Il nuovo libro dedicato al filosofo

Il grande limite delle idee di Augusto Del Noce: nessuna salvezza senza cattolicesimo

Le convinzioni del pensatore dc sono state accolte a sinistra acriticamente. Perché mai l’uomo che tenta di liberarsi da solo, dovrebbe essere immorale? Nicola Chiaromonte è la prova che confuta quelle teorie

Cultura - di Filippo La Porta

15 Novembre 2024 alle 18:00

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Photo credits: Carlo Carino/Imagoeconomica
Photo credits: Carlo Carino/Imagoeconomica

L’egemonia gramsciana, riscoperta dalla destra, in fondo consiste in questo: conquistare il potere attraverso le idee. Almeno in un’occasione Maurizio Gasparri non mostrò soverchio amore per le idee: “Noi di destra, rispetto alla sinistra, abbiamo meno professori. E dunque meno scemi in giro”. Non so se l’enunciato corrisponda a una vocazione dell’intera destra italiana, anzi mi auguro di no. Ma certo Luciano Lanna ha provato efficacemente a smentirlo. Il suo corposo libro su Augusto Del Noce, grande filosofo cattolico considerato a torto reazionario – Attraversare la modernità.

Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce (Cantagalli, prefazione di G.Marramao) – è un apprezzabile tentativo di battaglia delle idee e un capitolo indispensabile della storia del cultura novecentesca. Per la prima volta, e in modo organico, si inserisce il pensiero delnociano entro un orizzonte fitto di riferimenti culturali. Dunque la sua ispirazione vichiana, in seguito rosminiana, e soprattutto la denuncia dell’immanentismo del mondo moderno, che nasce da lontano, secondo una genealogia filosofica che passa per Cartesio, Spinoza, Hegel, Marx, Nietzsche per arrivare allo storicismo di Croce e all’attualismo di Gentile, ma poi furono decisivi anche i suoi interlocutori del mondo laico o cattolico, quasi tutti “irregolari” (da Capitini a Tilgher, da Rensi a Chestov). Quando lessi Il suicidio della rivoluzione (1978) non dico che mi cambiò la vita ma per la prima volta mi trovavo di fronte a una lucida analisi della fede nella rivoluzione che ebbe la mia generazione.

Quella fede era espressione ultima della cosiddetta secolarizzazione: noi avevamo sostituito il cielo, o la vita eterna, con il futuro! Dunque rivoluzione come palingenesi dell’umano e marxismo come teologia. Poi lessi altre pagine di Del Noce, impegnato in una serrata lettura del nostro presente, financo della cronaca politica, alla luce di categorie filosofiche rimeditate con originalità. Ora, anche guardando le molte (e meritatissime) recensioni del libro di Lanna ho l’impressione però che la nostra sinistra intellettuale, rimasta orfana di ogni tradizione dopo la Caduta del Muro, tenda ad accogliere un po’ acriticamente la filosofia di Del Noce. Senza entrare nel merito della sua intera riflessione, di così vasta portata e scandita attraverso tappe successive, vorrei ora provare – sommessamente – a farle qualche obiezione anche sulla scorta di questa biografia intellettuale. A proposito della società tecnocratica e del sapere scientifico-tecnologico legato alla ragione strumentale Del Noce parla di “barbarie della riflessione” (qui sembra un seguace della Scuola di Francoforte). Poi aggiunge che la riflessione diventa “barbara” quando si distacca dalla sapienza della tradizione, dai valori permanenti, da un ordine eterno e immutabile, dall’esperienza di una evidenza primaria delle cose.

