Le motivazioni della sentenza

Woodcock, Marco Lillo e Scafarto: lo scandalo Consip era un complotto per annientare Romeo e Renzi

È stata una operazione giornalistico-giudiziaria, illegale, organizzata da esponenti dei servizi segreti e dei carabinieri, da alcuni giornalisti, forse da alcuni magistrati, per colpire Matteo Renzi, allora presidente del Consiglio e Alfredo Romeo (editore di questo giornale) imprenditore napoletano che stava facendo troppa strada lontano da accordi e camarille

Editoriali - di Piero Sansonetti

23 Novembre 2024 alle 13:00

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Foto collage Imagoeconomica
Foto collage Imagoeconomica

Qualche anno fa un mio amico ingegnere, del quale ho già parlato in alcuni miei articoli, mi chiese: ma tu hai capito in cosa consiste il caso Consip, cioè il più grande scandalo politico economico di questo secolo in Italia? Allora restai muto. Oggi rispondo. Dopo aver letto le motivazioni della sentenza che ha chiuso il caso Consip assolvendo tutti gli imputati e condannando alcuni inquirenti.

Lo scandalo Consip, così come è stato raccontato dai giornali, è una balla. Il caso Consip invece esiste ed è una operazione giornalistico-giudiziaria, illegale, organizzata da alcuni esponenti dei servizi segreti e dei carabinieri, da alcuni giornalisti, forse da alcuni magistrati, per colpire su un versante l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, e sull’altro versante un imprenditore napoletano che stava facendo troppa strada, tenendosi lontano dai cartelli, dalle camarille, dagli accordi fra i suoi colleghi. Il presidente del Consiglio non era gradito a una parte del potere. E anche l’imprenditore non era gradito. L’ordine – poi cercheremo di capire chi lo diede quest’ordine – era di danneggiare il più possibile Matteo Renzi, e di spezzare le reni all’imprenditore solitario, che era il mio amico Alfredo Romeo, ora editore di questo giornale che ha recuperato dal fallimento e riportato in vita.

Le motivazioni della sentenza sono chiarissime. I reati degli imputati non esistono. Esistono i reati di due carabinieri – che è molto improbabile lavorassero per proprio conto – i quali manipolarono le prove e usarono alcuni giornali amici per organizzare una campagna ad alzo zero contro Renzi e Romeo. I giudici su questo sono stati chiarissimi, per una volta: la campagna si reggeva sulle due gambe, quella degli inquirenti e quella dei giornalisti disposti a pubblicare veline, ottenute illegalmente, senza farsi scrupoli. I giornali in questione sono due: Il “Fatto Quotidiano” e “la Verità”. Sono loro i protagonisti attivi della campagna. Poi ci sono i coprotagonisti, che sono quasi tutti gli altri giornali, tranne pochissimi, che si accodarono al “Fatto” e alla “Verità” e collaborarono attivamente, con professionalità assai scarsa, alla campagna di demolizione di Renzi e Romeo.

Difficile allora non tornare subito alla domanda: chi li ha mandati? Dobbiamo forse credere che una così gigantesca congiura, che minava il potere politico del paese e metteva in gioco diversi miliardi di appalti pubblici, fu pensata, guidata e organizzata solo dal carabiniere Scafarto e da qualche giornalista di quei due giornali? E’ un’ipotesi non credibile. Non è necessario essere complottisti per convincersi che dietro a questa operazione c’erano forze più consistenti. Vogliamo riversare tutta la colpa sul povero John Woodcock, il disperato Pm napoletano (non gliene va mai bene una) il quale fu l’iniziatore dell’inchiesta, e che guidò il capitano Scafarto, prima che l’inchiesta gli fosse portata via da Roma? Beh, anche questo è poco credibile. Difficile immaginare un pasticcione come Woodcock a capo di una congiura. E allora?

Io credo che ci siano tre filoni da seguire. Uno è quello più evidente, e cioè l’azione spregiudicata di quel potere devastante che si era realizzato – soprattutto in quegli anni – con l’alleanza di ferro tra alcuni magistrati e gruppi giornalistici ed editoriali. I quali si scambiavano piaceri e vantaggi (e reati) in un patto di ferro di mutuo soccorso, in ogni frangente. In questo quadro l’operazione Consip fu solo una delle tante che servì a cementare questo patto, utile al giornalismo giudiziario e ad alcuni settori delle Procure che videro aumentare in modo esponenziale e continuo il proprio potere. Il secondo filone è quello politico. Renzi, comunque, con la sua linea oscillante che invadeva il campo della sinistra e della destra, che teneva sulla corda i grandi gruppi industriali, che faceva ballare intere corporazioni, potenti, si era costruito una rete di inimicizie grandissima. Che sicuramente agì, anche se non si sa in che modo. E poi c’è il terzo filone, che è quello economico. La casta economica italiana raramente accetta degli intrusi, che non bussino alla porta, si inchinino e chiedano il permesso. Romeo non piaceva a questa casta. Non aveva mai bussato. E proprio a lui toccò pagare il prezzo più grande. Quattro mesi in cella a Regina Coeli – unico imputato finito in prigione – sei mesi ai domiciliari, e poi appalti che aveva legittimamente vinto trasferiti generosamente ai suoi concorrenti, per intervento della magistratura, con danni economici incalcolabili (sicuramente superiori al miliardo) e danni permanenti per le sue aziende, centinaia e centinaia di posti di lavoro persi o non guadagnati.

Non è l’unico, però, che ha pagato per questa azione infame. Cito solo un nome: Luca Lotti. Persona specchiata, seria, competente, che avrebbe voluto fare politica, e invece fu spazzato via da inquirenti inetti. Per lui le porte della politica, ormai, si sono chiuse. E ora? Paga qualcuno? No. Probabilmente l’unica condanna – che è quella per l’agnello sacrificale, Scafarto – andrà in prescrizione. E meno male: lui era l’ultima ruota del carro. I giornali, i giornalisti? Figuriamoci: i giornali vengono perseguiti solo se criticano i magistrati. E infatti, gli unici ad avere processi per il caso Consip, e cioè per diffamazione dei colpevoli, siamo noi. Qualcuno sarà risarcito? Renzi no, impossibile. Anche Lotti impossibile. Romeo? Beh risarcirlo da tutti i danni non si può, molti dei danni sono irreversibili. Speriamo che almeno in parte lo Stato riconosca la propria colpa e paghi.

Cosa ci resta? La sicurezza che aveva ragione Palamara. Ci sono pezzi di magistratura che si comportano come pezzi separati dello Stato, impazziti e che operano fuori dalla legge, per propri interessi, e sono in grado di annientare la vita di cittadini innocenti: sono in grado, e lo fanno senza nessuna remora morale né professionale. Questi pezzi di magistratura rovinano l’immagine di tutta la categoria, che è composta da tantissime persone per bene, preparate e coraggiose. Penso alla straordinaria opera di legalità – contro le sopraffazioni e l’illegalità del governo – che stanno compiendo tanti magistrati impegnati a difendere i diritti dei profughi. Il Parlamento sarà capace di intervenire? Il Csm aprirà una inchiesta sul caso Consip? E l’Ordine dei giornalisti? E la Fieg?

P.s. Infine mi sento in dovere di esprimere la solidarietà al mio collega Marco Lillo che è stato costretto pochi giorni fa, dal suo giornale, a scrivere un articolo sul caso Consip che ha suscitato negli ambienti del giornalismo, della magistratura e dell’avvocatura, una ilarità irrefrenabile. Lillo, sei una vittima.

23 Novembre 2024

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