Le responsabilità del regime

Giornata della Memoria, finalmente Meloni ammette: “Fascismo complice della Shoah”

La premier si scaglia contro l’antisemitismo anche per dare copertura politica ai massacri di Gaza. Ma la condanna del Duce è un primo passo verso la svolta liberale di Fini che attirò verso l’ex leader di An gli enormi malumori dei post-fascisti

Politica - di David Romoli

28 Gennaio 2025 alle 07:00 - Ultimo agg. 28 Gennaio 2025 alle 09:54

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Adelante con juicio! Giorgia Meloni procede sulla pista tracciata da Gianfranco Fini, cauta, col piede di piombo, però avvicinandosi al detestato leader di cui è tuttavia erede ogni anno di più. Il passo di ieri è deciso e forse decisivo. La denuncia forte e chiara dell’ “abominio del piano nazista di persecuzione e sterminio del popolo ebraico” era nell’ordine delle cose.

La definizione della Shoah come “tragedia che non ha paragoni nella Storia” era anche prevedibile e del resto è implicitamente adoperata, non a torto, contro chi negli ultimi mesi ha paragonato senza sfumature Israele al Terzo Reich. Le parole più significative arrivano alla fine, quando la leader di FdI parla della “complicità del regime fascista” con quello hitleriano “attraverso l’infamia delle leggi razziali e il coinvolgimento nei rastrellamenti e nelle deportazioni”. Meloni aggiunge, nel suo abituale stile, una dichiarazione di guerra contro l’antisemitismo “in tutte le forme in cui si manifesta, antiche e moderne” e farebbe prima a dire “di destra e di sinistra”. Promette “un documento articolato e di scenario che fissa obiettivi e azioni concrete per contrastare un fenomeno abietto che non ha diritto di cittadinanza”. In un certo senso è anche questo un passo sulla via di Fini, che proprio allo Yad Vashem di Gerusalemme prese la posizione durissima e definitiva sul fascismo che gli costò le simpatie dello zoccolo duro ed ex missino del suo partito.

Il rapporto tra FdI e l’eredità di An è complesso e sfuggente. Senza Fini la destra non sarebbe mai uscita dal ghetto. L’orizzonte di Giorgia, la trasformazione della destra radicale in una forza conservatrice legittimata a livello internazionale, non è poi molto diversa da quella del predecessore e in ogni caso la spinta della realtà in quella direzione è troppo forte perché una politica pragmatica come lei possa ignorarla. FdI è figlia legittima di An, tanto che da lì vengono i suoi fondatori, la stessa Meloni, La Russa e Crosetto, e avevano quella tessera in tasca anche buona parte dei dirigenti o ministri tricolori oggi. La stessa Giorgia, peraltro, era appunto ministra in uno dei governi Berlusconi. La maledizione che pesa su Fini e l’anatema che gli viene riservato da una destra che avrebbe tutte le ragioni per essergli grata dipendono in parte dall’aver portato la rottura a livello troppo radicale, pagandone il prezzo.

Meloni, che è una politica molto più avveduta di quanto non sembrasse quando, fino a due anni fa strepitava dai palchi, non ha alcuna intenzione di commettere lo stesso errore. Dà alle cose il tempo di cui necessitano per procedere senza traumi nella sua base, neppure nello zoccolo duro che votava FdI anche quando era un partito sì e no del 4%. Dunque quelle dichiarazioni di condanna del fascismo che l’opposizione reclama da due anni e mezzo piano piano arriveranno. Forse non nella forma nettissima adoperata da Fini ma arriveranno. La differenza reale però c’è ed è nelle scelte politiche, non nei proclami identitari. Nel corso della sua lunga esperienza come leader di un partito già fuori dal ghetto, di ministro e poi presidente della Camera, l’ultimo leader del Msi e primo di An aveva elaborato una sterzata politica profonda. Pur restando uomo di destra e conservatore aveva fatto propri tutti i principi liberali e, partendo dalla firma della pessima legge sull’immigrazione Bossi-Fini, aveva finito per diventare difensore dei diritti civili secondo una logica appunto compiutamente liberale.

Quella svolta Giorgia non ha neppure iniziato a farla e per ora non sembra intenzionata a muoversi in quella direzione. Quel che rende la destra occidentale, dagli Usa all’Europa, così temibile e proprio il fatto che, nonostante le divisioni e le differenze che pure ci sono, è compatta nella negazione dei diritti sia civili che sociali, che considera anzi il vero nemico. Da quel punto di vista, quello della “remigrazione”, degli accordi con regimi o bande di torturatori perché tengano lontani i migranti poco importa con quali mezzi, della blindatura intorno a una visione reazionaria che mira a tornare indietro sui diritti di ogni minoranza, fra i Patrioti di Orbàn, i quasi neonazisti della AfD, il populismo alla sega elettrice di Milei e il suprematismo nazionalista che governa a Washington non c’è alcuna distinzione reale. Con Fini aveva finito per esserci. La sua presa di distanza dal fascismo non era solo questione d’identità, che pure ha il suo peso, ma di orizzonti politici. È una differenza grossa.

28 Gennaio 2025

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