D’accordo, ma alcuni passaggi logici del suo pur nitido ragionare a me sembrano precipitosi se non arbitrari. Chi si farebbe portavoce di questa evidenza, e a quale diritto? Chi interpreta legittimamente quei valori e quell’ordine eterno? E ancora: perché il marxismo, negando la trascendenza, dovrebbe concludersi nell’apologia della società opulenta del benessere? Anche se Marx elogia il ruolo emancipativo del capitalismo, al tempo stesso il suo pensiero implica un prezioso umanesimo che ci permette una critica della reificazione del capitalismo. Del Noce auspica una cristianizzazione della società, capace di salvarci. Ora, la voleva anche Manzoni (a proposito, sento nella formazione del filosofo uno scarsissimo apporto della letteratura!) ma sono trascorsi due secoli e abbiamo visto tra l’altro che la Democrazia Cristiana, il nostro partito cattolico maggioritario, non ha prodotto alcun anticorpo critico nei confronti della società dei consumi e degli stili di vita ad essa associati (pensiamo solo alla TV di Bernabei). Insomma nei confronti di quell’omologante “neocapitalismo” che soltanto un intellettuale laico ed estraneo alla trascendenza come Pasolini (il suo straordinario film sul Vangelo nasce dalla sola fede nel divino dell’uomo), volle denunciare.

Perché mai, poi, chi non aderisce alla tradizione religiosa si troverebbe a cancellare il passato precipitando in una società borghese “materialista” e priva di senso morale? Insomma a me pare che Del Noce, volendo combattere il laicismo azionista, “protestante” e radicale ( e più in là l’empirismo che a suo dire antepone gli interessi ai valori) si crei spesso un avversario di comodo. Solo un esempio: avrebbe potuto confrontarsi utilmente con Nicola Chiaromonte, uno dei maggiori intellettuali della seconda metà del ‘900 (proviene in parte anche lui da Tilgher), fondatore di “Tempo presente”, con Silone negli anni ‘50, eretico e libertario, formatosi su Platone, screditato dalle due “chiese simmetriche”, comunista e cattolica. Un intellettuale che non coincide affatto con il paradigma delnociano dell’intellettuale laico e libertino, fanatico della scienza e della tecnica, devoto unicamente ai piaceri individuali (ma potremmo fare molti altri nomi, nel ‘900, da Camus ad Orwell).

Del Noce insiste sulla identificazione di modernità e gnosi, ovvero la pretesa di autoredenzione dell’uomo con le sue uniche forze, senza bisogno di Dio (l’antica eresia di Pelagio). Ma se l’uomo non tenta di “liberarsi” da solo – attraverso la ragione, la conoscenza, la cooperazione – chi potrà farlo al suo posto? E poi non è detto che la gnosi porti al superomismo, all’immagine luciferina dell’umanità che manipola le cose e intende rigenerarsi, all’hybris di dominio che sta devastando il pianeta. Proprio Chiaromonte era rigorosamente laico e azionista (per Del Noce quasi il male assoluto, culturalmente), e non credeva nel “soprasensibile” o nel “sopraumano”, ma aveva il senso del sacro e una cognizione del limite che gli veniva dalla antica Grecia.

Considerava la realtà mutevole e non modificabile, e la stessa Storia umana espressione di qualcosa di imperscrutabile, affermava il primato dell’etica sulla politica e della coscienza individuale sui doveri sociali, era devoto alla verità (contro ogni calcolo), criticava le utopie politiche (inclini al totalitarismo), ma coltivava l’unica utopia (impolitica) di tutto ciò che è gratuito e non funzionale, riteneva che occorre riconoscere “le cose come sono”(che si mostrano alla pura intuizione intellettuale) e infine era convinto che l’accadere storico fosse casuale e che ciò che non è accaduto ma sarebbe potuto accadere ha lo stesso valore del fatto compiuto (il concetto di ucronia, che Del Noce trae da Renouvier).

Ecco, un dialogo tra Del Noce e Chiaromonte – due outsider inclassificabili, “disorganici” a tutto – avrebbe certamente immesso nella nostra cultura bigotta e conformista, avvelenata dalla Guerra Fredda, una linfa vitale, arricchendo quella battaglia delle idee cui accennavo all’inizio e che costituisce il cuore della modernità.

15 Novembre 2024

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