Il campione
Italia-All Blacks, Diego Dominguez: “Possiamo batterli e vincere. Chi scende in campo deve sapere che può fare la storia”
L'ex numero 10 della Nazionale ha parlato del prossimo match degli azzurri ma soprattutto della sua 'ricetta' per far crescere il movimento rugbistico italiano e dei tanti progetti che lo vedono coinvolto nel sociale, in particolare nelle carceri minorili, tra i giovani detenuti
Interviste - di Andrea Aversa
Di sicuro il cuore di Diego Dominguez, non solo è grande ma anche a forma di ovale. Non potrebbe essere altrimenti per chi ha indossato la maglia numero 10 della Nazionale italiana di rugby per 74 volte, in 12 anni, diventando l’ottavo miglior marcatore internazionale della storia di questo sport con 1010 punti. Dominguez, uno dei calciatori più forti di sempre, è anche il secondo giocatore ad aver raggiunto i 1000 punti e uno dei soli nove a vantare tale score in quadrupla cifra. Il campione è stato anche uno dei primi a varcare i confini nazionali per giocare in un club. L’italo argentino ha infatti militato dal 1997 al 2004 nello Stade Français. Nato in Argentina a Cordoba, Dominguez è giunto in Italia nel 1990 per giocare a Milano.
Chi è Diego Dominguez
A causa del trasferimento fu squalificato dalla Federazione argentina ma grazie alle sue origini italiane, Dominguez fu convocato dalla Nazionale diventando ben presto un simbolo dell’Italrugby. Insieme ad Alessandro Troncon, numero 9 e mediano di mischia, ha formato una delle coppie in mediana più forti della storia della palla ovale. Di sicuro la più rappresentativa del rugby italiano. Non è un caso che la scorsa settimana entrambi sono stati tra i protagonisti della cerimonia degli Oscar del rugby, prestigiosa kermesse organizzata in Francia. Con l’Italia Dominguez ha vinto un titolo europeo ed ha esordito al 6 Nazioni. Proprio in occasione della prima partita in assoluto all’interno del torneo più antico del rugby, il piede dell’ex numero 10 fece la differenza: la Nazionale batté la Scozia per 34 a 20, 29 di questi punti furono realizzati da Dominguez.
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Il rugby camp, la formazione nei club e la loro importanza, la palla ovale ai giovani detenuti
Il nome sarà una coincidenza ma il piede e la biografia sono invece una reale somiglianza. E il riferimento non può che andare ad un altro Diego, quello che ha fatto la storia di un altro sport, il calcio: stiamo parlando di Diego Armando Maradona, anche lui argentino e con un pezzo importante di carriera vissuta in Italia, a Napoli. Dominguez, oggi opinionista a Sky Sport, è un campione anche al di fuori dal campo. Da quando si è ritirato dall’attività agonistica ha iniziato a girare l’Italia per mettere la sua esperienza al servizio dei club locali. Il suo obiettivo è quello di rafforzare, migliorare e far crescere il movimento rugbistico italiano. Non solo, l’ex numero 10 è anche da sempre molto attivo nel sociale. Con il suo Diego Dominguez Rugby Camp, l’ex giocatore sta portando questo sport nelle carceri minorili e grazie ai valori della palla ovale sta offrendo un’opportunità di vita ai giovani detenuti.
Intervista a Diego Dominguez
Sei stato molto in giro per l’Italia in questi giorni, come sta andando questo percorso di formazione per i club di rugby che sono sul territorio?
“Stanno andando bene, ormai sono anni che mando avanti questo progetto. Nello specifico si tratta di un’attività che mi consente di andare in giro per il Paese. Di recente sono stato in Liguria, Piemonte, Calabria e Sicilia. L’iniziativa, per quanto riguarda la formazione, è stata organizzata insieme alla Filca – Cisl“.
Il Diego Dominguez Rugby Camp e l’impegno nelle carceri minorili: un altro modo per mettere a disposizione delle società locali e dei giovani tutta la tua esperienza
“Esatto, è un’opportunità per i club di crescere e per la Federazione di rendersi conto di come è strutturato il movimento da un punto di vista locale e territoriale. Sono convinto che le basi e le fondamenta di un movimento sportivo sono rappresentate dalle singole società. Sono loro che si occupano della crescita dei giocatori fin da quando sono ragazzini. Sono loro che gli forniscono la grinta e le motivazioni per andare avanti. Ed è per questo motivo che reputo i club come il vero motore del nostro movimento rugbistico, è li che vanno investite le risorse“.
Che sensazioni hai provato nell’aver portato il rugby nei penitenziari e nell’aver conosciuto tanti giovani detenuti?
