La piccola Corea francese
Perché è caduto il governo Barnier in Francia: Macron messo all’angolo da destra a sinistra
Macron ha fatto sapere che non ne vuole sentir parlare, di dimissioni. E ha giurato che resterà al suo posto fino al 2027. I suoi hanno fatto sapere che entro 48 ore nominerà un nuovo premier.
Esteri - di Redazione Web
Si è votata questa notte la mozione di sfiducia al governo francese guidato da Michel Barnier. L’esito del voto è abbastanza scontato: la mozione (si chiama mozione di censura) dovrebbe passare sostenuta essenzialmente dai partiti della sinistra e dalla destra di Marine Le Pen. I due raggruppamenti, insieme, dispongono di parecchi seggi in più della metà dei seggi dell’assemblea nazionale.
La mozione di sfiducia è stata decisa dalla sinistra, e in particolare dal gruppo di Jean-Luc Mélenchon (Insoumise) che richiede non solo la caduta inevitabile del governo ma anche le dimissioni del Presidente Macron. Alla mozione ha aderito tutta la sinistra, radunata nel Nuovo Fronte Popolare, che l’ha presentata formalmente ieri mattina. A quel punto la destra lepenista si è associata, annunciando che voterà la mozione, e a questo punto il destino di Bernier è segnato. Marine Le Pen ha parlato nel corso del dibattito sulla sfiducia, annunciando ufficialmente il voto a favore della mozione, e spiegando che questa scelta “non è stata fatta con la gioia nel cuore”.
Le Pen ha spiegato che è stato il susseguirsi degli avvenimenti, e l’insediamento e l’azione di un governo voluto dal partito che aveva perduto le elezioni, a costringerla a “mescolare i nostri voti con i voti della sinistra”. E ha auspicato che si possa tornare a una situazione di legittimità democratica che permetta una vera alternanza tra la destra e la sinistra. La quale sinistra ha chiesto nei giorni scorsi a Macron di dimettersi. Sulla base di un ragionamento molto semplice: la caduta di Barnier dimostra che non è possibile mettere insieme nessuna maggioranza, e allora la soluzione migliore è che si dimetta il Presidente della Repubblica, responsabile di questo pasticcio e sconfitto in Parlamento, e si torni al voto sia per l’Eliseo sia per l’Assemblea nazionale.
Macron ha fatto sapere che non ne vuole sentir parlare, di dimissioni. Ha detto che l’ipotesi di Mélenchon è fantapolitica. E ha giurato che resterà al suo posto fino al 2027. I suoi hanno fatto sapere che entro 48 ore nominerà un nuovo premier. Per la Francia questa crisi così profonda, e forse senza precedenti nella storia della quinta Repubblica – paragonabile forse solo al terremoto del maggio francese che costrinse De Gaulle a un referendum – coincide con un grande avvenimento nazionale: l’inaugurazione del Notre Dame restaurata dopo l’incendio.
Ci sarà una grandiosa cerimonia, molto nel clima di grandeur francese, con la partecipazione di centinaia di capi di Stato. Tutti ben legittimati. Tranne, forse, i due più rappresentativi della democrazia moderna: quello di Francia e quello degli Stati Uniti. Ieri comunque, poco prima del voto sulla censura, è stata approvata, in extremis, una leggina di aggiustamento del bilancio. E il Rassemblement National della Le Pen ha votato a favore, insieme ai centristi.