgia anche nel negoziato sui dazi. Da quel punto di vista le cose, sabato scorso, le sono andate meglio. Mirava a evitare un incontro prolungato fra il presidente degli Usa e quella della Commissione europea. Se le cose fossero andate male, come senza preparazione era probabile, il vertice Usa-Ue a cui mira sarebbe diventato una chimera. So fossero andate bene si sarebbe trovata senza più parte in commedia, non essendoci più bisogno della sua mediazione e l’obiettivo di organizzare quel vertice a Roma, con lei in veste di regista, si sarebbe allontanato di anni luce.
Per ora ha allontanato la minaccia ma senza cancellarla. Perché in un clima di distensione atlantica a gestire la partita sui dazi sarebbero i vertici delle istituzioni europee, Ursula e Antonio Costa, e sarebbero i leader dei due Paesi principali, Merz e Macron. Si tratta però di scenari solo virtuali: un passo a Roma è stato fatto ma il traguardo è ancora lontano. Ci vorrà molto di più perché il ponte rappresentato dal governo di Roma diventi davvero superfluo. Per questo a palazzo Chigi continuano a dirsi certo che il tavolo sui dazi verrà apparecchiato a Roma.