In sala dal 3 aprile

Al cinema ‘The Shrouds’, parla il regista David Cronenberg: “Un film per parlare della morte di mia moglie, ma senza speranza: non c’è niente oltre la vita”

“Siamo stati sposati per 43 anni, quando lei se ne è andata nel 2017 ho pensato che non ero più in grado di fare cinema. E invece poi ho sentito il bisogno di elaborare il lutto. Lo faccio da ateo però, perché la realtà è il corpo”

Spettacoli - di Chiara Nicoletti

19 Aprile 2025 alle 15:00

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AP Photo/Mosa’ab Elshamy – Associated Press / LaPresse
AP Photo/Mosa’ab Elshamy – Associated Press / LaPresse

A distanza di quasi un anno dal concorso di Cannes in cui lo ha presentato, il creatore del body horror ed iconico regista David Cronenberg, dopo un’anteprima italiana al Busto Arsizio Film Festival, ha presentato virtualmente al pubblico italiano il suo ultimo lavoro The Shrouds. In sala con Europictures dal 3 aprile, il film in Italia mantiene gloriosamente il titolo originale, la cui origine viene dalla parola ‘shroud’ che designa il velo funerario ma può significare ‘coprire’ e ‘nascondere’. Con Vincent Cassel nel ruolo di Karsh, un uomo d’affari che, in seguito alla morte della moglie, ha inventato una tecnologia rivoluzionaria e controversa che permette ai vivi di monitorare i propri cari defunti avvolti nei sudari, Cronenberg continua la sua esplorazione dei confini tra tecnologia, corpo e mente, unendo il cinema più estremo delle sue origini con una riflessione matura e consapevole sul dolore e sulla memoria, ispirato da un fatto autobiografico.

Da dove proviene l’idea di The Shrouds?
Io sono stato sposato per quarantatré anni e mia moglie se n’è andata nel 2017. A quel punto pensavo che non sarei mai stato più in grado di fare un film perché lei era veramente estremamente presente nella mia vita, parte integrante del mio cinema. Però, poi ho cominciato a percepire, a sentire che dovevo in qualche maniera affrontare la questione del lutto, della morte, dell’amore e quindi ho cominciato a scrivere questa sceneggiatura. Prendeva spunto dal mio lutto però poi quando cominci a scrivere un film, tutto diventa finzione, non c’è più un’autobiografia.

Si dice che lei non avesse dato nessuna indicazione a Vincent Cassel sul look del personaggio di Karsh e che lui si sia presentato sul set praticamente come un suo clone. Che tipo di rapporto instaura con i suoi attori, come lavora con loro sul set?
Innanzitutto, la cosa fondamentale per me è che l’attore debba voler interpretare quel ruolo e sia entusiasta all’idea di far parte del mio film. Per quanto riguarda Cassel, non c’era questa idea che fosse il mio clone ma si dà il caso che sia capitato che avesse un taglio di capelli come quello che porto io ora e diciamo che i paragoni si fermano lì. Si tratta di un personaggio inventato e per quanto questo film sia basato sul mio dolore e sulla sofferenza per la morte di mia moglie, non ha nulla più a che vedere con la realtà. In realtà, Vincent mi ha detto che lo faceva sentire più a suo agio l’idea appunto di assomigliare un pochino a me. Agli attori piace molto essere coinvolti nelle scelte, hanno bisogno di sostegno. Questo personaggio è molto diverso rispetto a quelli che Vincent è abituato a interpretare: i tipi duri che parlano velocemente e poco. Mi ha detto che Karsh ha più battute di tutti quanti i personaggi da lui interpretati messi insieme e questa è una cosa che può anche spaventare un attore. Io, per esempio, non faccio mai le prove perché non è come in teatro, per me funziona così e quando stiamo per iniziare le riprese, è lì che sento per la prima volta il dialogo. Diane Kruger è rimasta scioccata da questa cosa perché lei invece è estremamente abituata a fare le prove ma poi, come vedete nel film, la sua performance è stata fantastica quindi ognuno ha il suo modo di lavorare.

