L'ex brigatista in Aula

Tutta la verità su Cascina Spiotta, Azzolini: “Fu l’inferno, Curcio e Moretti non sapevano”

L’ex brigatista, 82enne, si presenta davanti alla Corte d’Assise di Alessandria con un documento scritto nel quale racconta quel che accadde 50 anni fa: “In un minuto precipitò tutto, il carabiniere D’Alfonso e Mara Cagol non avrebbero dovuto morire”.

Giustizia - di Frank Cimini

12 Marzo 2025 alle 12:30

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Tutta la verità su Cascina Spiotta, Azzolini: “Fu l’inferno, Curcio e Moretti non sapevano”

A sorpresa nell’aula della corte di Assise di Alessandria si presenta Lauro Azzolini con un documento scritto per dire: Alla Cascina Spiotta io c’ero. In un minuto breve di 50 anni fa tutto precipitò in un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere, al termine del quale sono morte due persone che non avrebbero dovuto morire, il carabiniere Giovanni D’Alfonso il padre di Bruno e Mara Cagol”.

Bruno D’Alfonso con il suo esposto aveva fatto riaprite le indagini che hanno portato a questo processo. Dove le indagini riaperte non hanno fatto però luce sulla fine di Mara Cagol che Lauro Azzolini ricorda a terra, arresa con le mani in alto dicendo: “Non sparate”. Azzolini oggi ha 82 anni. Scagiona i suoi coimputati Renato Curcio e Mario Moretti dirigenti nazionali delle Brigate Rosse ma che nulla sapevano del sequestro di Vittorio Vallarino Gancia tutto gestito dalla colonna torinese dell’organizzazione. Il mondo allora era molto diverso, ricorda Azzolini, c’era un durissimo conflitto sociale. “Prima che lo facciano altri lo faccio io perché sono l’unico che quel giorno ha visto quello che era veramente successo. Tutto avrebbe dovuto risolversi in pochi giorni con quella operazione e di autofinanziamento senza conseguenze ne per il sequestrato né per noi. Mara e io avremmo dovuto controllare l’unico vicolo di accesso alla Cascina Spiotta ma improvvisamente sentimmo dei colpi alla porta e dalla finestra ci accorgemmo della presenza dei carabinieri. Ci prese il panico” ricorda Azzolini.

Decisero di fuggire lasciando l’ostaggio e di aprirsi la fuga usando due piccole bombe Srcm lanciate senza mira. “Ma tutto precipitò sentimmo dei colpi di arma da fuoco verso di noi rispondemmo con qualche colpo nel caos di una frazione di secondo. Quando pensammo di essere riusciti a scappare io e Mara finimmo sotto tiro di un altro carabiniere comparso all’improvviso. Vi fu la resa nostra. Mara era sul prato, sanguinava. Lei disse che era ferita ma che non era niente di grave. Lanciai una Srcm e mi misi immediatamente a correre verso il bosco. Ma mi accorsi che lei non c’era più. La vidi da lontano con le braccia alzate, disarmata e urlava di non sparare”.

Azzolini riuscì a scappare, il giorno dopo seppe che Mara era morta. “Il dolore mi ha attraversato come una lama. Capisco che oggi questo sembrerà paradossale ma allora per la mia coscienza di classe ha significato assumermi la responsabilità della scelta fatta” conclude l’ex militante delle Br nello scritto consegnato ai giudici dopo aver avvertito: “Lo leggerete voi io non ci riesco, il dolore mi trafigge”. I pm di udienza del processo di cono che ci sono ancora “coni d’ombra” aggiungendo che vogliono interrogare sia Azzolini sia Renato Curcio e Mario Moretti. L’avvocato di Bruno D’Alfonso dice che il suo assistito è sconcertato perché 50 anni di silenzio lasciano un segno fortissimo ma vuole che il processo continui perché ci sono ancora approfondimenti da fare. Tutto da approfondire tranne verificare se Mara Cagol a terra disarmata e implorante di non sparare fosse finita con un colpo di grazia. La solita storia dello Stato che non indaga su se stesso. Nell’interrogatorio di Curcio nel corso delle indagini preliminari i pm avevano promesso di voler indagare anche sulla dinamica della fine di Mara. Ma evidentemente si trattava per loro di un dettaglio poco interessante.

12 Marzo 2025

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