Intervista al filosofo germanista
“Il voto in Germania decisivo per resistere alla morsa di Trump e Putin”, intervista a Angelo Bolaffi
«Un governo tedesco stabile e democratico è il solo antidoto per l’Europa. Si tratta di vedere se ci sarà un Brandmauer: un muro tagliafuoco davanti alla destra neonazista. Merz rischia di pagare cara la prova di forza in parlamento, un errore che ha rivitalizzato la Spd dopo il trauma Scholz. Sahra Wageknecht ha sbagliato a seguire l’Afd sul terreno anti-immigrati»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Ventitre febbraio 2025. La Germania vota per il rinnovo del Bundestag, il Parlamento federale. Un voto che pesa anche sul futuro dell’Europa. L’Unità ne discute con Angelo Bolaffi. Filosofo della politica e germanista, ha insegnato Filosofia politica all’Università «La Sapienza» di Roma, dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino. È membro della Grüne Akademie della Böll Stiftung di Berlino e del direttivo di Villa Vigoni “Centro italo-tedesco per l’eccellenza europea”. È autore di numerosi saggi, tra i quali ricordiamo: Il sogno tedesco. La nuova Germania e la coerenza europea (Donzelli, 1993), Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea. (Donzelli, 2013), Germania/Europa. Due punti di vista sulle opportunità e i rischi dell’egemonia tedesca (con Pierluigi Ciocca, Donzelli 2017), Calendario civile europeo. I nodi storici di una costruzione difficile (Donzelli, 2019).
Professor Bolaffi, il 23 febbraio la Germania va al voto per le elezioni legislative federali. Un voto che può cambiare storia del Paese e con essa dell’Europa?
Direi proprio di sì. La prima cosa che va rimarcata è che si tratta di un voto molto incerto.
Perché?
Beh, perché gli umori profondi della popolazione sono molto divisi e legati anche a trend molto occasionali. Mi riferisco ad episodi di terrorismo, come quello al mercatino di Natale di Magdeburgo e quello che è accaduto l’altro giorno a Monaco, episodi che hanno fortemente emozionalizzato l’opinione pubblica. Soprattutto, questo ha portato a focalizzare tutta la discussione su un tema molto scabroso, che è quello dell’immigrazione. Un tema che eccita gli animi e non risolve i problemi. E questo in un momento in cui i problemi veri, quelli più grossi, sono anche altri. Sia chiaro: non è che non esista il problema dell’immigrazione, ma i problemi grossi sono la crisi economica in Germania e la guerra in Ucraina, oltreché il fantasma di Trump. Una volta tanto l’esito del voto sarà decisivo per il futuro della Germania. Perché dal voto dipenderà se sarà possibile dar vita ad un governo stabile. Si tratterà di vedere se ci sarà, per dirla con una metafora tedesca, un Brandmauer, un Muro tagliafuoco rispetto alla destra neonazista. Un governo stabile e democratico. Questo è decisivo. Certo è che un governo va fatto, e i voti sono voti. Ovviamente questa influenza sia il futuro della Germania che quello dell’Europa. È un discorso che va oltre l’aspetto strettamente politico. Vede, il vero segreto della leadership tedesca, quello che potremmo chiamare il fondamento della sua capacità egemonica, non è di natura economica, come molti ritengono, ma è in primo luogo di natura spirituale e culturale: consiste in una trasformazione epocale, in una sorta di miracolo etico-politico, un “miracolo democratico”. Ora questo “miracolo” è in discussione.
Come valuta la campagna elettorale del cancelliere in pectore, Friedrich Merz, e della Cdu?
Merz ha commesso un grave errore, che non è quello che spesso gli viene rimproverato anche dai media italiani ed europei…
Vale a dire?
Quello, presuntivamente, di aver aperto o di pensare ad una apertura verso l’estrema destra di Alternative für Deutschland, ma di aver calcolato molto male, e questo testimonia una scarsa abilità di leadership, le conseguenze di una prova di forza in Parlamento. E questo rischia di pagarlo caro. Nel senso che ha emozionalizzato lo scontro e, soprattutto, ha probabilmente non dico lesionato ma certamente incrinato la sua immagine. Anche perché successivamente c’è stato il congresso della Cdu, insieme alla Csu bavarese, che ha detto a chiarissime lettere che non c’è nessuna apertura verso l’estrema destra. Però, insisto su questo, un governo dopo il 23 febbraio andrà fatto. E qui è il sovrano che decide. E in democrazia il sovrano è il popolo che vota. L’AfD è forte…
A darne conto sono anche recenti rilevamenti. Tutti i giornali, e i canali televisivi, si fanno i loro: la Cdu/Csu cala o sale appena di un punto, l’Afd rimane al secondo posto con il 20%, balza al 23%, scende al 19%. La Spd stabile al 15%, o guadagna improvvisamente tre punti, o scende al 13%, e i verdi oscillano tra il 12% e il 15%. I piccoli sono con l’acqua alla gola, devono superare il minimo del cinque per entrare al Bundestag: la Linke all’estrema sinistra ha recuperato in extremis, arriva al sei, grazie all’orgoglio dei vecchi compagni, i giovani fanno altre scelte, un mese fa era al tre, ma rischia di fermarsi al quattro, come i liberali. Il Bws, il nuovo partito di Sahra Wageknecht, ha trionfato a settembre nelle elezioni regionali nella ex Ddr, ma non basta, a livello nazionale dall’8% è scesa al 4%, forse al 5%, paga pegno perché è troppo giovane senza strutture nazionali. Ora, una cosa è certa: per un governo stabile e democratico è necessario che la Spd non tracolli.