The Shrouds tratta il tema dello spionaggio, della videosorveglianza e l’aspirazione a voler controllare anche la morte. Il suo protagonista Karsh è un magnate tecnologico, c’è un riferimento alla realtà, una critica ad Elon Musk o è solo un caso?
Non credo che Karsh sia un magnate di successo così come lo è Elon Musk né credo che abbia la benché minima aspirazione politica come invece Musk sembra avere. Peraltro devo dire che io guidavo e continuo a guidare una Tesla e nulla ha a che vedere con Musk. Non c’era assolutamente questa intenzione e non c’è riferimento a personaggi reali. Ad ogni modo, viviamo tempi interessanti.

Ha dichiarato di non aver paura della tecnologia che avanza ma molti suoi colleghi si sono detti impauriti dall’avanzare dell’intelligenza artificiale, che ne pensa?
Ci sono tantissime persone che hanno paura ma noi l’intelligenza artificiale l’abbiamo utilizzata per tanti anni anche se in maniere magari diverse rispetto a quelle più potenti e più efficaci utilizzate oggi. Non è che questi strumenti vengano sempre utilizzati per creare degli universi Marvel, a volte semplicemente si usano per modificare un’inquadratura, migliorare la luce, correggere un errore, non necessariamente però poi fanno la sostanza del film. A volte vengono abusate, utilizzate per scopi illeciti ma comunque esistono e sono sempre esistite quindi non è un qualcosa di cui io ho paura. Altro è chiedersi se l’intelligenza artificiale, la tecnologia possa essere poi utilizzata per esempio, per continuare a far esistere un personaggio quando l’attore che lo interpreta nel frattempo è morto. È più una questione etica e morale che legata alla legalità. Per esempio, se andiamo a guardare il caso di Adrien Brody, il cui personaggio in The Brutalist è stato migliorato nell’accento ungherese grazie all’AI, anche io, in M. Butterfly ho modificato la voce dell’attore del protagonista alzandola quando faceva la voce da donna e abbassandola quando parlava con voce maschile ma non necessariamente questo è un problema perché poi fondamentalmente gli attori, i montatori, i registi creano dei personaggi che in realtà non esistono e quindi si possono utilizzare degli strumenti, anche tecnologici, per farlo.

Nel suo film sui fratelli Lumière e le origini del cinema, il direttore del Festival di Cannes, Thierry Fremaux, ha affermato che attraverso il cinema la morte non è più definitiva. Alla luce di The Shrouds, che esplora il confine tra vita e morte, che ne pensa?
Io sono un ateo, sono un esistenzialista, non credo nella vita dopo la morte e così anche i miei personaggi. Io non ho personaggi che sono molto religiosi, molto credenti, è una cosa molto rara proprio perché non riesco a scriverli anche se potrebbero rivelarsi molto interessanti. Non credo che ci possa essere la vita dopo la morte. In un altro mio film, Crimes of the future, c’è un mantra che io utilizzo spesso: il corpo è realtà. Quindi, quando cessa di esistere, noi in toto cessiamo di esistere e questa è una riflessione difficile da accettare. Quando The Shrouds è stato annunciato, all’inizio è passata un’informazione non corretta sul fatto che parlasse dell’aldilà e quindi di qualcosa che esiste dopo la morte. Non è così perché il mio personaggio è assolutamente consapevole del fatto che la propria moglie è morta. Semplicemente vuole rimanere in contatto con il corpo di lei, che invece continua a essere reale anche se in cambiamento e decadenza, non vuole un falso rapporto come quello presentato dalla religione.

Fare questo film l’ha aiutata in qualche modo ad elaborare il suo lutto?
No, il dolore per la perdita di mia moglie continua a esserci e ci sarà per sempre. Non c’è modo di eliminarlo.

Lei ha creato un universo cinematografico personalissimo. Vede in giro qualcuno tra i nuovi autori che si possa definire un suo erede?
Ho incontrato Julia Ducournau, regista di Titane ed anche la regista di The Substance, Coralie Fargeat ed entrambe mi hanno detto che sono stato per loro una forte fonte di ispirazione quindi le considero un po’ le mie figlie spirituali nel senso che loro sono state influenzate da me e dal mio cinema anche se mi sembra appunto che l’influenza su di loro sia stata in particolare esercitata più che altro dai miei primi film. Questa è stata una cosa molto bella e anche molto piacevole da sentire, sapere di aver dato loro l’ispirazione e il desiderio di fare cinema.

19 Aprile 2025

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