L'essenza del Cristianesimo tradito

Gesù bambini: era ebreo e palestinese, migrante e irregolare: nel mondo di oggi non c’è posto per loro

Il Bambinello era un ebreo, ed era un palestinese. Era nato in una stalla perché nessuno aveva voluto accogliere i suoi genitori. Come lui, ci sono oggi 36 milioni di piccoli profughi nel mondo. Nessuno li vuole

Editoriali - di Mons. Vincenzo Paglia

24 Dicembre 2024 alle 07:30

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AP Photo/Abdel Kareem Hana
AP Photo/Abdel Kareem Hana

Gesù bambino ebreo e palestinese, migrante e “irregolare”. Aveva, ha, avrà, tutte le carte “in regola” per non essere in regola, per venire emarginato ed escluso. Eppure ci ricordiamo di lui ogni anno a Natale. È vero – come amava dire il cardinale Biffi – che spesso celebriamo il Natale senza sapere chi sia il festeggiato, concentrati, come siamo su noi stessi, anche solo per carpire qualche scampolo di gioia. Gesù bambino rappresenta tutti quei bambini dimenticati, esclusi, abbandonati, violentati…una schiera immensa.

I dati Unicef rivelano una realtà allarmante e scandalosa per tutto il nostro mondo che vorrebbe dirsi civile. Abbiamo 150 milioni di bambini che vivono in aree di conflitto in Africa; sono 722 milioni in Asia e 1,4 miliardi in tutto il mondo. Nel 2020 i dati Unicef certificavano, ahimé, in 36 milioni il numero dei bambini migranti. Le Nazioni Unite indicano la mortalità infantile ben lontana dall’essere se non debellata, quanto meno ridotta in modo significativo. Ogni anno muoiono circa 6 milioni di bambini sotto i 15 anni. Ciò significa circa 16mila morti al giorno, o 11 al minuto. Questa devastante statistica rivela il gran numero di bambini la cui vita finisce prima che possano scoprire i loro talenti, le loro passioni e i loro sogni da grandi, e rappresenta l’impatto della mortalità infantile sulla vita di tante persone: genitori, fratelli, famiglie e comunità. L’aspetto tragico è che molte di queste morti sono evitabili. La maggior parte è causata da malnutrizione, condizioni di nascita come il parto pretermine, sepsi e traumi, e malattie infettive come polmonite, malaria e HIV/AIDS.

Ecco la schiera infinita dei “Gesù”, per i quali “non c’è posto per loro”, come scrive amaramente Luca nel suo Vangelo in quella notte di Betlemme. E Gesù dovette nascere in una stalla fuori dalle mura, fuori dall’amore della maggioranza. Commoventi e assieme crudeli, le pagine evangeliche della Natività! Commoventi, anzitutto, se lette dalla parte di Dio che, pur di stare accanto a noi, si accontenta di una stalla e di un po’ di paglia. Crudeli, se lette dalla parte degli uomini i quali, appunto, rinchiusi in se stessi, non aprirono la porta al giovane Giuseppe e alla giovanissima sposa, incinta di nove mesi, chiamata Maria. Il Vangelo di Natale è speculare a quello del Giudizio finale del Vangelo di Matteo. Fa bene rileggerlo. “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

Nella nostra colpevole schizofrenia, crediamo che sia solo un racconto e non indichi invece l’essenza del cristianesimo: la pietà e la misericordia, il chinarsi verso i “piccoli”. Salvare i bambini (e tutti lo siamo) dalle gole del mare, occuparci di loro, preparare una società più giusta per tutti i fragili, non è solo un ‘dovere’. È la vita! È il modo di essere umani. Anche quest’anno, mentre due guerre imperversano sotto gli occhi di tutti e mentre altri 50 e passa conflitti si combattono nell’indifferenza, arriva il Natale. Sono certo che, anche per causa dei tempi difficili che stiamo attraversando, è un giorno che attendiamo, soprattutto per chi attende un mondo nuovo. E facciamo bene. Anche se non ne comprendiamo fino in fondo il senso e il valore, tutti sappiamo però che non è la festa dell’egoismo, ma della pace. Gesù viene a portare la pace. E tutti siamo esortati – anzi, spinti – ad andare a Betlemme. Un antico sapiente cristiano diceva: “Nascesse Cristo mille volte a Betlemme, ma non nel tuo cuore, saresti perso per sempre!”.

