Voto rinviato al 27 novembre
Perché la Commissione Europea di Von der Leyen è a pezzi: lo scontro tra popolari e socialisti
I socialisti insistono: “Niente vicepresidenza a Fitto”. I popolari rilanciano: “Allora noi non votiamo Ribeira”. Von der Leyen tenterà di tener insieme forze inconciliabili
Esteri - di David Romoli
La Commissione europea von der Leyen 2 forse ci sarà e forse no. La nuova maggioranza Ursula, quella che ha rieletto Ursula nello scorso luglio, invece non c’è mai stata e ieri lo ha dimostrato per l’ennesima volta in modo particolarmente clamoroso. Per questo, una volta tanto, ha completamente ragione Salvini quando, dopo aver annunciato senza alcuna sorpresa il voto contrario della Lega, e presumibilmente di tutti i Patrioti, aggiunge: “La Commissione parte debolissima”. Sempre che parta e non è affatto detto.
I tentativi di mediazione della presidente negli ultimi due giorni non hanno portato ad alcun risultato. I socialisti restano fermi nella loro opposizione alla vicepresidenza assegnata a Fitto. Non pongono problemi sulla nomina a commissario, specialmente dopo la sua audizione tra il democristiano e l’europeista doc. Si dicono pronti a far saltare tutto sul nodo della vicepresidenza. La richiesta è secca: prima si votano in blocco i cinque vicepresidenti espressi dai gruppi “di maggioranza”, quelli che hanno appoggiato la rielezione di von der Leyen, i popolari, i socialisti, i liberali e i verdi. Poi si passa al sesto vice, quello esterno alla maggioranza, e in tutta evidenza lo si boccia. Il tutto per chiarire che i Conservatori di Giorgia Meloni non fanno parte della maggioranza e che il cordone sanitario contro la destra anche se la destra un po’ più presentabile, quella dei Conservatori, è sul confine. I popolari non cedono di un palmo. Insistono su Fitto pronti in caso di bocciatura a impallinare la commissaria e vicepresidente socialista Teresa Ribeira, finita più che mai nel mirino perché accusata di corresponsabilità nel disastro di Valencia.
La presidente ha 12 giorni di tempo per cercare una mediazione. Il voto finale sulla commissione è fissato per il 27 novembre. L’intesa sui vicepresidenti deve essere raggiunta prima. Non è possibile neppure provarci prima del 20 novembre, quando Ribeira riferirà al Parlamento spagnolo su Valencia, come reclamato e imposto dai popolari, su spinta della delegazione spagnola, che in caso contrario non la avrebbero votato. L’accordo dovrebbe essere messo a punto prima e concluso tra il 20 e il 27. La presidente dell’europarlamento è, o si finge, ottimista: “C’è tempo fino al 27”. Le trovate possibili per uscire dall’impasse sono poche. Un mercanteggiamento sulle poltrone, ripagando i socialisti per l’eventuale resa con qualche promozione, oppure la cancellazione di tutte le vicepresidenze, ipotesi che von der Leyen aveva già preso in considerazione in luglio.
A sbloccare la situazione potrebbero essere i leader nazionali, consapevoli di quanto disastroso sarebbe il fallimento della nuova Commissione a fronte dell’impatto che immancabilmente avrà la presidenza Trump e con i due Paesi guida, Germania e Francia, privi l’uno di un governo e l’altro di un governo forte. Ieri il presidente del Ppe Weber ha assicurato ai suoi eurodeputati nell’assemblea di gruppo che il Consiglio europeo avrebbe dato il via libera a Fitto. La capogruppo socialista è caduta dalle nuvole, ha detto di non saperne niente ma ha aggiunto un “Ne prendo atto” che ha indotto i più ottimisti a previsioni rosee.
Ma il muro contro muro di ieri è andato in scena sullo sfondo di uno piscodramma collettivo in aula che da un lato spiega lo stallo della Commissione ma dall’altro rivela anche quanto inutile e posticcia sarebbe e anzi probabilmente sarà una soluzione diplomatica e falsamente unitaria. I Popolari e la destra tutta hanno approvato insieme, contro il resto della maggioranza Ursula 2, un emendamento alla norma sulla deforestazione che nella migliore delle ipotesi la depotenzia molto e nella peggiore la vanifica, tanto che Verdi e Socialisti hanno chiesto alla presidente di ritirare a questo punto l’intera legge sulla deforestazione. È stata infatti aggiunta una categoria, quella dei Paesi “non a rischio” che permetterà di aggirare l’obbligo di contrastare la deforestazione in alcuni Paesi almeno.
Non è la prima volta che i Popolari votano con la destra, Conservatori, Patrioti e in qualche caso anche gli “intoccabili” Sovranisti guidati dalla Afd tedesca: è l’ennesima, di fatto nel nuovo Parlamento europeo è la norma. Ma stavolta la spaccatura della cosiddetta “maggioranza” è particolarmente clamorosa perché si è prodotta su un tema nevralgico ed essenziale sia per i Socialisti e Democratici che per i Verdi. Il problema dell’Europa non si chiama Fitto e non si chiama Ribeira: il nodo è la distanza strategica abissale che separa i due partiti sui quali si dovrebbe reggere l’alleanza a Strasburgo. I Popolari hanno scelto l’apertura a destra e lo dimostrano ogni giorno. I Socialisti cercano di difendere come possono le posizioni che gli restano, sempre più insidiate, e per questo hanno bisogno di fare muro contro la destra.
Il voto di luglio è stato espresso fingendo di ignorare questa realtà e questa incompatibilità ma la finzione non poteva reggere neppure un giorno alla prova dei fatti e dei voti in aula. Per questo forse la Commissione salperà grazie a un gioco di prestigio della presidente e forse no ma la spaccatura politica dell’Unione, sommata a quella eterna fra i diversi interessi nazionali, resterà tutta comunque e non è la condizione e non è la situazione migliore per affrontare una trattativa molto difficile come sarà quella con gli Usa di Trump.