La vittoria di The Donald
Cosa diventeranno gli Stati Uniti con il secondo mandato di Trump: tra tecnocrazia e autoritarismo, un connubio fatale
I dem stavolta non sono riusciti a superare l’ennesima strettoia che li attendeva e, in un mondo, insieme, piccolo, complesso e multilaterale, le loro semplificazioni non hanno retto.
Esteri - di Danilo Di Matteo
Non avrei né gli strumenti né la capacità per un’analisi puntuale del voto americano. Eppure è forte la sensazione di trovarsi dinanzi a uno di quegli snodi decisivi della storia. Chi mi legge sa che considero tutt’altro che superate le categorie di destra e di sinistra, sia nell’agone interno che in quello globale. Eppure l’Asinello, con i suoi tentativi di coniugare l’affermazione e il rispetto dei diritti umani con la tradizionale linea America first mostra ormai da anni i propri limiti.
È probabilmente con Barack Obama che ha espresso tutto ciò che poteva, a livello materiale e simbolico. I dem stavolta non sono riusciti a superare l’ennesima strettoia che li attendeva e, in un mondo, insieme, piccolo, complesso e multilaterale, le loro semplificazioni non hanno retto. Non è più il tempo di Thomas Wilson (1856-1924). La spallata di Donald Trump, sorretto dall’imprenditore visionario Elon Musk, è, letteralmente, da brivido e da vertigine, potendo condizionare il benessere o il malessere di miliardi di esseri umani, il senso stesso dell’Occidente e, al limite, la stessa sopravvivenza della nostra specie.
Tra le domande che fanno tremare le vene ai polsi ne ricordo alcune: qual è il valore della democrazia al tempo dell’intelligenza artificiale? Il popolo, i popoli ancora esistono o sono, di nuovo, moltitudine, con il paradosso di “populismi senza popolo”? Che ne è dell’individuo e della sua libertà? E che ne sarà delle popolazioni asservite a dittatori e tiranni? Il neo-presidente porterà a compimento il passaggio dalla democrazia alla demagogia? E ancora: dove si situerà e in quali lidi approderà il connubio o il conflitto fra tecnocrazia, analfabetismo di ritorno, istanze di libertà quali quelle espresse dalla studentessa iraniana che si denuda, quasi a voler scrivere con il proprio corpo un futuro diverso, e le pulsioni patriarcali e misogine della “destra religiosa” pro-Trump?
Già, il conflitto: come potremo viverlo e interpretarlo – a livello economico, ecologico, sociale, culturale, territoriale, finanche bellico – nello scenario che si profila? Una sia pur provvisoria risposta mi sento di scorgerla nel senso della possibilità, vero humus della libertà: non dovremmo consentire a un evento doloroso, forse necessario, di smarrirlo. A esso, anzi, dovremmo appellarci.