La crisi francese
I francesi vogliono l’impeachment per Macron: c’è bisogno della sesta repubblica
Lo dicono tre sondaggi consecutivi. “Macron dimissioni” è ormai la parola d’ordine comune di tutte le proteste. C’è bisogno della Sesta Repubblica
Editoriali - di Jean-Luc Mélenchon
Nulla emerge dal nulla, nemmeno ciò che accade all’improvviso. “Il contingente realizza il necessario” diceva Engels. Ho spesso scherzato sul valore predittivo di quest’espressione. Ma ne noto il valore descrittivo. In fondo, la complessità è nelle nostre menti, ma la realtà rimane fatta di tratti semplici. Qui e ora, il piano inclinato che va dal voto alle elezioni legislative del 7 luglio verso l’uscita del presidente della Repubblica è saldamente ancorato alla catena delle cause e delle conseguenze.
Quell’uscita è la probabilità più alta. Che il presidente, spavaldo, dica il contrario annuncia soltanto il suo probabile fallimento. Perché lui crede che le sue parole e la sua volontà siano onnipotenti. Se queste sono le sue uniche pedine per l’azione, ha perso. Nessuno sarà mai padrone degli orologi! (…) Perché chi all’Eliseo poteva credere seriamente a un voto di coalizione di maggioranza quest’anno sul bilancio? (…) Perché la sfiducia è una disposizione della Costituzione prevista per essere la modalità di replica parlamentare al 49.3 governativo. In Parlamento la nostra linea è la continuazione della lotta politica per la rivoluzione cittadina e la Sesta Repubblica con i mezzi istituzionali. Niente di più, ma niente di meno.
Solo il Rassemblement national (Rn) poteva bloccare la sfiducia e la destituzione. E lo ha fatto prima, rifiutando di votare la prima sfiducia e impedendo alla mozione di impeachment di arrivare in seduta plenaria. Abbiamo esercitato su di lui una pressione incessante ogni volta che è venuto in soccorso del macronismo e del governo Barnier. Questo è accaduto decine di volte, soprattutto nel dibattito sul bilancio. E questo si è visto. (…). E più la nostra pressione pesava sulle spalle del Rn. I giornalisti lo hanno verificato tutti sul campo. Il Rn ha finito per crollare. Si può pensare che lasciando che il procuratore sostenga l’ineleggibilità della signora Le Pen, soprattutto senza diritto di ricorso, il macronismo non abbia migliorato la sua situazione.
In questo contesto, poiché la procedura di impeachment si era fatta strada nelle menti, il legame tra sfiducia al governo e destituzione del presidente si è articolato molto più velocemente del previsto e i sondaggi ne hanno immediatamente riferito. Più del 63% di richieste di impeachment in tre sondaggi consecutivi! Il 5 dicembre, la parola d’ordine era in strada sui cartelli e negli slogan. (…) Vedete come la pietra che rotola dal 7 luglio non si è allontanata dalla sua strada verso la destituzione del presidente. Ricordo che la sua forza propulsiva deriva dal rifiuto di Macron di riconoscere il risultato delle elezioni. Una omissione inaccettabile nella Repubblica. Ecco perché non lo accetteremo mai, al contrario dei repubblicani in pelle di coniglio che sguazzano nella palude dell’ufficialità. La cittadella non cadrà al primo colpo di cannone. Il suo muro mediatico non è abbastanza scosso. (…).
Cosa penso del modo in cui il Partito socialista si comporta e del modo in cui Olivier Faure si rivolge a noi? Vuole assolutamente essere Primo Ministro. Non gli importa di chi e come? Ha bloccato la discussione del Nuovo fronte popolare quest’estate per quattro giorni su questo tema. Il resto è una contrattazione interna al Ps tra correnti e sottocorrenti. I loro pensieri e le loro ossessioni si muovono in un cerchio di ambizioni concorrenti, e sempre reciprocamente frustrate. (…) La posta in gioco è la lealtà in politica che è mancata così tanto nel quinquennio di Hollande e che ha distrutto il Ps stesso. Ma per il momento, possiamo pensare che il Ps scivolerà tra le dita di Macron. Perché niente va bene per quest’ultimo.
Primo brutto segno: Macron non è stato in grado di nominare un primo ministro come previsto. Non è quindi riuscito a cancellare l’impatto della sfiducia e la forza di legittimità che contiene per negare la sua. Non aveva quindi nulla da dire nel suo discorso e ha dovuto recitare una replica furiosa e frontale. Politicamente, è stato totalmente fallimentare. (…) L’impatto si è verificato la mattina seguente nelle strade e nei mercati. La destituzione, già presente giovedì nelle manifestazioni della giornata di sciopero, è ora portata da tutte le parti, in tutti gli ambienti. È questa onda che bisogna nutrire e amplificare con piccoli colpi di spalla dati con saggezza prima del momento della stoccata finale. “Macron dimissioni” è ormai la parola d’ordine comune di tutte le proteste. Si può pensare che questo produrrà una consapevolezza più viva della necessità della Sesta Repubblica. Un modo diretto e semplice per riassumere la volontà di porre fine alle politiche neoliberiste. Se si sceglie un esecutivo forte, è necessaria una reazione popolare altrettanto forte. Qui arriva la soluzione del referendum revocatorio.
In Messico, il nostro amico presidente López Obrador l’ha reso obbligatorio a metà mandato e l’ha applicato con successo. Tutta l’azione popolare democratica è un esercizio di autoeducazione della moltitudine che prende coscienza delle sfide della sua epoca quando cerca una via d’uscita dalla sua situazione. L’affidabilità della rappresentanza politica è una delle condizioni della fiducia nel processo democratico. E senza dubbio è la base del nostro patto politico con il nostro popolo, ancora oggi molto disperato. Non molliamo nulla e tutti lo sanno.