“È da circa dieci anni che entro nelle carceri minorili e la realtà è sempre difficile. Ci sono tanti ragazzi che no hanno avuto le giuste opportunità di vita. Possibilità che invece meriterebbero. Noi passiamo nelle strutture detentive una settimana e cerchiamo di trasmettere un semplice messaggio: con lo sport si può cercare di cambiare e svoltare. Lo sport ti aiuta e ti dà sempre una mano. E qualche soddisfazione siamo riusciti a togliercela. Ad esempio a Bari c’è un ragazzo che era detenuto e che ora da libero sta conducendo una vita normale, la sua vita. Lui è uno che ce l’ha fatta. Con un altro abbiamo iniziato un percorso che l’ha portato a conseguire il patentino di allenatore e il diploma da parrucchiere. La prossima settimana saremo a Napoli, parleremo con le autorità della penitenziaria a Nisida e cercheremo di individuare un altro giovane da mettere in prova. In media riusciamo a tirare fuori dal carcere un ragazzo all’anno“.
Qual è la tua ricetta per far crescere il movimento rugbistico soprattutto al Sud?
“Bisogna mettersi seduti intorno a un tavolo e ragionare bene su almeno tre punti: potenziare e in alcuni casi realizzare, le strutture necessarie per giocare a rugby; favorire gli spostamenti: oggi molte squadre devono percorrere tanti chilometri per giocare un match e questo comporta anche un aumento dei costi; favorire l’arrivo e il tesseramento di giocatori stranieri: molti club non hanno a disposizione il numero idonei di giocatori per poter competere. In generale la Federazione deve essere in grado di sfruttare al meglio il potenziale che offre il proprio movimento, soprattutto al Sud. Per farlo bisogna che determinati territori abbiano mezzi e risorse“.
Quali sono gli aspetti che più ti hanno colpito nel far visita ai club in tutta Italia?
“Il carattere dei ragazzi è stata la caratteristica più importante e che mi ha impressionato. Poi il clima. In Italia, soprattutto al Sud, c’è un tempo meraviglioso che permette di giocare un gran rugby. Questo sport quando piove non è proprio bello e soprattutto comodo da giocare. Gli inverni, in gran parte delle regioni, sono difficili. Invece, nel Meridione c’è spesso un clima mite. E un’altra cosa che mi ha colpito è stata la passione e il cuore che ci mettono i volontari. Una ricchezza per i club e l’intero movimento“.
Qualche giorno fa, in Francia, sei stato tra i protagonisti della prestigiosa cerimonia degli ‘Oscar del rugby’: che emozioni hai vissuto?
“È stato bellissimo, sono immagini che porterò per sempre dentro di me. In quei giorni ho rivissuto i momenti più belli della mia carriera. Ho trascorso tanto tempo insieme ad altre sette leggende della palla ovale. Tra queste c’era anche Troncon. Siamo stati per due giorni interi a parlare di rugby, di vecchi aneddoti e ricordi ma anche di futuro. Di come sarà questo sport in continua evoluzione“.
Questa settimana Sergio Parisse è stato introdotto nella Hall of Fame. Vuol dire che il rugby italiano è molto più riconosciuto di quanto pensiamo?
“Bhè, in questo caso Parisse ed io non siamo stati altro che dei fiori messi sopra un tavolo, come una decorazione. Il riconoscimento deve essere sempre considerato per l’intero movimento che di sicuro è in crescita“.
In occasione degli Autumn Nations Series l’Italia ha affrontato Argentina e Georgia dopo lo straordinario e ultimo 6 Nazioni. Che idea ti sei fatto di questa Nazionale?
“Il grande 6 Nazioni che ha fatto l’Italia non può essere messo in discussione da due partite. Inoltre, l’Argentina è una grande squadra, ad oggi di un altro livello. Di sicuro il risultato è stato un po’ pesante ma non è quella la partita che misura in assoluto il valore della Nazionale“.
Domani ci sono gli All Blacks…
“Sarà una partita dura, non c’è dubbio, contro un avversario superiore. Tuttavia, l’Italia non ha mai vinto contro la Nuova Zelanda e prima o poi questo tabù dovrà cadere. Il risultato di un match non è mai acquisito, di conseguenza i ragazzi che scenderanno in campo dovranno essere consapevoli che dovranno dare il massimo e che in caso di vittoria faranno la storia, non solo del rugby italiano ma di questo sport. Credo che questa sia una motivazione importante a livello mentale“.
Su quale campo di rugby ti vedremo prossimamente?
“Sarà una sorpresa, di solito vado dove nessuno va (ha risposto Dominguez ridendo, ndr)”.
Ci sono altri progetti, sogni che vuoi realizzare nel prossimo futuro?
“Al momento voglio solo migliorare e perfezionare quello che sto già facendo. Tutte queste attività sono abbastanza impegnative“.