Il voto in Commissione europea
Il Pd e la trappola dell’unità nazionale: l’azzardo di Schlein su Fitto
Come Bersani giunse al capolinea per non aver resistito alle sirene di chi estraeva Monti dal cilindro, così, con il voto a favore di Fitto, Schlein, rischia intaccare la sua stessa leadership rea della fatale resa alla metafisica invocazione della responsabilità nazionale
Editoriali - di Michele Prospero
Aveva appena cominciato a sbirciare la luna, con il bel trionfo in Emilia-Romagna e in Umbria, e subito dopo, con l’annuncio del voto a favore di Fitto, ha deciso di appiccare un falò come per azzerare l’intero bottino. Ascoltando le voci che sempre riecheggiano nelle giunture più delicate, Elly Schlein strappa i galloni conquistati sul campo come antagonista della Meloni. Rompendo il cordone sanitario eretto contro la destra, per impegnarsi con essa in una stagione consociativa, fa saltare la supremazia raggiunta all’interno della nascente coalizione.
Come Bersani giunse ineluttabilmente al capolinea per non aver resistito alle sirene di chi estraeva Monti dal cilindro, così Schlein con un inopinato azzardo rischia che a bruciare in fretta sia anche la sua stessa leadership rea della fatale resa alla metafisica invocazione della responsabilità nazionale. Cedendo agli ordini superiori, scolpiti nella lettera vergata da Monti e Prodi (il passato che non passa e che in tono tipicamente sovranista intima di far valere le ragioni dello Stato a dispetto di quelle dei partiti europei), il Pd con la legittimazione europea della fiamma ha decretato un potenziale sommovimento degli equilibri del sistema politico.
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Finché si tratta di cantare su un carro festoso o di andare in piazza per lamentare la scomparsa della sanità pubblica, alla leader del Nazareno viene accordata una piena libertà di manovra. Quando in ballo sono cose troppo grandi, ecco invece la dura levata di scudi con cui il metapartito democristiano (il medesimo che l’ha incoronata per l’intuizione dell’eterno cerimoniere Franceschini) restringe bruscamente lo spazio entro cui giocare. Gli imperativi che inesorabili ricadono sul partito-sistema impediscono una linea di movimento che scalfisce gli obblighi che riconducono ai calcoli di poteri sovra-nazionali.
Il lungo silenzio sulla guerra ai confini continentali non è, in una tale ottica, una semplice dimenticanza. La continuità con la linea di belligeranza scelta in origine da Letta e Draghi è assoluta. Rassicurante sul piano della lealtà atlantica, la stessa ascesa di Giorgia Meloni è stata favorita dietro le quinte dal segretario venuto da Parigi e dal banchiere sceso da Francoforte. Dinanzi all’asse di comando a trazione americana a nessun politico in carriera conviene tirarsi ai margini. E adesso che le cancellerie europee si rivoltano contro il “pacifista” Trump, per premere l’acceleratore con il pericolo della escalation atomica, la fedeltà all’elmetto costituisce il vero documento programmatico.
L’allargamento della maggioranza Ursula ai post-fascisti si spiega solamente con la gestazione delle operazioni speciali che si addicono ad un tempo di guerra totale. Non per niente Meloni evita per ora di accodarsi alle vaghe suggestioni trumpiane e ribadisce, con una forza addirittura più ostentata di prima, che per lei le ostilità non devono cessare. Le sue parole hanno persuaso i poteri della vecchia Europa che nulla più giustifica la preclusione ideale verso la Fiamma. Sarà anche una nostalgica madre e cristiana, ma è pur sempre una patriota ben allineata nella ricerca di una soluzione finale con Mosca.
Persino il fresco sdoganamento di Le Pen da parte dell’Eliseo (che inventa \una pregiudiziale contro la sinistra sociale e pacifista) rientra in questa esigenza di mobilitazione permanente che arriva a reclutare la destra illiberale in vista della marcia verso l’irreparabile. Con l’adesione al partito unico della guerra, e la nuova alleanza sovranazionale estesa alle formazioni più estreme del sedicente “conservatorismo”, Schlein non soltanto ha lacerato il filo della resistenza costituzionale al disegno autocratico di Meloni ma ha accettato una sfida che contempla di fatto come reale posta in gioco anche l’uscita di scena.
Con una stella che dopo l’abbraccio innaturale mette sul conto anche la propria caduta, per motivi avvolti in un mistero neppure tanto Fitto, si riaprono nodi programmatici che sfidano i limiti strutturali del Pd. Mentre il Nazareno rimane imbrigliato nella stretta moderata, che induce a consegnare le chiavi per l’accettazione della Fiamma sovranista nella governance europea, vacilla il disegno di parlare una lingua in grado di coniugare con coerenza battaglie sociali, valori costituzionali e istanze di pace.