La sentenza per Salvini

Open Arms, cronaca di un processo: Salvini assolto, ma nel Mediterraneo continuano naufragi (e Ong bloccate)

Cronaca di una giornata particolare nell’aula bunker del carcere Pagliarelli. Salvini è nervoso. Nel Mediterraneo c’è bufera, e anche ci sono oggi naufragi, ma le navi di soccorso sono bloccate dal governo

Cronaca - di Angela Nocioni

21 Dicembre 2024 alle 10:00

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Foto di Alberto Lo Bianco/LaPresse
Foto di Alberto Lo Bianco/LaPresse

Valditara, Siri, Durigon, Morelli e Casanova. Punto. Non proprio una ressa di leghisti di primo piano si stringe attorno a Matteo Salvini nell’aula bunker del carcere Pagliarelli mentre il segretario della Lega, vicepremier del governo Meloni, attende di sapere se sarà condannato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Questa è la cronaca di quell’attesa.

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Curvo sulla sedia, Salvini fissa la punta delle sue scarpe e si tormenta le unghie. L’avvocata e senatrice leghista Giulia Bongiorno ascolta cupa Marzia Sabella, sostituta Procuratore, dire che fu sequestro di persona non permettere alla nave di soccorso Open Arms di sbarcare subito a Lampedusa 147 naufraghi stremati. Farla stare dal primo al 20 agosto 2019 ferma sotto il sole a un passo dall’isola, ribadisce l’accusa, fu un crimine. Sono le dieci di mattina e nel cielo sopra la prigione si staglia un enorme arcobaleno, piove, fa freddo. Anche nel Mediterraneo centrale fa freddo, le condizioni meteo sono in peggioramento, c’è bufera. Quanti barchini di alluminio stracolmi di persone, quanti gusci di legno assemblati male, quanti gommoni sgonfi saranno rovesciati dalle onde oggi, domani e dopodomani non lo sapremo perché non c’è nessuna nave di soccorso nelle acque internazionali davanti alla Libia e davanti alla Tunisia.

La Guardia costiera italiana non ci va per non dispiacere al Viminale e le navi delle ong sono tutte state spedite dal Centro coordinamento di Roma in porti lontani, sempre per non dispiacere al Viminale. La Ocean Viking è stata mandata (con un neonato di un mese a bordo) fino a Ravenna, a 1.600 chilometri dal luogo del primo salvataggio. Medici senza frontiere, sotto la minaccia di confisca della troppe volte multata Geo Barents, ha sospeso le operazioni in mare. Da bordo dell’Aurora, nave piccola di Sea Watch che lontano non può essere costretta ad andare perché non ci arriverebbe, dice l’equipaggio: “Mentre la scorsa notte salvavamo 47 persone, altri 35 morivano in due naufragi. Eravamo soli in mare, l’Italia sapeva ma non ha mandato nessuno”. Alarm phone, la rete di attivisti che raccoglie gli Sos dei naufraghi, ha chiesto aiuto e Roma non l’ha dato. Nello scorso fine settimana almeno due barche si sono perse nel nulla. Di 150, 160 persone non c’è più traccia.

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In fondo all’aula bunker del Pagliarelli c’è una ragazza in giacca nera con i capelli raccolti in una lunga coda verde smeraldo e una piccola àncora tatuata sul pollice sinistro. È Ana Isabel Montes, capomissione a bordo di Open Arms. C’era lei con quei 147 naufraghi sopra coperta sotto il sole quell’estate del 2019. È scesa dall’ultima missione di salvataggio due giorni fa. Dritta come un fuso, si agita sulla sedia come fosse seduta sui carboni ardenti mentre l’avvocata Bongiorno dice: «Per poter scendere dalla nave bastava dichiarare che c’era disagio. E non l’hanno fatto».

