La vittoria del tycoon
Cosa accadrà in Europa dopo la vittoria di Trump, parla Nelli Feroci: “Dagli Usa guai in vista”
«Per Trump consensi oltre le aspettative, il suo elettorato va da Musk e i magnati di Wall street agli “underdog”. Colpisce l’indifferenza verso i conflitti d’interesse e le vicende giudiziarie: questioni che per un cittadino europeo avrebbero avuto un peso»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
L’America di Trump, il rapporto con l’Europa e i due teatri di guerra. L’Unità ne discute con l’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), tra i più autorevoli think tank italiani di geopolitica e politica estera. Diplomatico di carriera dal 1972 al 2013, Nelli Feroci è stato Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione Europea a Bruxelles (2008-2013), capo di gabinetto (2006-2008) e direttore generale per l’integrazione europea (2004-2006) presso il Ministero degli Esteri. L’ambasciatore Nelli Feroci ha anche ricoperto l’incarico di Commissario europeo per l’industria e l’imprenditoria nella Commissione Barroso II nel 2014.
Ambasciatore Nelli Feroci, che America è quella che ha scelto Donald Trump come suo 47° Presidente?
È un’America che evidentemente ha subito il fascino di un messaggio molto semplice, talora brutale, estremamente esplicito. Pochi slogan, rivelatisi molto efficaci e che stavano a cuore alla maggioranza degli americani.
Vale a dire?
Penso all’economia. Penso soprattutto al fenomeno migratorio e collegato ad esso, la questione della sicurezza interna, e poi il messaggio per cui un Trump alla Casa Bianca avrebbe riportato la pace sui due maggiori teatri di operazione che in questo momento vedono in qualche modo coinvolti, sia pure indirettamente, gli americani. È un elettorato molto composito quello che ha votato Trump. Questa volta con una partecipazione importante. I consensi sono stati ben superiori a quelli previsti o prevedibili. Un elettorato nel quale coesistono i grandi protagonisti del mondo delle tecnologie digitali, Elon Musk solo per citare quello che più si è speso, in tutti i sensi, nella campagna per Trump, le grandi imprese nel settore delle tecnologie digitali; i magnati di Wall Street, i grandi immobiliaristi. Il mondo delle grandi corporation a cui si affianca il popolo degli “underdog”, degli emarginati, di quelli che solo marginalmente usufruiscono dei benefits della ricchezza americana. Il paradosso è che gli Stati Uniti in questi 4 anni della presidenza Biden sono cresciuti dal punto di vista economico, anche grazie alle massicce iniezioni di spesa pubblica. La cosa forse più sorprendente stavolta, ma poi nemmeno troppo se si analizzano le dinamiche di voto, è l’orientamento espresso da alcune minoranze: i latinos, i neri e ancora più sorprendente molte donne. Ci si poteva aspettare molta più solidarietà da parte delle donne nei confronti di Harris e invece così non è stato.
Cos’altro, Ambasciatore Nelli Feroci?
Beh, alla nostra sensibilità di europei colpisce questa pressoché totale insensibilità dell’elettorato americano per temi che sono a noi sensibili, o che comunque producono dibattito e orientano anche una parte dell’elettorato. Mi riferisco al conflitto di interessi, alle vicende giudiziarie ancora in sospeso. Il fatto che Trump sia un riconosciuto mentitore seriale. Tutte questioni che nella sensibilità di un cittadino medio in Europa avrebbero avuto un impatto ma che negli Stati Uniti hanno contato molto poco.
Quanto nella forza di Trump c’è la debolezza della sua competitor e del partito Democratico?
La debolezza della Harris è stato un fattore determinante. Trump si è trovato di fronte un’avversaria che aveva un pessimo record alle spalle come Vicepresidente. Che è stata lanciata in campagna elettorale un po’ all’ultimo momento, che non aveva una particolare preparazione e che ha avuto anche l’handicap di doversi destreggiare tra una difesa di ufficio delle politiche dell’amministrazione di cui lei era parte come Vicepresidente, e al tempo stesso la necessità, qua e là, di prendere le distanze senza sconfessare troppo il suo presidente, visto che era pur sempre la sua vice in carica. Le responsabilità sia della Harris che del partito Democratico in questo tracollo sono emerse in tutta evidenza. Aggiungerei che per il partito Democratico la responsabilità maggiore non è stata tanto quella di scegliere precipitosamente la Harris quando Biden si è rivelato assolutamente non all’altezza, cioè in piena estate, molto tardi. La responsabilità maggiore è di non avere convinto prima il presidente a rinunciare e di non avere selezionato un candidato più attrezzato per far fronte a quella macchina da guerra che è Trump. Responsabilità della Harris ci sono state ma molto più pesanti quelle di cui far carico al partito. Che ora ha un compito micidiale…
Quale?
Quello di ricostruire da zero, non solo a Washington ma in moltissimi stati dove i Democratici hanno perso governatori, seggi al Senato e al Congresso. Sono chiamati a ricostruire un tessuto connettivo che da questa vicenda elettorale è uscito a pezzi.
L’Europa e Trump 2.0. Cosa c’è da attendersi e cosa da temere?
