Il ricordo

Gianni Pettenati: addio al cantante di “Bandiera Gialla” che portò l’Italia nel beat

Fu l’unico grande successo dell’artista, portato al trionfo dall’omonima trasmissione radiofonica di Renzo Arbore che univa migliaia di ragazzi vogliosi di divertirsi e mettere il mondo sottosopra

Cultura - di David Romoli

25 Febbraio 2025 alle 10:00

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Gianni Pettenati: addio al cantante di “Bandiera Gialla” che portò l’Italia nel beat

Si chiamano one-hit wonders e sono quei musicisti con un solo grande successo all’attivo, per il quale vengono però ricordati nel corso del tempo. In Italia ce ne sono stati un paio e forse nessuno merita quel titolo più di Gianni Pettenati, scomparso a 79 anni due giorni fa. Non c’è raccolta di successi italiani degli anni 60 che non comprenda la sua Bandiera gialla. Sono pochi, anche fra quelli nati decenni dopo quel successo, a non riconoscerne il motivo, peraltro non originale. A differenza di Luglio di Riccardo Del Turco, l’altro esempio classico di one-hit wonder italiana, Bandiera Gialla era una cover: l’originale, The Pied Piper, era cantata dall’inglese Crispian St. Peters, che aveva sfondato anche con la sua versione di un’altra cover di immenso successo nell’Italia di quegli anni, Io ho in mente te dell’Equipe 84.

Ma la meraviglia mai più eguagliata di Gianni Pettenati, che all’epoca, nel 1966, aveva 21 anni, non deve il successo solo alla musica. Diventò subito appunto una bandiera e del resto proprio a questo miravano le parole degli autori Alberto Testa e Nicola Salerno. A metà anni 60 per i teenagers non era facile ascoltare la loro musica. La radio era solo pubbica e centellinava la musica contemporanea specie se straniera. C’erano due solo trasmissioni radiofoniche che bucavano la coltre di melodie italiane e tutte e due se le era inventate Renzo Arbore. La prima, inventata in coppia con Gianni Boncompagni che la conduceva dagli studi di via Asiago, era appunto Bandiera Gialla, in onda il sabato pomeriggio dal 1965. L’anno successivo si sarebbe aggiunta, per tre pomeriggi alla settimana Per voi giovani, condotta da Arbore. Per il resto c’erano i juke box ma anche quelli non è che sovrabbondassero di musica anglo-americana.

Bandiera Gialla fu una mezza rivoluzione. Il sabato pomeriggio si tornava a casa solo per sentire quelle 12 canzoni divise in quattro gruppi: il pubblico votava per ogni gruppo il pezzo che sarebbe tornato in gara anche la settimana successiva e la canzone vincitrice, il “disco giallo”. Dopo un po’, per evitare che gli stessi dischi tenessero banco in eterno fu necessario porre un limite massimo di 5 settimane: in caso contrario le case discografiche si sarebbero imbizzarrite. Il pubblico era parte integrante dello show, per quanto solo col rumore: 40 ragazzine e ragazzini scatenati, per tre quarti fissi con gli ultimi 10 scelti invece a rotazione. La maggior parte Boncompagni e Arbore la avevano pescata al Piper Club, aperto nel febbraio 1965 da Alberigo Crocetta a Roma e diventato subito il punto di riferimento degli adolescenti di tendenza. Negli studi di via Teulada si presentavano abbigliati come nella discoteca di via Tagliamento, facevano degli studi a tutt’altri programmi avvezzi della Rai una pista da ballo.

Si agitavano con il sound delle grandi band del momento, i Beatles, gli Stones, gli Who, o di quelle del beat italiano, l’Equipe, i Rokes, ma anche con musica che senza Bandiera Gialla nell’Italia di allora sarebbe rimasta roba per iniziati. Fissati col soul Arbore e Boncompagni resero noti cantanti come Otis Redding, Wilson Pickett, Solomon Burke e la sigla iniziale, T-Bird, era eseguita proprio da un cantante soul americano, Rocky Roberts, che dall’Italia non se ne sarebbe più andato e che sfondò con una canzoncina ancora oggi celebre, Stasera mi butto, ma che in realtà era un ottimo soul singer.

Pettenati a vent’anni aveva già inciso le cover italiane di pezzi storici come Like a Rolling Stone e I Put a Spell on You. Fu scelto per interpretare l’inno di Bandiera Gialla, che ovviamente spopolò subito nel programma. Non era un testo politico. Non aveva la consapevolezza ribelle che avrebbe avuto la rivista storica del beat italiano, Mondo Beat, uscita nel novembre 1966. Cantava di giovani che volevano solo divertirsi e ballare e peccato che gli adulti non li capissero. Ma tanta innocua innocenza era solo di facciata. Boncompagni presentava il suo programma avvertendo che era off limits per gli ultra diciottenni e chissà se conosceva quello slogan che si stava affermando dall’altra parte dell’Atlantico, “Non fidatevi di nessuno sopra i trenta”.

Il programma si sarebbe dovuto chiamare Sound, ma il funzionario Rai Luciano Rispoli contropropose quello che poi ne sarebbe diventato effettivamente il nome pensando alla bandiera che sulle navi segnala la quarantena per epidemia. I ragazzi che il sabato accendevano le radio a transistor per ascoltare quella musica non erano i beatniks di Mondo Beat o di piazza di Spagna a Roma. Erano quei “normali” studenti che però si sentivano già in conflitto con tutto quel che era stato costruito prima di loro e che un paio d’anni dopo, nel 1968, avrebbero incendiato le università, le scuole e poi anche le fabbriche. Gianni Pettenati gli aveva fornito un inno e quel successo non lo avrebbe ripetuto mai più. Ma è stato abbastanza per renderlo indimenticabile per chi allora aveva la sua età o poco meno.

25 Febbraio 2025

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