Il documento dell'ex Br

Sequestro Gancia, Azzolini si difende (dopo mezzo secolo): “Io quel giorno non c’ero…”

Giustizia - di Tiziana Maiolo - 23 Maggio 2023

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Sequestro Gancia, Azzolini si difende (dopo mezzo secolo): “Io quel giorno non c’ero…”

Non ho partecipato al sequestro Gancia, né tantomeno ero presente alla sparatoria”. Assistito dall’avvocato Davide Steccanella, non risponde ai tre procuratori che lo hanno convocato nella caserma Moscova dei carabinieri. Non risponde, ma parla, Lauro Azzolini, con un documento scritto che dice tutto. Dice dell’assurdo di voler scoperchiare le tombe di cinquant’anni prima e dice tutto sul cinismo di chi non vuol concedere quel diritto all’oblio che meritano i morti e i vivi.

Lauro Azzolini è vivo, ha quasi ottant’anni, è stato un dirigente delle Brigate Rosse, ha commesso gravi reati, ha scontato la pena. Ergastolo, e ventiquattro anni in carcere, in applicazione della legge del 1987 sulla dissociazione dal terrorismo. Preistoria dolorosa per tutti. E soprattutto per chi ha perduto le persone care. Ma, se è umanamente, almeno un po’, comprensibile il fatto che un ex bambino di dieci anni, oggi sessantenne, voglia sapere con precisione, con nome e cognome, chi quel 5 giugno del 1975 sparò al suo papà, l’appuntato Giovanni D’Alfonso, è del tutto assurdo il comportamento della procura della Repubblica di Torino.

Che indaga da un anno e mezzo non si sa con quale competenza territoriale su un fatto accaduto ad Alessandria cinquant’anni fa. Che pretende di giudicare oggi, di nuovo, un ottantenne già indagato e assolto con formula piena da un giudice istruttore su richiesta dello stesso pm. Che ha in mano come unico “indizio” l’impronta sudata di una mano su un foglio dattiloscritto che è stato toccato, qualche decennio fa, da decine e decine di dita. Fogli su cui qualcuno ha pianto, perché tutti hanno un cuore e perché un anonimo raccontava di quel tragico giorno alla cascina Spiotta in cui, in seguito al sequestro dell’imprenditore Vallarino Gancia, ci fu uno scontro a fuoco in cui morirono sia l’appuntato D’Alfonso che la brigatista Margherita Cagol.

Io non ho partecipato a quel sequestro e di conseguenza non ero presente in quei giorno tragico, scrive Azzolini, ma ho appreso la notizia dai telegiornali. E racconta di quella ricostruzione scritta da chi c’era. Lo si suppone, perché questa è l’interpretazione data in un libro scritto vent’anni dopo, dallo stesso Renato Curcio il quale, oltre a esser stato il fondatore del primo nucleo delle Brigate Rosse, di Margherita, nome di battaglia “Mara”, era il marito.

Azzolini ricorda gli stati d’animo di tutti loro su quel racconto, sulla versione dei fatti del loro anonimo compagno. “Ricostruzione che all’epoca, ricordo, emotivamente mi colpì molto, perché da quanto si leggeva si traeva l’impressione che Margherita Cagol fosse stata uccisa quando ormai si era arresa”. Forse i pm torinesi stanno indagando anche su quel punto rimasto oscuro?

23 Maggio 2023

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