È abbastanza evidente che ci sono delle questioni su cui Trump è stato talmente esplicito in campagna elettorale che risulta molto difficile ritenere che possa fare passi indietro. Penso, tanto per dirne una, la cosa più clamorosa, è la imposizione di dazi sulle importazioni di beni che provengono anche dall’Unione europea. È stato molto esplicito su beni che provengono dalla Cina ma ha detto che anche gli europei dovranno in qualche modo essere costretti o a limitare le loro esportazioni o a vedersi imporre un dazio. All’orizzonte c’è il rischio di una guerra commerciale e siccome l’Europa è largamente avvantaggiata sul piano commerciale, perché ha un surplus importante, e Paesi come l’Italia ancor più della media degli altri, lì ci sarà sicuramente un elemento di frizione, che si spera si riesca a gestire nel modo meno devastante possibile. Poi c’è un tema che riguarda la spesa militare e il ruolo degli Stati Uniti nella Nato. Il tema della spesa militare si sarebbe posto chiunque avesse vinto le elezioni negli Stati Uniti, perché è vero che gli americani sono anni che chiedono agli europei di spendere di più e meglio per la loro difesa, ma con Trump questa richiesta potrebbe diventare più pressante, più brutale. Su questo fronte credo che s’imporrà la necessità, per l’Europa, di dare delle risposte non evasive alle richieste americane; richieste che su questo punto, va detto, sono legittime. Noi dobbiamo dimenticarci il periodo in cui gli Stati Uniti ci garantivano la sicurezza a spese loro. Su questo Trump è stato molto esplicito.
E sui due conflitti in corso?
Vedo due possibili sviluppi. Sul fronte della guerra in Ucraina, immagino che più o meno a breve scadenza, gli americani faranno sapere a Zelensky di non essere più disposti a fornire aiuti militari. Sono i sentimenti più profondi non solo del presidente eletto ma anche dei congressisti eletti. L’abbiamo visto quando si è posto il problema, la primavera scorsa, di dare il via libera al pacchetto di aiuti militari all’Ucraina. Già allora c’erano state forte resistenze dei repubblicani. Immagino che ci sia una doppia iniziativa americana sull’Ucraina. La minaccia, o la decisione, di sospendere gli aiuti militari e la richiesta di avviare una interlocuzione un po’ più costruttiva per arrivare per lo meno a una qualche forma di cessazione delle ostilità. Questo porrà all’Europa un problema enorme. Perché gli europei da soli non saranno in grado di sostituirsi agli americani nella difesa dell’Ucraina. Potranno fare dei gesti di solidarietà politica, ma non hanno né la volontà politica né i mezzi per fornire armi e munizioni sufficienti per l’Ucraina. E questo sarà il primo grosso problema per gli europei.
Sul Medio Oriente?
Qui vedo molto verosimile un’amministrazione americana fortemente allineata sulle posizioni del governo Netanyahu. Anche quelle minime pressioni, peraltro del tutto prive di risultati, che l’amministrazione Biden ha esercitato per mesi su Netanyahu, probabilmente cesseranno. Netanyahu potrà contare su un alleato più che fedele, molto allineato sulle preoccupazioni del governo israeliano. D’altro canto, lo abbiamo visto già con il licenziamento, il giorno prima delle elezioni americane, del ministro della Difesa israeliano, Gallant, una delle poche voci critiche nel governo israeliano. È un segnale che Netanyahu ormai si sente molto sicuro di non essere più sottoposto ad alcuna pressione da parte americana. Non lo potrà fare Biden in queste settimane, da oggi all’insediamento del presidente eletto. E non lo farà mai Trump perché non è nelle sue corde. C’è da prevedere un riallineamento americano su posizioni totalmente uguali a quelle del governo israeliano. Su questo versante, l’impatto per l’Europa è meno evidente, in quanto l’Europa è sempre stata sostanzialmente assente da questo conflitto, non ha svolto un benché minimo ruolo. Potrà continuare ad assistere a quello che succede in quel teatro di operazioni, nella consapevolezza che è pur sempre un teatro nel quale si giocano interessi vitali, anche di sicurezza, per l’Europa.
Ambasciatore Nelli Feroci, vestendo per un attimo i panni di politologo, corazzato da una lunga e importante esperienza diplomatica, le chiedo: quali lezioni i progressisti dovrebbero trarre dal voto americano?
Mi verrebbe da fare una battuta un po’ cinica, che a Trump si potrebbe chiedere di dare lezioni su come si vince un’elezione. E dovrebbero essere in molti a seguire queste lezioni. Non mi prenda alla lettera, è una battuta, perché su certe cose Trump ha esagerato, lo conosciamo bene. Dove Trump è stato estremamente efficace, è nel solleticare quegli umori dell’elettorato su cui i suoi messaggi facevano più presa. Sono le cose semplici: la sicurezza, le migrazioni, il potere d’acquisto, il rilancio dell’economia laddove stenta, la ridistribuzione della ricchezza. Pochi messaggi, diretti, a volte brutali. Vede, mi ha colpito moltissimo in questa vicenda, il fatto che Trump ha avuto il sostegno dei latinos. Sui temi migratori.
Come lo spiega, Ambasciatore Nelli Feroci?
Se c’è una fascia di popolazione negli Stati Uniti, legittimamente spaventata dall’arrivo di altri migranti, è quella di chi è arrivato pochi anni fa e si sta appena sistemando nel Paese che offre opportunità d’inserimento, e l’idea di vedere rimesse in discussione, per la concorrenza di chi vorrebbe aggiungersi, posizioni acquisite, ha determinato una reazione per cui su questo tema, sono diventati più reazionari dei bianchi ricchi, che i migranti li percepiscono da lontano perché non vivono nei loro quartieri. Questo è un fenomeno straordinariamente interessante, da seguire. Essere molto precisi, chiari, nel tipo di messaggio, a volte, ma questo vale molto più negli Stati Uniti, molto meno in Europa, sfidare anche il buon senso comune. Certe dichiarazioni plateali di Trump, per noi erano semplicemente agghiaccianti, allucinanti, e probabilmente non sarebbero replicabili in Europa. Essere comunque molto espliciti e chiari su alcune, poche, essenziali questioni chiave. Può essere questa la “lezione americana”.