Come riscontrano i sondaggi a cui lei ha fatto riferimento, la Spd sembra essere in risalita. La Spd è uscita traumatizzata dal governo Scholz. Pessimo governo, pessimo cancelliere. Però è stata rivitalizzata dal grave errore commesso da Merz. C’è stata una reazione molto veemente dell’opinione pubblica democratica.
Io non credo nei miracoli, tantomeno in politica. Se le va bene, la Spd si può riprendere ma sarà un partner junior, perché la maggioranza, oltre il 30%, sarà della Cdu-Csu. Potrebbe realizzarsi una Große Koalition, una Grande coalizione, e Scholz ha ripetuto che di una tale coalizione, se non ne sarà il cancelliere, lui non ne farà parte. Questo aiuta chi voleva votare Spd, ma era in forte dubbio perché c’era Scholz. Il discorso, in parole povere, è questo: vorrei votare Spd, ma sono stato fortemente deluso da Scholz, voglio un governo democratico, voglio che la Spd sia parte di una Grande coalizione e ora so che Scholz non ci sarà. E già questo motiva al voto.
In una nostra precedente conversazione, lei ha fatto riferimento al pericolo dei due populismi: quello dell’AfD l’abbiamo analizzato. E l’altro?
La Wageknecht sembra che non ce la faccia. Mentre è in ripresa la Linke. Come Merz, Sahra Wageknecht ha commesso un grave errore politico…
Quale, professor Bolaffi?
Cercando di speculare elettoralmente, ha preso una posizione anti-immigrati. A questo punto, se io devo essere anti-immigrati, allora voto AfD. E chi pensava di dare un voto alla Wageknecht, come una donna che rilancia una politica, ahimè filoputiniana ma anche di sinistra, sia pur sui generis, messo di fronte ad una posizione xenofoba e anti-immigrati, ha detto no, allora voto la vecchia Linke. Dagli ultimi sondaggi sembra che la Linke riesca a superare la soglia di sbarramento del 5%, mentre il Bws, il partito della Wageknecht, rischia molto. Potremmo avere un Bundestag con 6 partiti o con 4 partiti. E questa, a ben vedere, è la grande novità rispetto al passato. Non solo la crisi economica del “Deutsches Modell”, il modello tedesco, ma un Paese che faceva della stabilità politica una sorta di copyright, anch’esso rischia una frammentazione di partiti tale da rendere difficile la governabilità.
In una situazione d’incertezza, una cosa sembra certa: il voto tedesco peserà fortemente sul futuro dell’Europa. È così?
Assolutamente sì. Senza la Germania o contro la Germania non c’è Europa. Una speranza dell’Europa di resistere alla tenaglia trumpiana-putiniana, e di restare l’ultimo vero “baluardo” dell’Occidente, dipende dal fatto che la Germania abbia anzitutto un governo stabile e democratico, e che sia poi in grado di fare una operazione di rinnovamento economico, di riposizionamento del “modello tedesco” simile a quello che fu fatto dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder con il primo governo rossoverde dopo il 1998, quando tirò fuori la Germania, allora definita il “malato d’Europa” come anche oggi, per diventare il Paese campione dell’export mondiale dal 2000 alla fine dell’ultimo governo Merkel.
Una Germania politicamente stabile e democratica è il più forte “antidoto” alla penetrazione “trumpista” in Europa?
Credo che sia l’unico “antidoto”, per restare al termine da lei utilizzato. La Germania, per la sua dimensione economica – resta la terza- quarta potenza economica al mondo – oltre ad essere il Paese demograficamente più popoloso d’Europa, esclusa la Russia, è il perno della costruzione europea. Se invece comincia una sorta di “liberi tutti” e ognuno guarda ai propri interessi di bottega, anche in questo caso la Germania ha più carte in mano rispetto agli altri, a cominciare dall’Italia. Noi dovremmo auspicare che la Germania europeista sia forte e, soprattutto, che si faccia carico di fungere da baricentro di una Europa che altrimenti entrerebbe in forte fibrillazione.
In Italia, quanto all’auspicio da lei evocato, non tutti sono d’accordo. Ad esempio, dalle parti di Palazzo Chigi, pensando magari che possa essere Giorgia Meloni la “negoziatrice” dei rapporti negoziali tra l’Europa e Trump…
Guardi, a me piace il calcio. Se vado a fare una partita contro il Real Madrid, devo essere forte altrimenti ne esco con le ossa rotte. Una Germania che riprende in economia, si porta dietro due terzi dell’Italia. Se il nostro Paese vuole riprendere una crescita, la locomotiva tedesca è decisiva. In secondo luogo, se qualcuno s’illude di poter fare da “pontiere”, gli o le ricorderanno subito la dimensione del debito pubblico. È molto meglio che l’Europa, la Germania e con essa l’Italia, abbiano le spalle forti, e questo garantirebbe anche la stabilità di un Paese come il nostro, molto esposto economicamente e molto fragile politicamente e questo nonostante, paradossalmente, si siano rovesciati i ruoli, con una Italia che ha oggi un governo più stabile di quello che c’è in Germania, cosa che dal 1950 in poi non si è più dato. Bisogna però tenere sempre bene in mente le giuste proporzioni. La Germania è un Paese che attraversa evidenti difficoltà ma che resta sempre un Paese che ha delle basi solide e spalle abbastanza larghe.