Le chiese in genere si riempiono alla Messa di mezzanotte. Ed è bene! E noi, come quei primi pastori, facciamo bene a stupirci. Sì, davvero bene! Scrive l’evangelista Luca che quei pastori se ne tornarono pieni di gioia per quel che avevano visto e udito. In effetti il Vangelo che ascoltiamo in quella notte ci disegna Gesù fin dalla sua nascita e poi bambino. Pensiamolo, bambino. E pensiamolo già dalla sua terra, che c’è ancora oggi. Gesù era un bambino ebreo. Da piccolo ha imparato a pregare, forse sotto la guida di Giuseppe. Il venerdì ed il sabato si recava nella sinagoga di Nazareth; lì come ogni maschio ha ascoltato la Scrittura e da adulto l’ha letta; e possiamo immaginarlo nel coro dei bambini della sinagoga, il venerdì sera, quando cantava “viene amico, incontro al sabato”. Crebbe ebreo con gli ebrei, cantò con loro, chiamò Dio con loro e, nei momenti drammatici della sua vita, come nella Passione, si affidò a lui.

Ma Gesù bambino lo immaginiamo anche piccolo palestinese, rimasto nella sua terra, seppure in situazione difficile (oggi, molti dei palestinesi cittadini dello stato israeliano sono sotto i 14 anni); oppure come un bambino palestinese, figlio di emigrati, fuori della sua terra sparso in tante altre terre ove è sempre straniero. “Fuggi in Egitto” disse l’angelo a Giuseppe. E quanti sono nell’attesa di udire che finalmente hanno anche loro una patria! Gesù Bambino lo vediamo allora mentre prega nelle sinagoghe prima di tante stragi, ma lo vediamo anche nei campi palestinesi ove aspetta di sentire quella voce che richiama il figlio nella sua patria. Questo bambino nasce comunque fuori. Dal Vangelo di Luca sappiamo che Maria incinta, alla vigilia del parto, finì col dare alla luce il Figlio suo in una stalla e depose il bambino nella mangiatoia. Di questo dice il Vangelo – ed è una delle frasi di Natale più importanti e decisive per capire il senso di una memoria che non smette d’essere sacramento – “non c’era posto per loro nell’albergo”.

Non c’è posto in albergo per il bambino ebreo, non c’è posto per il piccolo palestinese, e non c’è posto per tanti poveri, deboli, malati, anziani, carcerati, stranieri. E quanti posti mancano ancora nell’albergo della vita e quanti sono costretti a stare nelle mangiatoie odierne! Il Natale è il giorno in cui veniamo messi di fronte al mistero di Dio che si fa vicino e si fa conoscere da bambino. È lo scandalo che anticipa quello della croce. Noi crediamo nel Dio dell’amore e della debolezza che, bisognoso di tutto, è vicino ai “piccoli” e ai deboli. Con questo tipo di amore è venuto a cambiare il mondo. È un Dio bambino. Abbiamo bisogno di lui. Abbiamo bisogno del Natale, di ripartire dalla grotta, dalla periferia.

Certo, non possiamo fermarci. Il Natale, questo Natale, ancor più che in passato, ci spinge ad uscire da noi stessi per dirigerci verso gli altri, per impegnarci seriamente a rendere il mondo migliore per tutti. Il Vangelo chiede di lasciarci travolgere da una nuova passione per l’umano comune, a partire dai bambini. La pace – come quel Bambino – ha bisogno di donne e di uomini per muovere i primi passi. Da quel Bambino rinasce il mondo intero. I credenti – anche i Magi che venivano dall’Oriente – hanno un ruolo decisivo per indicare la strada della guarigione per un mondo ferito e sconvolto. È il tempo del Bambino! È il tempo dei credenti! È il tempo degli uomini di buona volontà! Tutti attorno al Bambino, tutti attorno ai Bambini! È l’augurio di Buon Natale!

24 Dicembre 2024

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