La linea dalla Bongiorno, costruita tutta sul rivendicare la negazione del porto, è esplicita nel disegnare la Open Arms come un nemico politico. Sostiene che i naufraghi gettatisi in mare dalla nave prima dello sgombero ordinato dal magistrato che permise loro di sbarcare, non lo fecero perché non resistevano più per la situazione d’emergenza a bordo, ma per arrivare a Lampedusa prima possibile. Nega i tentativi di suicidio, l’avvocata Bongiorno, nega la situazione di pericolo. Chiedo a Anabel Montes cosa succedeva in quei giorni a bordo. «Niente di tutto ciò è vero – sussurra lei – le persone gli ultimi giorni non ce la facevano più ad aspettare, la situazione era pericolosissima, si sono lanciate in acqua persone che non sapevano nuotare. Ne abbiamo tirati fuori alcuni che stavano andando giù. I marinai della Guardia costiera italiana lo sanno perché ci hanno visto. Ci sono state crisi psicotiche di persone che mai le avevano avute prima. Una notte ho sentito delle urla fortissime: “papà, papà”. Era una ragazza. Ha avuto una crisi, voleva gettarsi in mare, chiamava il padre che era morto. Il medico è intervenuto subito e non c’era modo di placarla».

Ma non avete temuto una ribellione contro di voi in quei 19 giorni? «Temevo che morisse qualcuno io. Gli ultimi giorni abbiamo sfiorato la tragedia. Scoppiavano delle liti per lo spazio, per lo stress e ogni volta rischiavo che scoppiassero contemporaneamente altre liti di persone lì intorno che avevano paura di essere riportate indietro, immaginavano di poter essere rimpatriate per colpa di quelli che stavano litigando. È un attimo, basta una scintilla e si incendia tutto. È difficilissimo mantenere sotto controllo tante persone disperate, vedevano la terra e non capivano perché la nave non entrasse in porto. Venivano barchini locali, italiani, turisti, ci giravano intorno, facevano foto, si facevano i selfie con la Open arms sullo sfondo, filmavano i sopravvissuti. Come se stessero allo zoo. I sopravvissuti non capivano, impazzivano».

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Risuona acuta la voce della Bongiorno. L’avvocata allarga le braccia, alza il tono della voce, vuole scongiurare la condanna per sequestro di persona: «Il codice penale non punisce chi nega la libertà di sbarcare in Italia, ma chi nega la libertà di movimento. In questo caso Open Arms ha volontariamente impedito che i migranti raccolti andassero altrove. Avevano il dovere di andare in Spagna, dove gli era stato offerto di sbarcare, ma non hanno voluto». La guerra di Matteo Salvini e del governo Meloni alla flotta civile di salvataggio è scolpita nella chiusura della difesa del vicepresidente del Consiglio, chiusura tutta politica quando si appella ai giudici: «Una sentenza di condanna – grida Giulia Bongiorno – sarebbe certamente una sanzione per Salvini, ma anche la legittimazione della consegna concordata dei migranti». Perché sempre lì torna Salvini. E alla fandonia dei “taxi del mare” la sua difesa s’aggrappa.

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Anabel Montes non fa una piega. Per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è già stata additata dal giudice delle indagini preliminari di Catania anni fa, insieme al comandante della Open Arms, Marc Reig Creus, contro cui s’è scagliata ieri la Bongiorno (“disobbedisce a Malta, all’Italia e alla Spagna, dobbiamo accettarlo in nome di cosa?”). Anche il gip del tribunale di Catania disse prendendosela con Creus e Anabel Montes che “non poteva essere consentito alle ong di creare autonomi corridoi umanitari al di fuori del controllo statuale e istituzionale, forieri di situazioni critiche all’interno dei singoli paesi sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza”.

ll Tribunale di Ragusa decise il non luogo a procedere per l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (condotta considerata non punibile per stato di necessità) e per violenza privata (fatto non sussiste). I fatti risalgono a 15 marzo 2018. Dopo il soccorso, su esplicita richiesta del Comando della Guardia costiera di Roma, di 218 persone, i due furono accusati di aver disatteso le indicazioni delle autorità italiane che dopo aver richiesto l’intervento della Open Arms, chiedevano la cessazione delle operazioni per fari intervenire la guardia libica, cioè i miliziani dai quali i naufraghi stavano fuggendo.

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Nell’aula bunker del Pagliarelli c’è anche Oscar Camps, fondatore di Open Arms. Non dice se ci sarà una querela per quella frase in Aula sulle “consegne concordate”. I giudici si ritirano in Camera di Consiglio. Anabel Montes si alza in piedi: “Noi torniamo in mare”.

21 Dicembre 2024

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