Bocciata la precettazione
Autonomia e sciopero, l’uno – due della giustizia mette ko Salvini
Due brutte notizie a strettissimo giro per il governo e per il ministro, al quale non ne va bene una. L’ok dei giudici di piazza Cavour all’ammissibilità del referendum totalmente abrogativo della legge Calderoli, non è un semaforo verde per le urne, bisognerà attendere la pronuncia della Consulta. Ma è un passo gigante
Politica - di David Romoli
Le brutte notizie non arrivano mai sole. Infatti a Salvini e al governo ne sono arrivate due a strettissimo giro. La Cassazione ha giudicato ammissibile il referendum totalmente abrogativo sull’autonomia differenziata. Subito dopo il Tar del Lazio ha sospeso la precettazione con la quale il ministro portava da 24 a 4 ore lo sciopero di oggi nel settore dei Trasporti. La sentenza della Cassazione non rende automatico il semaforo verde per le urne ma di certo si tratta di un passo da gigante in quella direzione.
Il quesito sulla modifica parziale della legge di Calderoli è stato cestinato, avendo già provveduto la Consulta a dichiarare incostituzionali ampi e qualificanti settori del disegno di Calderoli. Quello sull’abolizione totale della legge invece è stato ammesso e ora lo spettro di un pronunciamento popolare sull’autonomia differenziata è molto più vicino. L’intera maggioranza, dalla ministra Casellati allo stesso Calderoli si dice soddisfatta e impavida. Il firmatario della legge assicura di “prendere atto” della sentenza, “che per me ha un valore assoluto” e di essere peraltro sempre stato favorevole al referendum. “Quindi mi tocco le palle e vado avanti anche dopo sentenze Consulta e Cassazione”. La ministra Casellati è più formale, meno casual e sboccata: “La voce dei cittadini non ci spaventa mai. È la democrazia”. Un po’ meno entusiasta solo Luca Zaia: “Per il momento il referendum non c’è. Se ci sarà è fondamentale che chi crede nell’autonomia non vada a votare: è logico visto che c’è il quorum”. È quel che pensano tutti. Ovviamente il centrodestra, se i cittadini saranno davvero chiamati a esprimersi, punterà sul far mancare il quorum. Ma la retorica impone a tutti, salvo appunto Zaia, di fingersi invece felici di rimettersi al giudizio degli italiani.
La sentenza non impone automaticamente il ricorso alle urne. Calderoli, che quando si tratta di districarsi con astuzia nei codici è senza rivali, ha scritto la sua legge in modo da collegarla alla legge di bilancio, materia sulla quale il ricorso ai referendum è proibito. Un’astuzia pensata apposta per evitare la prova delle urne anche qualora la Cassazione avesse ammesso, come ha effettivamente fatto ieri, il quesito. Ora la Corte Costituzionale dovrà esprimesi proprio su questo nodo che i costituzionalisti considerano effettivamente critico. Nonostante le parole altisonanti pronunciate ieri, tutti nella maggioranza si augurano che il pollice della Consulta sia all’ingiù e il referendum venga proibito. Non tanto per paura di perderlo. Quello è stato ed è ancora, ma solo in parte, un vero e proprio terrore. È vero che capita di rado che i referendum abrogativi raggiungano il quorum, la maggioranza assoluta degli aventi diritto. È capitato però e, non a caso, sempre quando si trattava di decidere su temi che toccavano direttamente la vita materiale degli elettori, come l’acqua pubblica o il nucleare.
L’autonomia differenziata, soprattutto nel sud, è della stessa pasta. L’intervento della Consulta, che ha sterilizzato gli aspetti più minacciosi della riforma, rende però più difficile il traguardo già tutt’altro che facilmente abbordabile del quorum. Solo che nel caso dell’autonomia la sconfitta nelle urne non è il pericolo, anche se si tratterebbe dell’esito più rovinoso. Ma la campagna referendaria sarebbe già un guaio in sé. Per mesi risuonerebbe ovunque l’accusa rivolta al governo e alla maggioranza di voler penalizzare ulteriormente il Sud e le aree povere del Paese a favore del Nord e di quelle più ricche. Non sarebbe il viatico migliore per le elezioni politiche. Ma anche senza la parola definitiva della Consulta la sentenza di ieri costituisce comunque un problema serio per la maggioranza. A questo punto la battaglia della Lega per procedere comunque come se nulla fosse sulle parti della riforma non colpite dalla Corte costituzionale diventa quasi improponibile. Allo stesso tempo Forza Italia, che chiede invece di rimettere seriamente mano all’intero testo in Parlamento, aggiunge numerose e probabilmente decisive frecce alla propria faretra.
A fronte della grana autonomia la sentenza che impedisce a Salvini di precettare i lavoratori dei trasporti può sembrare un problema minore. Il Tar ha però smentito in toto e nero su bianco il ministro, chiarendo che “non emergono ragioni che possano sorreggere la precettazione” e specificando che le ragioni addotte da Salvini, cioè i disagi per la popolazione, “appaiono riconducibili all’effetto fisiologico di tale forma di astensione dal lavoro”. Il ministro l’ha presa malissimo e non ce la fa a nasconderlo: “Per l’ennesimo venerdì di caos i cittadini potranno ringraziare un giudice del Tar del Lazio”. Ma il problema principale, dal punto di vista politico, è proprio l’immagine di un ministro al quale letteralmente non ne va bene una. Per una Lega già in ginocchio non è un buon segno.