Dalla tragedia di Novi Sad alle accuse contro il sistema politico

Serbia nel caos, cosa sta succedendo a Belgrado: lo scontro dietro gli interessi geopolitici

Il 15 marzo decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Belgrado. Ad accendere la miccia la tragedia alla stazione di Novi Sad di novembre. Un fatto di cronaca si è trasformato in catalizzatore di accuse contro il sistema politico. Dietro anche uno scontro tra interessi geopolitici

Esteri - di Dijana Pavlovic

19 Marzo 2025 alle 13:30

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AP Photo/Marko Drobnjakovic – Associated Press / LaPresse
AP Photo/Marko Drobnjakovic – Associated Press / LaPresse

Nelle ultime settimane, la Serbia è tornata al centro dell’attenzione per una serie di manifestazioni popolari che mettono in discussione l’assetto politico del paese. A Belgrado, il 15 marzo, decine di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere elezioni libere, accesso ai media pubblici, fine delle pressioni istituzionali e rispetto della democrazia. Le manifestazioni, riunite sotto lo slogan “Serbia contro la violenza” (Srbija protiv nasilja), rappresentano un fronte eterogeneo, composto da partiti dell’opposizione, movimenti civici, studenti e gruppi indipendenti.

Le proteste che scuotono la Serbia hanno origine da una tragedia avvenuta il 1° novembre 2024: il crollo del tetto nella stazione ferroviaria di Novi Sad, che ha provocato la morte di diverse persone. L’episodio ha scosso profondamente l’opinione pubblica e ha innescato una serie di manifestazioni, inizialmente promosse da studenti e gruppi civici. Da quella miccia locale, il malcontento ha assunto un respiro più ampio e generalizzato. Un fatto di cronaca drammatico si è trasformato in catalizzatore di accuse più vaste contro l’intero sistema politico, spesso espresse in termini come ‘corruzione’, ‘regime’, ‘assenza di democrazia’, senza che vi fosse una piattaforma politica definita. È in questa tensione tra evento circoscritto e protesta globale che si radica il momento serbo attuale.

A guidare le proteste è una coalizione informale nata attorno alla lista “Serbia contro la violenza”, che alle elezioni parlamentari del dicembre 2023 ha ottenuto il 23,56% dei voti. In dettaglio: il Partito della Libertà e della Giustizia (SSP) ha ottenuto il 6,6%, il Partito Democratico (DS) il 2,5%, il Partito Popolare (NS) il 2,8%, il Movimento Libero dei Cittadini (PSG) il 3,3%, e il Fronte Verde-Sinistra (Zeleno-Levi Front) il 5,5%, secondo le stime suddivise della lista comune. Il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente Aleksandar Vučić ha ottenuto il 46,72%, mantenendo la netta maggioranza. La tensione politica è salita progressivamente. Qualche settimana prima della grande manifestazione di marzo, l’Assemblea Nazionale è stata teatro di scontri e caos: alcuni parlamentari dell’opposizione hanno fatto esplodere petardi e fumogeni in aula, bloccando fisicamente la seduta. Tre donne sono rimaste ferite, tra cui una deputata incinta. Il gesto voleva denunciare le presunte irregolarità nelle elezioni municipali di Belgrado e l’impossibilità di ottenere una verifica trasparente.

Da allora, il confronto politico si è ulteriormente irrigidito. Alla vigilia della manifestazione, il Ministero dell’Interno ha annunciato l’arresto di diversi attivisti, tra cui esponenti dell’opposizione a Novi Sad, come Nikola Sandulović e Ivan Mandić, già noti per essere stati arrestati in occasione di una precedente protesta. Erano stati recentemente rilasciati dopo che gli studenti avevano chiesto – tra le altre cose – la loro liberazione, ottenuta grazie alla mediazione con il governo. Questa volta gli stessi sono stati arrestati con l’accusa di pianificare disordini durante la manifestazione del giorno successivo. Le televisioni vicine al governo hanno trasmesso registrazioni audio, in cui alcuni esponenti politici discutevano di azioni radicali, affermando: “Dobbiamo colpire forte, così da non poter tornare indietro” e “questa volta si entra nel Parlamento a ogni costo”. Il presidente Vučić ha rilasciato numerose dichiarazioni televisive nelle quali ha denunciato un tentativo di destabilizzazione del paese e ha parlato apertamente di “un colpo di Stato mascherato da manifestazione pacifica”. Ha inoltre dichiarato: “Abbiamo sequestrato fucili, pistole, munizioni. Ma nonostante tutto, non è stato tirato fuori nemmeno un manganello”. In effetti, durante la protesta del 15 marzo non si sono verificati scontri significativi con la polizia. Solo una rissa tra gruppi di manifestanti ha provocato circa 50 feriti non gravi.

Nei giorni precedenti, Vučić aveva ripetutamente invitato gli studenti a incontrarlo, ma questi hanno rifiutato. Le loro richieste erano specifiche: identificare e punire i responsabili del crollo nella stazione ferroviaria di Novi Sad; aumentare gli stipendi dei professori universitari; dimezzare le tasse universitarie; e, appunto, liberare i manifestanti arrestati per aver tentato di entrare nel Parlamento in un’azione che ha ricordato a molti l’assalto a Capitol Hill. Le richieste ufficiali dell’opposizione invece restano di natura generale: elezioni libere, media pluralisti, fine delle pressioni istituzionali, trasparenza nei processi democratici. Ma al di là delle rivendicazioni procedurali, non esiste una proposta unitaria per il futuro del paese. Vučić ha più volte invitato l’opposizione ad accettare nuove elezioni. Ha offerto anche un referendum sul suo ruolo di presidente, ma questi inviti sono stati sistematicamente rifiutati. Durante la giornata del 15 marzo il servizio d’ordine del blocco studentesco si è ritirato dalla piazza, dichiarando pubblicamente di non essere più in grado di garantire il carattere non violento della protesta. Un gesto che ha segnalato una frattura tra le componenti più moderate, dei studenti, e quelle più radicali della piazza.

Al margine di tutto questo, emerge un tema spesso poco discusso in Italia: il ruolo del sostegno internazionale. In Serbia operano da anni fondazioni statunitensi come USAID (agenzia governativa per lo sviluppo internazionale) e la NED (National Endowment for Democracy), una fondazione privata finanziata dal Congresso americano. Quest’ultima, attraverso le sue articolazioni NDI e IRI, offre formazione, consulenze e supporto a media indipendenti, ONG e attori politici democratici. Secondo fonti ufficiali consultabili sul sito dell’Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (usaid.gov/serbia), USAID ha investito in Serbia oltre 110 milioni di dollari tra il 2001 e il 2023, di cui circa 50 milioni negli ultimi cinque anni. La NED (National Endowment for Democracy), secondo i dati riportati su ned.org, ha stanziato circa 1,5–2 milioni di dollari l’anno a favore di media, ONG e attori della società civile in Serbia, per un totale stimato di circa 9 milioni tra il 2019 e il 2023. I partiti che oggi guidano le proteste – in particolare SSP, PSG e Zeleno-Levi Front – hanno partecipato a programmi di formazione e dialogo promossi da queste fondazioni. Non si tratta formalmente di finanziamenti diretti, ma il sostegno infrastrutturale e la condivisione di risorse, competenze e visibilità è evidente.

Un dettaglio significativo: dopo la recente rielezione di Donald Trump, l’agenzia USAID ha sospeso i finanziamenti in Serbia, chiudendo alcuni progetti già avviati. La decisione, non ancora spiegata ufficialmente, segue una linea già nota all’amministrazione Trump: ridurre l’impegno statunitense nella “esportazione della democrazia”. Al contrario, sotto la presidenza Biden, i programmi erano stati rilanciati e potenziati. Nel frattempo, anche in Ungheria, lo stesso giorno della protesta a Belgrado, migliaia di persone hanno manifestato contro il governo Orbán per denunciare la compressione delle libertà civili e la riforma del sistema educativo. Sebbene non vi siano stati scontri o arresti, la dinamica è simile: piazze che si riempiono, opposizioni che faticano a costruire un’alternativa politica credibile, governi che consolidano il potere anche grazie a un controllo pervasivo delle istituzioni e dei media. Anche in Ungheria, fondazione NED e altre che finanziano progetti a sostegno della società civile, con investimenti stimati in circa 15 milioni di dollari negli ultimi cinque anni, in particolare su media indipendenti, diritti civili ed educazione.

Il governo serbo è tecnicamente caduto il 28 gennaio 2025, quando il primo ministro Miloš Vučević ha presentato ufficialmente le sue dimissioni, ponendo l’esecutivo in modalità tecnica. Secondo le ultime notizie, il 20 marzo si terrà una nuova seduta dell’Assemblea nazionale, durante la quale si formalizzeranno le dimissioni di Vučević davanti al Parlamento, come previsto dalla procedura. Da quel momento, il governo entrerà ufficialmente in modalità tecnica. Se entro 45 giorni non verrà formato un nuovo esecutivo, la presidente della Repubblica dovrà sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni anticipate. Se entro 45 giorni non verrà formato un nuovo governo, si andrà automaticamente a nuove elezioni. La Serbia resta un paese democratico, almeno formalmente. Ma l’equilibrio è sempre più fragile. Le piazze raccontano un malessere reale, ma anche una battaglia sotterranea tra influenze incrociate, spinte dal basso e interessi geopolitici. In mezzo, una società civile viva ma polarizzata, e domande sempre più pressanti: chi sta dietro le quinte? Chi rappresenta davvero il cambiamento?

19 Marzo 2025

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